«Il mondo del vino è chiamato a esplorare nuovi mercati, tra cui quelli che richiedono una dealcolizzazione totale o parziale del prodotto», ha dichiarato ad Ansa Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi, all’indomani della presentazione del decreto. Le parole di Cotarella, pronunciate a margine dell’incontro con il ministro dell'agricoltura Francesco Lollobrigida, delineano un equilibrio necessario. Il decreto, atteso da mesi, definisce norme precise per la produzione e commercializzazione dei vini dealcolati in Italia, una decisione che pone il nostro Paese in linea con il resto d'Europa, ma che, come sottolineato dal presidente di Assoenologi, richiede «grande attenzione e professionalità, per evitare di mandare sulle tavole del mondo spremute d’uva zuccherate e di pessimo gusto».
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Il compromesso sul nome
La questione terminologica resta però al centro del dibattito. Fino a poche settimane fa, lo stesso ministro dell'agricoltura Lollobrigida dichiarava di voler evitare che i dealcolati fossero chiamati vini. Ora, invece, il decreto concede questa possibilità, pur mantenendo le denominazioni Dop e Igp esclusivamente per i prodotti tradizionali. Per Cotarella, il punto è chiaro: «I dealcolati non dovranno, in nessun modo, essere confusi con i vini tradizionali. Questi ultimi, anzi, dovranno essere tutelati e promossi a livello nazionale e internazionale». Una posizione che trova d’accordo gran parte della filiera, unita nel difendere l’identità del vino italiano anche di fronte alle nuove tendenze di consumo.
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Un mercato in trasformazione
Dietro il dibattito sui vini dealcolati si cela una trasformazione più ampia che investe il mercato globale del vino. «Negli ultimi mesi stiamo assistendo a cambiamenti significativi nell’approccio al consumo di vino», ha spiegato Riccardo Cotarella su Ansa. Tra questi, la crescente richiesta di prodotti con un contenuto alcolico ridotto o nullo, trainata da nuove sensibilità verso la salute, la religione e lo stile di vita. «Nella mia lunga esperienza di mode e tendenze varie ne ho viste parecchie, ma alla fine ha sempre prevalso la qualità dei vini, e sarà così anche questa volta». La sfida, secondo Cotarella, non è solo soddisfare le richieste di un mercato in evoluzione, ma farlo senza tradire l’essenza del vino italiano: «Produciamo pure vini alcol free, ma facciamolo con la qualità e l’attenzione che contraddistinguono i nostri prodotti», e conclude: «Dobbiamo analizzare con attenzione questi nuovi trend ma senza snaturarci. La qualità ha sempre avuto l’ultima parola, e sarà così anche per i vini dealcolati». Una rivoluzione, dunque, per il presidente Assoenologi, ma controllata.