C’è chi li considera adepti di una comunità anacronistica in stile figli dei fiori, chi degli estremisti del mangiar sano, chi dei filosofi dell’anti-specismo, chi dei modaioli 2.0. E poi c’è chi, al di fuori delle etichette, cerca semplicemente di capire. Stiamo parlando dei vegani, una realtà di oltre 800 mila persone solo in Italia (sono 8 milioni i vegetariani), le cui scelte – dal vestire al mangiare – sono guidate dalla cosiddetta cruelty free. E l’attenzione verso il fenomeno è sempre più alta, come dimostrano i numerosi punti vendita vegan nati negli ultimi anni o i principali saloni agroalimentari: dal Sana di Bologna che dedica ai vegani una sezione specifica al Vinitaly che la scorsa settimana ha proposto una degustazione di vini vegani. Così nei giorni in cui le nostre città sono tappezzate di cartelloni contro la mattanza degli agnelli (“Immolato per il sacro business”; “A Pasqua fai un sacrificio, non uccidermi”; “Felici come una Pasqua anche gli agnelli”, solo per citarne alcuni) abbiamo provato ad avvicinarci a questa realtà, cercando di capire in che modo il vino possa rientrarvi.
Il veganesimo
Facciamo, allora, un passo indietro alla definizione stessa di vegano. La derivazione è la stessa di vegetariano, ma con un’accezione ancora più restrittiva, come spiega Maria Chiara Ferrarese, responsabile Ricerca e Sviluppo e Business development di Csqa-Certificazioni srl: “I prodotti destinati ai vegetariani non devono contenere carni, di qualunque tipo, e più in generale ingredienti o loro derivati ottenuti dall’uccisione diretta di animali. Si pensi ad esempio alla colla di pesce. Nei prodotti destinati all’alimentazione vegana, invece, è vietato anche l’impiego di derivati di origine animale non necessariamente ottenuti dall’uccisione di animali. Come per esempio latte e derivati”. Insomma siamo ben lontani dai tempi in cui si utilizzava addirittura il sangue di bue per la chiarificazione.
La certificazione vegana
Domanda plausibile, almeno se fatta da un neofita: il vino non può essere considerato già di per sé un prodotto vegano o comunque compatibile col veganismo, visto che non contiene, apparentemente, né carne né pesce? La risposta è ovviamente no. Tanto che da due anni le aziende vitivinicole hanno la possibilità di farsi certificare, con la “Qualità Vegetariana® Vegan”, dal Gruppo Csqa-Valoritalia, in sinergia con l’Associazione Vegetariana Italiana (Avi). Il Marchio - anzi i marchi: Qualità Vegetariana e Qualità Vegetariana Vegan - sono di proprietà della presidente dell’Avi, Carmen Nicchi Somaschi. Ma perché c’è bisogno di controlli, di marchi e addirittura di una certificazione per stabilire che un vino non contenga carne o pesce?
L'iter della certificazione
Maria Grazia Ferrarese (Csqa) spiega l’iter della certificazione: “Il marchio Qualità Vegetariana® Vegan è promosso dalla Associazione Vegetariana Italiana (Avi) e viene concesso in uso alle sole aziende che hanno ottenuto il certificato di conformità da parte del Gruppo Csqa-Valoritalia” dice. ”Si tratta quindi di una certificazione volontaria a fronte dello standard privato Qualità Vegetariana® in quanto il claim "Vegan" non è regolato a livello comunitario o nazionale come ad esempio avviene per il biologico".
Qual è la procedura per ottenere il marchio? “La cantina interessata ad ottenere il marchio deve predisporre un disciplinare aziendale. Csqa-Valoritalia ne valuta la conformità e l'adeguatezza e chiede eventuali correttivi. Quando il disciplinare aziendale si ritiene conforme Csqa-Valoritalia effettua la verifica ispettiva in cantina allo scopo di verificare che le attività effettuate siano coerenti. In occasione della verifica possono essere anche effettuati campionamenti da destinare ai controlli analitici. Se la verifica dà esito positivo viene emesso il certificato di conformità sulla base del quale viene concesso il marchio Qualità Vegetariana® Vegan”. Una volta ottenuto il marchio cosa accade? “Il certificato ha validità triennale e il suo mantenimento è subordinato al superamento di verificheispettive e i controlli documentali annuali. Laddove ritenuto necessario / opportuno l'organismo di certificazione effettua anche controlli analitici volti a ricercare eventuali tracce di derivati animali. La verifica dell'ente di certificazione si concentra sulla fase di trasformazione dell'uva e di imbottigliamento”. La fase di coltivazione non è compresa nelle attività di verifica, dunque. “Ci possono essere casi più complessi dove la cantina acquista vino da fornitori terzi e quindi vi potrebbe essere un potenziale rischio di commistione, per cui è necessario che anche il fornitore sia certificato a fronte dello standard Qualità Vegetariana® o, nel caso in cui non sia in possesso di certificazione autonoma, si sottoponga alle verifiche ispettive in autocontrollo da parte della cantina oltre che dell'organismo terzo".
a cura di Loredana Sottile
La seconda puntata della nostra inchiesta verrà pubblicata mercoledì 8 aprile 2015
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 2 aprile
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