Produzione legata alla quantità, prezzi che crollano, la Spagna che detta le regole, il primato varietale italiano, i Paesi emergenti... Sono tanti gli argomenti e i numeri che negli ultimi anni si sono accavallati in materia di olivicoltura e olio di oliva, e ogni volta che qualcuno tirava in ballo analisi e valutazioni, qualcuno era pronto a smentirli, portando altre cifre e dati. A far un po’ di chiarezza questa volta ci ha pensato uno studio realizzato dalla società spagnola Juan Vilar Consultores Estratégicos, considerata tra le realtà di riferimento nell’analisi del mondo olivicolo. Nel suo report "International Olive Growing - Worldwide Analysis and Summary" si analizza il settore olivicolo mondiale in tutte le sue sfaccettature. Il risultato è una interessante panoramica che in alcuni aspetti sorprende anche gli esperti del settore.
I numeri della produzione
L'olivicoltura è praticata in 58 Paesi distribuiti nei cinque continenti, per un totale di 11.512.015 ettari coltivati, tuttavia il suo consumo si estende a un totale di 179 Paesi. Da qui nasce l’esigenza di aumentare la produzione, tanto che ogni anno vengono piantati 162.000 ettari di oliveti, di cui la maggioranza di natura superintensiva (quelli da un migliaio di piante per ettaro). Tuttavia il modello di impianto tradizionale costituisce ancora il 61% delle piantagioni, mentre quello intensivo il 19%, lasciando così in netta minoranza (10%) gli impianti ad alta densità. Entrando nel dettaglio della produzione di olive si scopre che il 13,39% è dedicata alle olive da tavola, mentre l'86,61% è destinata alla produzione di olio.
In questo contesto la Spagna fa la parte del leone e quindi non sorprende sapere che circa il 30% dell’olio di oliva mondiale proviene da una sola varietà, la picual (tipica della penisola iberica), e un ulteriore 10% dalla varietà arbequina (adatta soprattutto a impianti ad alta densità). Ebbene sì, il 40% dell’olio di oliva mondiale proviene da due sole cultivar, su un patrimonio varietale globale che ne conta circa 1.500 e di cui 1/3 è presente in Italia.
Il volume degli affari
L’olivicoltura mondiale genera un volume economico annuo compreso tra 9.500 e 13.500 milioni di euro, con un livello occupazionale che coinvolge oltre 35 milioni di persone. L'Europa rimane leader per quanto riguarda l’impatto economico del settore oleicolo contribuendo quasi al 71% del volume d'affari globale e oltre il 41% dell'occupazione.
L’aspetto ambientale
Per quanto riguarda il livello di sostenibilità ambientale si sottolinea che, poiché si tratta di una coltura legnosa permanente, è considerata come una sorta di foresta artificiale fondamentale per l’ecosistema e la biodiversità, assumendo, con i suoi 116.000 chilometri quadrati, una proporzione di 47 volte più piccola dell'Amazzonia. Per contro c’è da dire che ogni ettaro di oliveto produce una media di 2,6 tonnellate di CO2 all'anno, poco più della metà di ciò che ogni abitante del mondo genera in media (4,9 tonnellate). Quindi complessivamente possiamo dire che l'olivicoltura internazionale produce un totale di 30 milioni di tonnellate di anidride carbonica, ovvero il 10% del biossido di carbonio totale che la Spagna genera ogni anno.
Quello che si evince da questa panoramica è che ogni qual volta si volesse approcciare alla progettazione di politiche, strategie o linee d'azione dedicate all’olivicoltura, si dovrebbe partire da una perfetta conoscenza del contesto internazionale in cui si opera e delle peculiarità del luogo dove quelle politiche e strategie devono essere attuate.
Per consultare il report in lingua inglese: www.juanvilar.com/project/international-olive-growing
a cura di Indra Galbo