Seguire una dieta sufficientemente sana, che non impegni troppe ore della giornata e al contempo non costi un occhio della testa, rappresenta ormai un’impresa titanica. Come è diventato altrettanto complicato informarsi efficacemente per conto proprio: il continuo susseguirsi di notizie e resoconti scientifici determina una dispersione di informazioni in grado di mandare fuori strada anche i meno sprovveduti. Alla ricerca di alcuni principi generali che possano tornare utili per l’alimentazione del presente e del futuro, abbiamo intervistato la dottoressa Debora Rasio, specialista in Oncologia, nutrizionista e ricercatrice presso l’Università La Sapienza di Roma.
La letteratura scientifica suggerisce che alcuni alimenti presentano benefici che neanche i farmaci sono in grado di apportare. È così importante il cibo per la salute dell’uomo?
Mangiare non è una questione di calorie, l’aspetto meno interessante della nutrizione. A contare per la nostra salute è piuttosto comprendere il modo in cui funziona il corpo umano. Se non mangiamo alimenti che forniscono oltre ai macronutrienti (proteine, carboidrati e grassi) la giusta quantità di micronutrienti (vitamine e minerali), fondamentali per attivare le proteine (gli enzimi) che sostengono ogni reazione biochimica che avviene nel nostro corpo, le sue funzioni essenziali vengono meno. Ad esempio, se non consumo micronutrienti come selenio e acido folico, gli enzimi non saranno in grado di riparare efficacemente il dna e alla lunga potrà venirmi un tumore; se non assumo le vitamine A, C, D e lo zinco, la mia risposta immunitaria sarà deficitaria e soccomberò a un virus, magari banale. Il problema è che non ci rendiamo conto come nei nostri cibi manchino sempre di più i micronutrienti.
Perché oggi la dieta risulta così povera di micronutrienti?
In primis, per la presenza costante di alimenti trasformati a livello industriale; ogni processo trasformativo sottrae potere nutrizionale. In secondo luogo, perché i terreni su cui coltiviamo e alleviamo son sempre più poveri di oligoelementi e nutrienti. Di conseguenza lo sono la verdura e la carne degli animali (perlopiù provenienti da allevamenti intensivi e nutriti con semi ogm ‘impoveriti’ quali mais e soia). Il terzo fattore di incidenza si rintraccia nella maggiore esposizione dell’individuo a sostanze inquinanti: metalli pesanti che si sostituiscono ai nutrienti impedendo il corretto funzionamento enzimatico. Infine, a causa di ciò che mangiamo, siamo a tal punto infiammati a livello intestinale da faticare ad assorbire micronutrienti come la vitamina B12, indispensabile non solo nella ‘disinfestazione’ da agenti contaminanti, ma anche nella gestazione, per scongiurare un insufficiente sviluppo cerebrale del feto. È dunque impensabile ritenere che la nutrizione conti poco per la nostra salute. Semmai, è alla base della costituzione del corpo umano.
I grassi vengono sempre più demonizzati. Avvertenze per chi sceglie i formaggi come alternativa alla carne?
Prima, tutti sapevano che dar da mangiare ai bambini cose grasse era importantissimo: consentiva loro di crescere bene. Poi è subentrata la grassofobia; abbiamo tolto i grassi che contenevano vitamine liposolubili, in favore di cibi a basso impatto calorico (low fat), con il risultato che sono sopraggiunte carenze pervasive e si ingrassa lo stesso. Comunque, le avvertenze sono: mangiare cibi non trasformati o minimamente trasformati. Il formaggio va benissimo. Badiamo piuttosto al fatto che non sia ‘magro’, a basso apporto di grassi e quindi privo di quell’importante potere antiossidante. Qualunque derivato deve provenire da latte intero, che ricomprende quella frazione grassa in cui si concentrano le vitamine liposolubili (A, D, E, k1 e k2), trasmesse al siero e al latte dell’animale grazie all’erba e al sole. Perciò, riscopriamo la qualità dei piccoli allevamenti: il formaggio di un animale libero di pascolare ha tutte le vitamine oltre a tantissimi acidi grassi. Il consumo di latticini può rivelarsi protettivo: fornisce calcio e micronutrienti necessari ad attivare gli enzimi coinvolti nel riparo del dna (soprattutto per combattere tumori come quelli al seno e al colon). Storicamente, per noi mediterranei, il latte è stato una fonte preferenziale di calcio. Toglierlo (dalla dieta) significherebbe una dannosa penuria di micronutrienti. Poi certo, non tutti possono tollerare i derivati. In caso, si possono mangiare quelli di capra e pecora, più delicati per l’organismo e meno infiammatori.
Nell’immaginario comune la “dieta” identifica un regime alimentare funzionale al dimagrimento. In tal senso, funziona veramente?
Le diete a restrizione calorica, proposte indiscriminatamente, non funzionano, se non temporaneamente. Si riduce semplicemente il metabolismo vasale: si mangia di meno e quindi si perde peso. Quando tuttavia ricominciamo a mangiare come prima, non avendo più lo stesso metabolismo, lo ‘incastriamo’ un po’. Questo sregola il comportamento alimentare innato (ho fame, mangio; non ho più fame, smetto di mangiare) e accresce il rischio di sviluppare disturbi della nutrizione. Gli psicologi parlano di ‘restrizione cognitiva’: in ragione di un peso che ci prefissiamo, pensiamo sempre di non poterci permettere di mangiare quanto desideriamo. Capita che arrivi così un momento in cui tale volontà restrittiva, per una qualsiasi ragione, venga meno e si inizi invece a mangiare in modo smodato con il pensiero che da domani non ci sarà più la stessa abbondanza di cibo. Le diete hanno fallito: non ci siamo mai preoccupati così tanto delle calorie eppure non siamo mai stati tanto grassi come oggi. A fronte di campagne aggressive di marketing irrispettose dei principi (sani) che ogni governo dovrebbe tutelare, regna ormai la malnutrizione. L’educazione alimentare è stata cancellata. Non viene più insegnata. È un sapere che si sta lentamente perdendo. È solo grazie a chi dal basso si informa individualmente, se si sta evitando di disperdere la cultura della salute che ha accompagnato l’uomo durante la sua evoluzione.
I prodotti confezionati sembrano creare dipendenza…
Il ‘cibo pattumiera’ non contiene vitamine e minerali e quindi non spegne la fame. Il cervello ‘recepisce’ le calorie ma anche la necessità di vitamine e minerali per bruciarle; perciò continuiamo ad avere fame. Nello specifico, l’industria sceglie il bliss-point, il cosiddetto punto d’estasi. Esegue dei test per vedere quanti zuccheri, grassi e sale può aggiungere in modo da stimolare al massimo (senza suscitare disgusto) le aree della ‘ricompensa’, dipendenti dalla dopamina. Tanto è vero che un famoso studio americano sui topi ha rilevato che i biscotti più venduti in America creavano maggiore dipendenza della cocaina. Non c’è ingenuità nel marketing. Tutto viene studiato: a partire dalla persuasione di quell’antica area rettiliana nel cervello, attratta da alte concentrazioni di sostanze (un tempo scarse), fino alle confezioni e alla pubblicità mirata. Con aziende che pagano profumatamente esperti e istituti affinché chiudano un occhio.
Cottura degli alimenti. Quali sono i consigli per preservarne proprietà e salubrità?
Per la carne, ma non solo, vale il seguente concetto: cuocere possibilmente a ‘bassa temperatura’ e in condizioni di umidità. È quando si raggiungono elevate temperature in cottura che si producono sostanze tossiche e indesiderate. Dovremmo mettere in pratica quello che facevano i nostri nonni: cucinare la carne ‘piano piano’ insieme alle verdure e altre cose (spezie e odori) di modo da abbassarne la temperatura. Come ad esempio per il pollo con i peperoni. Spegne la potenziale tossicità di una preparazione pure un soffritto di carote, sedano, cipolla e pomodorini grazie alla produzione di polifenoli, generati anche per l’effetto sinergico delle verdure impiegate. Analogamente, marinare una bistecca nel vino o nella birra, con rosmarino o altri odori per qualche ora in frigorifero, riduce drasticamente la formazione di idrocarburi aromatici policiclici (IPA) così come alcune sostanze cancerogene che possono formarsi ad alte temperature.
Le verdure. Crude o cotte?
Dipende dalle vitamine che contengono. Le liposolubili, al pari dei carotenoidi, sono rilasciate tramite cottura. Pertanto, meglio cuocere le verdure (con l’olio). Purché non vengano bollite. Vale per le carote, la zucca e il pomodoro. Il sugo ad esempio, se viene concentrato, aumenta la liberazione del licopene. Al contrario, le vitamine del gruppo B come l’acido folico risultano deperibili e meno tolleranti dell’aumento di temperatura. Quindi le verdure a foglia prediligono una cottura possibilmente rapida e a ‘bassa temperatura’ a tutela del loro contenuto vitaminico. Per sfruttare invece le verdure crucifere (broccoli, cavoli, verze), si devono rispettare alcuni principi. Per difendersi, esse liberano gli enzimi che generano gli isotiocianati (potenti proprietà antitumorali) solo quando viene rotta la parete cellulare della loro pianta. Così, se vogliamo mangiare i cavoli, sarà necessario tagliarli e prima di cuocerli attendere 5-10 minuti affinché avvenga la reazione enzimatica successiva alla rottura cellulare.
Frutta e verdura fresca sono raccomandate. I minestroni surgelati e le insalate in busta?
Non dovremmo sentirci a posto nell’assumere la nostra porzione di verdura mangiando l’insalata in busta. Lavata tanto tempo in acqua e cloro, esposta per giorni alla luce dei frigoriferi, non presenta altro che una minima frazione di fibre; le vitamine, sostanze organiche deperibili, degradano. Per il minestrone, la perdita delle proprietà c’è, ma parziale. Seppur processato, è lavorato a poche ore dalla raccolta (passaggio al vapore delle verdure) e almeno una parte dei nutrienti, più fibre che altro, si recupera assumendo il liquido o brodo di cottura. Se non si vuole cucinare, fra tutte le cose che riempiono lo stomaco, costituisce il male minore.
Nell’ultimo decennio i casi di celiachia sono aumentati in modo macroscopico. Come si devono orientare i consumatori?
Prestare attenzione alla possibile presenza di pesticidi e propendere senz’altro per il biologico. Poi, ruotare i cereali (farro, riso, grano saraceno, orzo). Non abbiamo mai mangiato tutto questo grano: a colazione, pranzo, merenda e cena. Occorre riscoprire il potere dei legumi, una delle principali fonti di fibra, importantissima per la salute dei batteri che ospitiamo nel nostro tubo digerente e che sono in grado di produrre tante sostanze preziose, comprese le vitamine. Il 45% di ciò che circola nel sangue è di derivazione batterica. Questo ci fa capire quanto avesse ragione Ippocrate ad affermare che tutte le malattie originano nell’intestino. Soprattutto in riferimento a quelle malattie che coinvolgono il sistema immunitario e il cervello in un continuo dialogo con i batteri intestinali. Per il pane, non dovrebbero esserci altri ingredienti oltre la farina di partenza, una pasta madre, l’acqua ed eventualmente il sale. Qualsiasi tipo di pane che il giorno dopo risulti incommestibile non va comprato. Contiene allora quei miglioratori (non indicati in etichetta) che il giorno prima ci hanno illuso con ben altri sentori. L’integrale di frumento di solito va evitato perché ha tanti pesticidi e molte lectine, proteine irritanti. Se è vero che la fibra fa bene non può dirsi nel caso dell’integrale di frumento che non preveda l’eliminazione delle lectine attraverso gli ammolli delle farine. In questi casi (virtuosi), il prezzo elevato del pane purtroppo è quasi quanto quello della carne.
Alcuni fattori inducono a ridurre il consumo di carne e pesce. Si diffonde così la subcultura vegana. Questa scelta ha delle controindicazioni?
Eccome. I prodotti ultra-trasformati, tutti questi burger e finte carni vegane, fanno male a prescindere da ciò che contengono (anche se ‘vegetale’): per farli assomigliare alla carne hanno aggiunto una tonnellata di additivi. Non è semplice individuare il corretto apporto proteico ma si può rinunciare tranquillamente alla carne; devono però essere garantiti nutrienti come la vitamina B12 e lo zinco. Più problematica la rinuncia al pesce, fonte di omega 3, la cui carenza conduce a demenza. Diventa allora necessario integrarla con oli essenziali algali ricchi di DHA, essenziale per la salute del cervello. Ormai gli alimenti molto trasformati, probabilmente tutti quelli che hanno più di 4 ingredienti e la cui materia di partenza non è riconoscibile, hanno invaso l’industria alimentare. E ogni porzione consumata quotidianamente aumenta il nostro rischio di ammalarci o morire precocemente del 14%. Fanno inoltre ingrassare attraverso un’alterazione del microbiota intestinale. Oggi, proprio la perdita del valore nutrizionale del cibo spiega la pandemia di malattie croniche. Dove prima si moriva di fame, adesso si muore di obesità: accanto a un bambino malnutrito con nulla da mangiare vi è pure un bambino obeso, ma ugualmente malnutrito di micronutrienti.
Seguire una dieta non è mai semplice. Suggerimenti anche per chi necessita di opzioni pratiche ed economiche?
Chi ha problemi di tempo dovrebbe considerare formaggi e trasformati come pesce e legumi in vetro, certamente meno deleteri degli ultra-processati. Si possono mescolare le proteine insieme a cereali, verdure e frutta secca. Un ottimo modo per riproporre un po’ di tutto. Una sorta di insalata super completa che dona sazietà e fa arrivare meno affamati alla cena. Fondamentale per non impoverire la dieta con le sole macro categorie di alimenti. Anche perché un pasto a base di carne reca con sé la necessità di mangiarne tanta (che è costoso). In generale, bisogna redistribuire più calorie nella prima parte della giornata. È stato studiato che una colazione ricca e proteica riduce spontaneamente la quantità di cibo giornaliera del 20%. L’essere umano è un predatore diurno mentre di notte va in modalità parasimpatica: i mitocondri, le nostre centraline energetiche, di giorno operano ad alta efficienza; di notte, funzionano meno bene e producono più stress ossidativo e infiammazione nel trasformare il cibo in energia. Le calorie consumate di giorno si bruciano meglio. Mangiare poco la sera era un principio essenziale che tutti i nonni conoscevano (secondo il detto “una colazione da re, un pranzo da principe e una cena da povero”), ma che noi abbiamo completamente dimenticato.
Nuove frontiere dell’alimentazione, carne coltivata e farina di insetti. Lei come la pensa?
Assolutamente contraria alla carne sintetica. Non abbiamo bisogno di proteine di sintesi, per di più costosissime, bensì di micronutrienti. Mentre resto favorevole alla farina di insetti. Proprio perché l’individuo, per ‘fare’ un cervello adeguato, ha bisogno di nutrirsi con sostanze presenti negli animali in forma concentrata. Considerando poi la crescita demografica e quindi l’eventualità che il cibo diventi poco per tutti, individuare alternative meno impattanti sulle nostre risorse è un’ottima soluzione. Non possiamo permetterci di cedere ancora suolo e atmosfera per allevare massivamente. La farina però deve contenere quei nutrienti che derivano dal vegetale. Altrimenti il rischio è che siano anche queste insufficienti a livello nutrizionale, parimenti impoverite dai mangimi ogm dati agli insetti. Ci tengo però a dire che gli insetti hanno sempre fatto parte della cultura alimentare di alcuni popoli; venivano mangiati nei vicini paesi dell’Europa del Nord per non soccombere alla fame quando il cibo scarseggiava. Possiamo pertanto proseguire lungo quella linea.