L'impero di Daniel Boulud
Quando, nell'autunno 2014, l'esclusivo ristorante Daniel perse la terza stella, della delusione di Daniel Boulud si fece un gran parlare. E invece, nonostante la Michelin continui a classificare la rinomata tavola di Manhattan nel novero dei bistellati di New York, il maestro francese è rimasto saldo nel gruppo degli chef più stimati in città. Ma la dedizione alla causa dell'alta cucina non gli ha impedito negli anni di diversificare l'attività, un po' come è abitudine di molti grandi chef d'oltreoceano, che al talento del cuoco uniscono un ottimo fiuto imprenditoriale. E la voglia di rischiare su una piazza tutt'altro che clemente. Ci hanno provato recentemente Daniel Humm e Will Guidara con Made Nice, il messicano Enrique Olvera con le colazioni di Atla, il redivivo Wilye Dufresne con la ciambelleria Du's. Mentre veterano del genere è David Chang, miniera di idee e prolifico inventore di format di ristorazione informale. Boulud, dal canto suo, nel 2011 battezzava l'insegna Epicerie Boulud, un po' boulangerie francese, un po' coffee shop, inaugurato al Lincoln Center, e replicato in Greenwich street, nella food hall dell'hotel The Plaza, e presto al World Trade Center Oculus (dove dall'anno scorso Eataly è uno dei fiori all'occhiello dell'offerta gastronomica). Ma sono molti i progetti che oggi fanno capo all'impero della ristorazione Boulud, dal Bar Boulud all'adiacente Boulud Sud dedicato alla cucina del Mediterraneo, al Cafè Boulud dell'Upper East Side, che condivide la scena con il Bar Pleiades, specializzato nel bere miscelato. E ancora il Db Bistro Moderne, esemplato sull'idea di un bistrot parigino dal piglio contemporaneo, celebre per i suoi Db burger.
La chiusura di DBGB. La crisi della brasserie
Il DBGB Kitchen and Bar, invece, nasceva otto anni fa sulla Bowery, celebre corridoio di cesura tra Chinatown, Little Italy e il Lower East Side, a Manhattan. L'insegna coniuga la cucina di una brasserie francese con l'atmosfera informale di una taverna americana, con cucina a vista: in tavola arrivano salsicce, hamburger, frutti di mare, costolette d'agnello, pietanze rustiche da bistrot francese; in abbinamento un'ampia selezione di birre. Mentre la zona bar all'aperto funziona nella bella stagione per brunch del weekend e cene informali durante la settimana. Questo fino all'11 agosto, quando il DBGB chiuderà per sempre i battenti. Il motivo? Gli incassi non sono più all'altezza delle aspettative, specie nei giorni infrasettimanali. Resterà invece in attività l'insegna gemella aperta a Washington, dove arriverà lo chef Nicholas Tang. Ma l'intenzione è quella di riaprire al più presto anche l'avanposto newyorkese, in uno spazio più appropriato alle necessità. Ma certo pesa nella decisione anche la volontà di concentrarsi sul progetto ambizioso che vedrà protagonista lo chef all'interno del grattacielo in costruzione One Vanderbilt, che sta sorgendo proprio accanto al Grand Central: un grande ristorante da 150 coperti pronto entro il 2020, al secondo piano dell'edificio destinato a diventare una delle più alte office tower in città.
David Chag apre a Los Angeles
E mentre da New York si segnala anche la chiusura di Salvation Burger – l'insegna specializzata in hamburger by April Bloomfield all'interno dell'hotel Pod 51, Midtown, aperta a febbraio 2016 e coinvolta qualche mese dopo in un brutto incendio – da Los Angeles arrivano interessanti indiscrezioni. Proprio il team Bloomfield – Friedman starebbe maturando progetti in città, ma la metropoli californiana piace molto anche a David Chang, che il prossimo inverno aprirà un nuovo ristorante tra Chinatown e Koreatown (“dove il cibo è straordinario” ammette Chang). Il tredicesimo del gruppo Momofuku nato nel 2004, il primo a LA, dove presto aprirà anche il Milk Bar di Christina Tosi. Da più di un anno Chang progetta l'esordio sulla West Coast, “uno spazio inaspettato” lo definisce lui, in stretta sinergia con i farmer's market della città, per offire qualcosa di “nuovo e delizioso”, ancora work in progress. North Spring si chiamerà. E la curiosità è già tanta.
a cura di Livia Montagnoli