“Il marchio Qualità Vegetariana® Vegan è promosso dalla Associazione Vegetariana Italiana (Avi) e viene concesso in uso alle sole aziende che hanno ottenuto il certificato di conformità da parte del Gruppo Csqa-Valoritalia” dice Maria Grazia Ferrarese (Csqa), che spiega: ”Si tratta di una certificazione volontaria a fronte dello standard privato Qualità Vegetariana® in quanto il claim "Vegan" non è regolato a livello comunitario o nazionalecome ad esempio avviene per il biologico.
Le aziende vitivinicole vegane
Al momento sono 10 le aziende che possiedono la certificazione vegana – quasi tutte ottenute nel 2014 - ma ci sono già nuove pratiche in corso. A livello non istituzionale, invece, esistono altri tipi di riconoscimenti, le cosiddette “certificazioni etiche” che documentano l’adesione delle aziende ad altre associazioni vegane, sebbene manchi in questo caso il passaggio attraverso un ente terzo certificatore in senso stretto. Tra queste realtà citiamo ad esempio, VeganOk, una delle più note anche a livello internazionale o il marchio V-Label, sempre creato dall’Avi negli anni ’70 e oggi adottato in tutto il mondo.
Venturino Vini
“Noi abbiamo sia la certificazione Valoritalia, sia quella di VeganOk”, ci dicono due vegani convinti, Piercarlo Venturino e la moglie Mary di Venturino Vini (17 ettari di vigneto in provincia di Asti per una produzione di 20 mila bottiglie l’anno,). “L’una completa l’altra” spiegano “perché la prima è molto tecnica, l’altra molto etica e attenta alla coerenza nelle scelte aziendali, anche al di là della produzione di vino. È chiaro che se aderisci alla filosofia vegana non puoi, poi, proporre il tuo vino in abbinamento ad un agnello, o partecipare a fiere dove si uccidono animali”. Ovviamente, va da sé, che il consumatore può anche non essere vegano, e scegliere questo tipo di prodotto solo in base alla bontà del vino stesso. “In generale si tratta di un prodotto genuino” racconta Piercarlo“dove non ci sono chiarificanti animali e dove le scelte sia in vigneto sia in cantina, sono fatte in ottica etica. Noi già prima della certificazione, infatti, seguivamo le stesse pratiche di oggi, dall’utilizzo di concimi vegetali alla tecnica della centrifuga in cantina, senza chiarificanti”.
Ma perché allora un’azienda dovrebbe scegliere di certificarsi, con notevoli sforzi in più in termini di costi, di burocrazia e di controlli? “Se 30 anni fa le certificazioni volontarie, come quella bio o vegana non erano necessarie nell’ottica di mercato” ci spiega Mary “oggi le cose son cambiate. Il rapporto con il consumatore è sempre più importante ed è lui stesso che, tramite i social network, ma anche tramite un rapporto diretto e, appunto, tramite la certificazione, vuole sapere chi sei e cosa fai. È vero che per le aziende aumenta la mole di lavoro, burocraticamente parlando, ma magari ci fossero più certificazioni!É l’unico modo per garantire al cliente trasparenza e tracciabilità”.
Fattoria Casabianca
Vediamo, allora, come di fatto avvengono i controlli e quali sono le pratiche che un’azienda vegana deve seguire per essere considerata tale. Ne abbiamo parlato con Giacomo Sensi, agronomo di Fattoria Casabianca (650 ettari, di cui 70 vitati, in provincia di Siena e 400 mila bottiglie prodotte). “L’adesione alla filosofia vegan riguarda ogni fase di produzione. Si parte dalla vigna dove non possono essere utilizzati prodotti derivanti da animali, perfino quelli che possono sembrare più innocui. Faccio un esempio. Praticando anche l’agricoltura biologica, da anni utilizzavamo la propoli come prodotto vegetale, adesso, però abbiamo deciso di sostituirla. In cantina sono vietati i chiarificanti che derivano da uova, latte e tutto ciò che riguarda o che semplicemente ha avuto a che fare con l’animale. Quindi niente colla di pesce o gelatina animale. Attenzione ciò non significa che siano veleni. È solo un’ottica animalista che, nel nostro caso, ci porta a sostituire queste sostanze con proteine vegetali derivanti da patate e frumento. Ma non è finita. A tutto ciò si aggiunge il packaging, per il quale non possiamo utilizzare pigmenti animali per le etichette, né colla di animale per lo scotch: i controlli vanno dall’etichetta ai cartoni in cui si spediscono le bottiglie”. Al bando anche il letame da usare come concime naturale, quindi. E qui probabilmente i tradizionalisti del vino inizieranno a storcere il naso. Ma come si dice, le regole son regole. Così come le scelte.
Chiediamo allora a Giacomo il perché di questa decisione: “I motivi della conversione sono filosofici e non economici. Poi ben vengano i risultati. In particolare io sono vegetariano (non vegano quindi; ndr) e l’azienda è sempre stata sensibile a questo tipo di aperture. Inoltre, essendo una realtà impegnata anche dal punto di vista sostenibilità, uno degli obiettivi che ci siamo prefissati entro il 2022 è il ciclo chiuso, ovvero l’uso di materie unicamente prodotte al nostro interno. Cosa possibile solo attraverso la conversione vegetale”.
Azienda San Giovanni
Ci spostiamo dalla Toscana alle Marche, la regione più virtuosa nella conversione vegana: lo sono 5 cantine su 10. “Probabilmente questo fenomeno si spiega con le piccole e medie dimensioni delle aziende marchigiane” prova a spiegarci Gianni Di Lorenzo dell’azienda San Giovanni di Offida (45 ettari di cui 35 vitati per una produzione di circa 150 mila bottiglie) “realtà quasi artigiane, ma molto elastiche e recettive ai cambiamenti”.
La sua azienda ha fatto un passaggio inverso: si è resa conto di produrre già in regime vegano e solo dopo ha scelto la certificazione: “Il nostro importatore svizzero ci ha chiesto se, visti i nostri sistemi di produzione, potevamo dotarci della certificazione. Noi, infatti, producevamo già in regime biologico e di fatto utilizzavamo anche in cantina solo sostanze vegetali derivanti dai legumi. La certificazione è stato un passo in più e un valore aggiunto. Adesso la nostra azienda è un via vai di controlli, da quelli per il bio a quelli per il vegano passando per quelli che vengono dall’estero, dagli importatori appunto. Ma va bene così”.
Scelta di vita, ciclo chiuso, adesione quasi casuale ai dettami vegani: tanti, diversi, a volte originali i motivi che hanno spinto le aziende ad adottare la certificazione. Ma quali sono le risposte che un vino vegano – e ancora meglio un vino vegano certificato – può avere sul mercato ai giorni nostri e in un Paese non esattamente aperto alle “novità” come può essere l’Italia? “Ne dovremmo riparlare tra qualche mese” ci dice Gianni “è ancora troppo presto per saperlo. In ogni caso stiamo cercando di spingere le vendite anche verso nuovi canali. Penso ad esempio ai ristoranti macrobiotici sempre più numerosi o alle enoteche specializzate. All’estero è più facile perché soprattutto in Svizzera e Germania da sempre c’è una maggiore sensibilità verso questi temi”.
Le prime 10 aziende vegane certificate
MARCHE
Azienda agrobiologica San Giovanni
Cantina Offida
Società agricola Ciù Ciù, tutte nel Comune di Offida (Ascoli Piceno)
Società agricola Pievalta a Maiolati Spontini (Ancona)
Azienda vinicola Costadoro a San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno).
TOSCANA
Fattoria Casabianca a Murlo (Siena)
Frantoio La Pieve ad Arcille di Campagnatico (Grosseto)
ABRUZZO
Olearia vinicola Orsogna nel Comune di Orsogna (Chieti)
PIEMONTE
azienda di Venturino Giancarlo nel Comune di Vaglio Serra (Asti)
VENETO
Perlage S.r.l. in provincia di Treviso, a Farra di Soligo
a cura di Loredana Sottile
Per leggere Vino vegano. L'inchiesta. Parte 1 clicca qui
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 2 aprile
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