Rosati: la situazione pre-pandemia
Dopo 15 anni di forte crescita, i consumi mondiali di vino rosato si stabilizzano a 23,6 milioni di ettolitri, la produzione scende a 23 milioni di ettolitri ma segna il secondo record dal 2000, gli scambi internazionali si attestano 2,3 miliardi di euro, aumenta il prezzo medio al litro (2,1 euro) nei sette principali Paesi esportatori, tra cui l’Italia che è seconda a valore (dietro la Francia), con 466,2 milioni di euro. I nuovi dati dell’Osservatorio mondiale del rosé, che riunisce France Agrimer e Civp (il Consiglio interprofessionale dei vini di Provenza), sono riferiti al 2019 e tracciano un prezioso quadro di questo particolare segmento nel periodo pre-pandemia, con un’analisi sui trend decennali, che sarà molto utile quando si conosceranno anche i numeri del 2020, anno in cui la tempesta Covid ha sparigliato le carte, non solo di questa categoria bensì di tutti i vini.
Le prospettive future per i rosati
I contraccolpi sul sistema ci sono stati, anche per il grande distretto della Provenza (-6% nel 2020), ma per la nuova e attesa accelerata dell’onda rosa che ha caratterizzato il mercato in questi ultimi anni sembra essere solo questione di tempo. A fare da traino sarà la rinnovata fiducia di imprese vitivinicole e consumatori, a seguito delle riaperture delle attività di ristorazione, del turismo e degli eventi al pubblico. L’Italia sta preparando una lunga estate con diverse iniziative che vedranno in prima linea i Consorzi associati a Rosautoctono (l’istituto che comprende Bardolino che ha appena lanciato la petizione per una emoji per i rosati, Valtènesi, Abruzzo, Salice Salentino, Castel del Monte, Cirò), le cui attività sono rimaste ferme per oltre un anno. C’è di più: la grande famiglia dei rosati Made in Italy, per intercettare la ripartenza, potrà sfruttare l’effetto traino del nuovo Prosecco Rosé, che rapidamente sta conquistando i produttori del grande distretto veneto-friulano e che, da ottobre 2020 ad aprile 2021, ha imbottigliato oltre 40 milioni di pezzi.
Consumi nel mondo a quasi 24 milioni di ettolitri
La prima cosa che balza all’occhio scorrendo i principali dati dello studio di France Agrimer e Civp è che la quantità di rosati consumati nel mondo sembra essersi assestata intorno ai 23,6 milioni di ettolitri, dopo aver raggiunto i massimi nel 2016 (oltre 26 mln/hl). Resta alta la quota di tale segmento rispetto ai vini fermi: 10,5% (era del 9,9% nel 2009 e dell’8,4% nel 2002). Significa che è rosa più di una bottiglia su dieci di vino fermo consumata nel mondo. A livello continentale, Europa e Stati Uniti sono i principali attori. In particolare, la Francia con 8,1 mln/hl occupa il 35% a volume (-6,4% sul 2018) e gli Stati Uniti con 3,5 mln/hl il 15%, seguiti dalla Germania (7% a 1,7 mln/hl). Rispetto alla media 2007-2011, i primi tre mercati crescono, mentre Italia (5%, a 1,1 milioni di ettolitri) e Regno Unito (5%) perdono un punto. Considerando il consumo pro-capite, la classifica vede in testa i francesi (15 litri), seguiti da Uruguay (9,7), Cipro (5,2), Belgio e Svizzera, entrambi a 5,1. L’Italia è stimata a 2,1 litri pro-capite annui. In linea generale, come sottolineano gli analisti di France Agrimer, si nota un effetto concentrazione dei volumi sui mercati più importanti, dal momento che la quota dei piccoli Paesi consumatori è scesa, passando in dieci anni dal 28% al 23% del totale.
Italia quarto Paese produttore
La produzione 2019 di rosati nel mondo ha totalizzato 23 milioni di ettolitri, in lieve calo sul 2018 che fu un’annata record. I vini rosati hanno raggiunto una quota del 9,9% sui volumi di vini fermi, proseguendo il trend di crescita osservato tra 2002 (8,5%) e 2009 (9,5%). La Francia si conferma leader, col 34% delle quote(7 mln/hl e -5,8%), seguita da Spagna (4,9 mln/hl e +7%), Stati Uniti (3,4 mln/hl) e da un’Italia che conta 2,2 mln/hl, occupa il 10% delle quote a volume e che solo nel 2010 era secondo produttore mondiale con oltre 5 mln/hl di vino rosato. Seguono Sudafrica, Germania e Cile, che valgono assieme un altro 11% del mercato. Ma la filiera italiana, se è vero che ha perso posizioni nell’ultimo decennio, ha cambiato natura e strategia, registrando– come attesta il rapporto dell’Osservatorio – una progressiva uscita dai mercati entry level, accompagnata da una virata verso prodotti di alto tenore qualitativo. I volumi persi dall’Italia sono stati compensati negli anni da un incremento di Cile, Sudafrica e da diversi Paesi est europei.
Import mondiale a 2 miliardi di euro di rosati
Ammonta a 10,4 milioni di ettolitri la quantità di vini rosati importati nel 2019, in calo rispetto ai 10,9 mln/hl del 2018. Nel corso del 2019, in rapporto ai consumi totali, la quota di rosati d’importazione ha raggiunto il 43%, superando quella dei vini fermi di tutte le tipologie (41%). Una progressione importante, se si considera che tale quota era del 21% nel 2002 e del 37% nel 2011.
Considerando i singoli mercati, con 3 milioni di ettolitri, la Francia resta il primo acquirente di vini rosa (+5% dopo un calo nel 2018), seguita da Germania (1,4 mln/hl), Regno Unito (1 mln/hl), Stati Uniti (0,95 mln/hl, in aumento da otto anni consecutivi), Belgio (0,5 mln/hl) e Olanda (0,4 mln/hl).
Il giro d’affari dei rosati d’importazione supera di poco i 2 miliardi di euro, con gli Stati Uniti che occupano la prima piazza (23% di quote), seguiti da Regno Unito (13%), Francia (9%) e Germania (9%). Queste ultime importano principalmente vini entry level, rappresentati in buona parte da sfuso, con prezzi medi rispettivamente di 0,5 e 1,1 euro/bottiglia (calcolati sui listini alle Dogane nei vari paesi esportatori e non al consumo). I flussi dalla Spagna alla Francia valgono il 20% degli scambi a volume (ma solo il 5% a valore). Mentre sono considerati importatori di rosati d’alta gamma Stati Uniti (4,2 euro/bottiglia), Svizzera (3,9 euro), Canada (2,9) e Giappone (2,5%). Da circa cinque anni, il prezzo medio dei rosé importati è in leggera crescita. E l’Osservatorio fa notare come per Stati Uniti, Svizzera, Russia, Belgio e Giappone sia in atto una crescita di gamma dei vini acquistati. L’Italia, da sempre, non è tra i principali mercati importatori.
a cura di Gianluca Atzeni
foto di copertina: Consorzio Bardolino
Questo articolo è tratto dal settimanale Tre Bicchieri del 3 giugno 2021 – Gambero Rosso
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