Il vino naturale è un fattore generazionale. Nelle sue manifestazioni ci colpisce, puntualmente, l’età media: sia di chi versa, quindi dei vignaioli, che di chi assaggia. È bassa, incredibilmente più bassa rispetto a tutti gli altri eventi di settore. Così è stato durante l’importante flusso di pubblico di Vini Selvaggi, la fiera indipendente organizzata da Solovino Enoteca Naturale a Roma, nello Spazio Novecento, il 13 e 14 marzo, che ha riunito oltre 80 produttori italiani e internazionali.
Gli eventi in presenza sono ripartiti con grande entusiasmo e afflusso: c’è voglia di scambiare, di farsi domande, di guardarsi in faccia. E in questo contesto, l’indefinito mondo del vino naturale ha una capacità attrattiva particolare: è l’unico capace di avvicinare i giovani consumatori, di coinvolgerli, di appassionarli con un’intensità peculiare. La sua narrazione mette insieme tanti temi cari soprattutto alle nuove linee: il cappello della sostenibilità ambientale, il recupero di pratiche agricole del passato, l’originalità del gusto come tratto artigiano; in sottofondo, la volontà di capovolgere schemi e regole del mercato, divertendosi nel tragitto.
Cambiano i clienti e le etichette comunicano sfrontate, giocano spesso la carta dell’ironia, del contrasto, della novità. Qui la comunicazione avviene su un piano trasversale, istintiva, giocata più sull’emozione del momento che sull’aspetto tecnico. E i punti di contatto con la birra artigianale non si fermano qui, sia in chiave anagrafica che in termini di velocità di consumo e di produzione. I vini in degustazione sono a dir poco giovani, con aspetti fermentativi spesso predominanti, per bevute spensierate stile-birra: più o meno alla goccia, più o meno a secchi. Mentre le lunghe macerazioni, sia sui rossi che sui bianchi, riportano il gusto amaro come elemento di avanguardia, proprio come succede in cucina tra alcuni dei migliori giovani cuochi della penisola, pensiamo alla strepitosa cucina di Gorini a San Piero in Bagno.
Alcuni meriti non proprio secondari da riconoscere al mondo del vino naturale? L’aver costretto l’intero comparto a interrogarsi su temi centrali: la riscoperta dell’autoctono, il mantra della bevibilità, la forte spinta della viticoltura biologica e biodinamica, la necessità di nuovo linguaggio. I rischi di oggi? La formula ceralacca, lieviti indigeni, anfora e lunghe macerazioni sulle bucce può facilmente prestarsi a fare da strumento di marketing capace di annullare il senso del luogo e l’originalità del gusto, al pari dei lieviti selezionati tanto demonizzati e tirature milionarie.
Tra il bere di pancia e la piacevolezza dell’istante c’è il rischio di rendere labile il confine tra vino, kombucha (che tanto ci piace) e succhi fermentati. Ci siamo dilungati, siamo qui per proporvi alcuni assaggi che hanno lasciato il segno, la bellezza di queste fiere è nella proposta di tanti volti nuovi ed etichette poco conosciute.
Vini Selvaggi. I nostri migliori assaggi
Tenuta San Marcello
Partiamo dalle Marche e le colline che guardano l’Adriatico. Dopo una serie di bicchieri davvero poco felici, spicca il frutto pieno, polposo, goloso del Verdicchio dei Castelli di Jesi Buca della Marcona 2019: un concentrato di luce e pesca, iodio e mandorla. Ha una beva avvolgente e ritmica, finale energico nonostante ciccia e materia in abbondanza. E un lungo sapore finale. Dello stesso produttore abbiamo assaggiato anche la Lacrima di Morro d’Alba 2020, che stuzzica con i suoi timbri di rosa e anice stellato, senza eccessi aromatici; la bocca è onesta e agile, gira bene su gusci di noce e pepe.
Agricola I Forestieri
Ci spostiamo tra i boschi dell’Alta Maremma, a Roccatederighi, per incontrare due giovani ‘forestieri’: il pisano Dario Marinari e l’argentino Ezekiel Allassia. Hanno recuperato vecchie parcelle, da una vigna complantata del 1951, a 600 metri di quota, propongono il Forestieri, sangiovese con saldo di grenache e piccole quote di montepulciano e ciliegiolo; lunga macerazione in anfora e poi sosta in cemento. Ha un profilo scuro, terroso, al contempo arioso e infiltrante, ricco di dettagli e spunti originali. Il frutto è in secondo piano, i contrappunti di ginepro, liquirizia e alloro vanno a segno. Siamo pronti a scommettere sul Girotondo Rosso 2021, sangiovese con tocco di trebbiano, una percentuale di macerazione semi-carbonica a grappolo intero, ma soprattutto una trama sottile e gioiosa di bacche scure e scorza d’arancia: leggerezza, peso e finezza aromatica sono autoriali. Il tutto conduce a una beva travolgente. Meno interessante il Rosé 2021, con un tratto aromatico che se ne va per fatti suoi, di buona prospettiva il bianco Rigo Male 2021, lungamente macerato ma ricco di energia e picchi. Le bottiglie totali sono 10mila e siamo solo alla seconda vendemmia di vinificazione…
Cascina Val Liberata
Nuove dal Monferrato. Maurizio Caffer ci dà il benvenuto tirando fuori dal cappello una varietà sconosciuta anche ai piemontesi, la slarina, anche chiamata cenerina per via della generosa quantità di pruina sull’acino, a prima vista come un velo di cenere. Nel bicchiere una tonalità che vira verso il viola e un profilo speziato-floreale sfizioso, il Cenerina 2019 ha una sua identità e un suo perché. Tutti i vini sono vinificati e affinati in cemento, è il caso anche di La Musa 2019, un Nebbiolo insolitamente fruttato per la varietà; a colpirci è senza dubbio il Grignolino, protagonista nell’Anarkoide 2020. Ha una presa in bocca a dir poco golosa, pepato e ricco di energia e slancio, carnoso e saporito. Ha un andamento gustativo molto naturale capace di traghettare una sapidità entusiasmante. In totale, 3.5 ettari di vigne per numeri veramente artigianali.
Chateau Landra
E Rodano sia, siamo sul versante sud-est, ai piedi del Mont du Vaucluse. Nell’ampia batteria di Frederic e Cécile Renoux, sono i rossi a prendersi la scena. A partire dal Petit Landra, blend di syrah, grenache e cinsault che danza su toni di ribes, viola e rosa molto ben sfumati e aggraziati. Da non perdere lo Chateau Landra 2016, prodotto da piante di almeno 50 anni: grenache e syrah in parti eguali, solo acciaio. Ha stoffa e carattere, in bocca è un guanto di sapore, intenso, stratificato, fine nei richiami balsamici e di macchia mediterranea. Il finale è guizzante. I prezzi d’acquisto? A dir poco competitivi.
Decideret
Chiudiamo con un succo rigenerante prodotto alle porte di Copenaghen, tra le capitali mondiali del vino naturale. Attratti unicamente dal colore luminosissimo, assaggiamo Spontan 2020+2021, un Petillant Brut Nature Rosé, originale blend di mele di Fyn e ribes di Jutland che vanno incontro a una macerazione carbonica di tre settimane. Il risultato è una scossa di frutti rossi acerbi, mela annurca e lieviti, sospinti da un’acidità assassina che spiazza non poco. Ma poi piace e richiama il sorso. Frankly speaking: la differenza con diversi vini in degustazione non è poi così marcata.
a cura di Lorenzo Ruggeri