to sulla prestigiosa rivista statunitense “American Journal of enology and viticulture”. “La pubblicazione è un importante traguardo che sancisce la validità del metodo” racconta Rita Vignani “ed è una risposta a chi qui in Italia, o per paura o per diffidenza, ci ha dato contro fin dall' inizio”. Lo studio di Siena, infatti, non ha avuto vita facile fin dagli esordi, tanto da essere stato costretto a volare oltreoceano.
Ma vediamo di cosa si tratta: si parte da una banca dati dei Dna dei vitigni. A quel punto si estrae quello del vino in questione e dopo averlo isolato da altre componenti (come batteri e lieviti) lo si confronta secondo il principio di coincidenza per testare la veridicità di ciò che viene riportato in etichetta. Con la pubblicazione in America si è conclusa la prima parte del progetto applicata a sette vini monovarietali tra i più diffusi in Usa (Pinot Noir, Merlot, Sauvignon Blanc, Riesling, Zinfandel, Sangiovese e Alicante) e soprattutto si sono aperte nuove prospettive per l'applicazione pratica del metodo, così come riporta l'articolo: “identification tool could be used with current document and eletronic traceability methodos (such as labels, bar codes, Qrcodes) to reassure consumers”.
Come a dire lo studio sul Dna potrebbe trasformarsi, in un futuro non troppo lontano, in un'indicazione da apporre direttamente in etichetta con la dicitura “Dna traced”: un passo in avanti notevole per arrivare finalmente alla trasparenza vitivinicola e prevenire nuove Brunellopoli. “Adesso stiamo lavorando ad una seconda parte del progetto” spiega Vignani “dai monovitigni siamo passati all'analisi di alcuni blend che ci sono stati affidati dal Ttb e di cui dobbiamo individuare la componente principale. Siamo già alle fasi conclusive e avremo i risultati definitivi tra pochi mesi”. Tra l'altro la stessa Serge-genomics aveva già sperimentato con successo l'analisi sui blend per il Consorzio Vernaccia di San Gimignano, e i dati erano stati presentati al Vinitaly dello scorso anno. Un lungo lavoro a cui aveva partecipato finanziariamente anche la Provincia di Siena e che potrebbe riprendere nel 2013.
Per il resto, però, l'Italia del vino è sempre apparsa alquanto distratta o sospettosa in merito all'argomento-Dna e gli unici ad averci scommesso e ad aver sperimentato il metodo in prima persona sono le cantine di Montalcino, Caprili e Soldera. Che nessuno sia profeta in patria lo si sa, ma quali sono i motivi di tanta ostilità? “Probabilmente la paura” prova a rispondere Vignani, che spiega come “i produttori sono consapevoli che introdurre l'esame del Dna significhi assoluta trasparenza, mentre gli altri Istituti probabilmente ci temono. Adesso, però vorremmo i giusti riscontri anche in Italia, magari uscendo dalla Toscana per trovare consorzi più coraggiosi”.
D'altronde l'obiezione più grande viene a cadere: adesso la pubblicazione ufficiale c'è. E si trova nero su bianco su una delle riviste più prestigiose di ricerca enologica. Basterà questo per iniziare a credere nel Dna e investire nella ricerca anche nel nostro Paese?
a cura di Loredana Sottile
15/02/2013
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale "Tre Bicchieri" del 14 febbraio. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.