Per la serie, ce le siamo date, ora anche basta. Lunedì 15 aprile c’è stato un incontro significativo all’interno del Vinitaly, territorio neutro: lo stand del Gambero Rosso. Paolo Vodopivec, presidente del Consorzio Vini Veri, e Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione Italiana Vini, hanno dimostrato come mondi apparentemente così distanti siano in realtà sulla stessa barca. Da una parte, è intervenuto uno dei vignaioli più ispirati del Carso, portavoce del mondo naturale, dall’altra la trentesima generazione di una delle famiglie più importanti del vino tricolore, fedele alla tradizione, a capo dell’associazione di rappresentanza più strutturata di categoria. Sono cambiati i toni, i temi, i consumatori: tutto.
«Vogliamo assaggiatori curiosi, attenti, ben venga chi porta altri temi. D’altronde il vino perfetto non esiste e se finiamo per bere sempre le stesse cose poi finiamo solo per assaggiare la noia», apre Lamberto Frescobaldi, che poco dopo conferma quanto il mondo del naturale abbia contagiato in maniera positiva il sistema.
«Basta con il vino naturale come difetto, come associazione abbiamo l’obbligo di fare chiarezza, e anche di definire paletti più stretti sul termine naturale. Ci stiamo lavorando, confrontandoci anche con le istituzioni», ribatte Vodopivec. A dare ritmo al dibattito due vini di gran carattere: la Vitovska 2020 di Vodopivec e il Brunello Ripe al Convento Riserva 2018 di Castelgiocondo. Due bevute analogiche, ben articolate, complesse, pensate per il lungo corso. «È vero, qualche produttore si è fatto prendere un po’ la mano con la leggerezza, ma non dobbiamo farli così solo perché ce lo chiede il mercato» , esorta Paolo. «Mi piace pensare che qualcuno tra 20 anni berrà questo Brunello, apprezzando l’idea che c’è dentro», rilancia Frescobaldi.
C'è anche tempo per un po' di sana autocritica: «Le riserve indiane non portano da nessuna parte, probabilmente abbiamo peccato anche un po’ di arroganza, pensando di essere i migliori non si sa bene perché. È ora di confrontarci, soprattutto sui temi del cambiamento climatico», prosegue Vodopivec. Ed entrambi concordano: si parla ancora troppo di metodo, di giorni di macerazione, di affinamento: torniamo a parlare del senso del luogo! Per dividere l’idillio ci vuole il tema del dealcolato: «Non è vino, non chiamiamolo così, snaturiamo il nostro mondo», apre Vodopivece. «Non facciamo salti di gioia, ma dobbiamo prendere atto che non possiamo lasciare in mano alle multinazionali delle bevande questo prodotto. Non facciamoci superare solo per restrizioni normative, che senso ha dealcolare in Germania e poi riportarlo qui?», risponde Frescobaldi.