Sergio Chiamparino
Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte, è dallo scorso 18 aprile il nuovo presidente Arev, l’Assemblea delle regioni europee viticole che raccoglie 65 regioni vinicole di 21 paesi sia dell'Unione europea che dell'Europa centrale e orientale. Sostituisce, dopo sette anni di mandato, Jean-Paul Bachy, Presidente del Consiglio Regionale Champagne-Ardenne. Chiamparino, 67 anni, laureato in Scienze Politiche, già sindaco di Torino e deputato al Parlamento, precisa subito che la sua presidenza sarà all’insegna della continuità con le precedenti gestioni, anche se ci sarà un’accelerazione del ruolo lobbistico che l’Arev sta svolgendo nei confronti delle istituzioni europee e una parziale attenuazione dei toni polemici nei confronti del Ttip. Ecco cosa ci ha detto in esclusiva.
Che cos'è l'Arev?
Nata nel 1988 come Conferenza delle regioni europee viticole per iniziativa dei presidenti Edgar Faure, Jacques Chaban-Delmas e Gérard Baloup, nel 1994 a Marsala si è dotata di un nuovo statuto ed è diventata Assemblea delle regioni europee viticole (Arev) a cui aderiscono 59 regioni di 18 paesi europei ed extraeuropei. La sua missione è di intervenire presso tutte le istituzioni e le istanze incaricate, direttamente o indirettamente, nella politica vitivinicola europea e mondiale ed è attivamente coinvolta in tutte le tematiche e gli ambiti di intervento concernenti il vino. Tra le regioni italiane aderenti, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Sicilia, Alto Adige, Trentino e Veneto. Attualmente l’organigramma dell’Arev è composta dal Presidente Sergio Chiamparino (presidente della Regione Piemonte); dai vicepresidenti, Aly Leonardy (presidente del Cepv, Luxembourg) e Justin Vogel (vicepresidente della Regione Alsazia); dal Segretario generale Floriano Luciano (Piemonte); dal Segretario generale aggiunto, Dominique Janin (Arev di Strasburgo, Francia).
Presidente Chiamparino, da quando è iniziata la trattativa tra Ue e Usa sul Trattato di libero scambio (Ttip), l’Arev ha espresso una posizione molto critica. Lei che idea si è fatto?
Intanto in quadro di apertura degli scambi internazionali, più si liberalizza e meglio è. Anche se alcuni prodotti e vini devono essere rigidamente tutelati nella loro qualità specialmente quando quest’ultima è una parte integrante del prodotto stesso e ha un rapporto ancestrale con il territorio. In questo caso bisogna essere risoluti e irremovibili. Io non sono al tavolo delle trattative ma se lo fossi, isolerei rigorosamente tutte le produzioni che vogliamo tutelare e tutto il resto lo inserirei nell’ambito di un accordo sul libero scambio.
A che punto è la mozione sul Ttip che state preparando, annunciata nell’ultima sessione Arev?
La mozione è attualmente in una fase di perfezionamento tecnico, anche se è già stata sostanzialmente approvata, almeno nei temi generali, seppur con qualche lieve distinguo della Champagne. In ogni caso chiederò all’Arev di organizzare al più presto un giro di incontri presso le istituzioni europee, Parlamento e Commissione in primis, per presentare le nostre istanze in modo preciso e puntuale.
Nel suo discorso di insediamento, ha fatto riferimento a due nemici da battere “l’industrializzazione senza qualità ed il liberismo senza principi”. Quali sono i punti nodali che caratterizzeranno la sua presidenza Arev ?
Io e miei collaboratori saremo vigili e attivi per combattere questi due nemici mai domati. Che nell’agricoltura ci debba essere una qualche forma di industrializzazione, cioè un’organizzazione più efficace della produzione, a patto di salvaguardare la qualità, è una constatazione della realtà. Vuol dire non piantare dovunque e oltre l’immaginabile, vuol dire evitare tutte quelle pratiche che favoriscono la standardizzazione e che non prevalga il modello trademark. Credo che in ogni caso dobbiamo mettere insieme tutti i temi che abbiamo definito nell’assemblea di Epernay, a partire dalla posizione sul Ttip, sulle direttive europee sull’alcol, a quanto abbiamo detto sul rapporto tra aree viticole e turismo, sulla difesa dell’ambiente, sul riutilizzo dei prodotti della vigna, sulla biodiversità, sulla valorizzazione della cultura e dei territori, sul riconoscimento del valore delle produzioni tipiche della vite e del vino, ecc. Tutte posizioni che dovrebbero contribuire a formare una sorta di libro bianco/dossier da presentare alle istituzioni comunitarie. Insomma la mia presidenza Arev si caratterizzerà in questo modo: svolgere un’azione lobbistica da portare avanti con una grande trasparenza in tutte le istituzioni europee. Tutto ciò vuole anche essere un incentivo alla partecipazione all’Arev di altre regioni vinicole che non sono ancora entrate o che vorremmo che ritornassero a partecipare.
L’Italia del vino continua, nonostante le difficoltà, ad essere uno dei settori trainanti della nostra economia e del nostro export. A suo giudizio nel nostro Paese, le sue istanze hanno tutto lo spazio dovuto ?
Il settore è molto cresciuto se pensiamo a come erano in passato i tavoli sulle trattative quando la parte del leone la facevano le organizzazioni degli allevatori o cerealicole. Sono stati compiuti molti passi in avanti, ma probabilmente non ancora sufficienti, considerando che il vino ha resistito bene alla crisi, anche in termini occupazionali e dove c’è un ritorno di molti giovani alla campagna. Insomma ci sono molti segnali che si tratta di un settore vitale della nostra economia. Pertanto uno degli obiettivi è proprio di incrementare la nostra attività lobbistica per aumentarne il peso.
Durante il congresso Arev ha dichiarato che nella sua vita ha saltato pochissime vendemmie. Qual è il suo legame con la vite e il vino?
È un rapporto che nasce non tanto con il vino come bevanda quanto dalla vite come coltivazione. Sin da bambino ho sempre fatto le vacanze in un paese dell’Astigiano che si chiama Portocomaro, noto perché da qui sono partiti gli avi di Papa Bergoglio, famoso per la produzione di Grignolino, Barbera e Ruchè. D’estate vivevo con i miei parenti che erano vignaioli e cercatori di tartufi, pertanto i lavori nella vigna, la vendemmia e la vinificazione, li conosco da quando avevo i calzoni corti. Ovviamente sono cose che poi non ho coltivato, mentre in età matura ho ritrovato il rapporto fisico con la terra e con la vigna presso degli amici con cui in passato avevo condiviso il percorso politico, Bartolo Mascarello e sua figlia Maria Teresa. Una consuetudine che dura tuttora anche dopo la scomparsa del grande produttore. Un mese fa Maria Teresa Mascarello doveva fare dei lavori in vigna per legare le viti e uno dei suoi operai si era rotto un piede. Mi ha chiesto se per favore la potevo aiutare e così sono andato a Cannubi a Barolo a lavorare per legare le viti, dalla mattina presto sino al primo pomeriggio. Poi abbiamo smesso perché faceva un caldo boia. È una cosa che mi piace e quando posso la faccio volentieri.
a cura di di Andrea Gabbrielli
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 25 giugno
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