E così il Prosecco è diventato anche un vino australiano. Era la scorsa fine di novembre 2013 quando l’Australian Trade Marks Office respingeva la richiesta Ue di registrare il Prosecco Doc come Geographical Indication (GI). La decisione scaturiva da un ricorso presentato dalla Winemakers’ Federation of Australia (WFA) nel quale si sosteneva che la parola Prosecco, in Australia, fosse sempre stata utilizzata sia per identificare il nome di una varietà d’uva – in pratica come lo Chardonnay e il Sauvignon – sia un vino prodotto nel paese. In pratica se la WFA ha difeso il diritto dei produttori australiani di continuare a proporlo con questo nome, l’Australian Trade Marks Office ha implicitamente riconosciuto che il Prosecco è a tutti gli effetti un vino australiano e in quanto tale può essere venduto ed esportato nel mondo come qualsiasi altro prodotto aussie. Infatti se la domanda europea fosse stata accettata – come nel caso della registrazione del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg e dell’Asolo Prosecco Docg – ai produttori australiani non sarebbe rimasto che trovare un altro nome. Paul Evans, amministratore delegato della WFA, considerò la vicenda come “Il trionfo del buon senso che salvaguardail diritto dei produttori di Prosecco in Australia, di commercializzare il loro prodotto come vogliono".
La culla del Prosecco d'Australia è lo stato di Victoria. Infatti nella King Valley il Prosecco è di casa sin dal 2000 quando Otto Dal Zotto, originario di Valdobbiadene e fondatore della Del Zotto Winery, lo impiantò. Nell’arco di un breve lasso di tempo il suo esempio fu anche seguito da altri: Brown Brothers, Chrismont, Ciccone, Pizzini e Miranda. Nel 2011 poi l’ente Tourism Victorialanciò la King Valley Prosecco Road (Strada del Vino Prosecco della King Valley). Complessivamente le quantità prodotte sono trascurabili – nell’ordine di poche decine di migliaia di bottiglie – ma ciò non toglie che si sia aperto un precedente che mette in dubbio la capacità europea di difendere le denominazioni di origine.Dopo la firma dell’accordo tra le Ue e l’Australia per il settore vinicolo del dicembre 2008 e il completamento delle procedure per la ratifica del luglio 2010, sembrava che tutto filasse liscio. “L’accordo offre garanzie importanti al settore vinicolo dell’UE” aveva dichiarato Dacian Cioloş, commissario europeo responsabile dell’agricoltura e dello sviluppo rurale “Assicura la protezione delle indicazioni geografiche e delle espressioni tradizionali per i vini dell’Ue in Australia e in altri Paesi”. L’accordo, infatti, prevedeva la protezione immediata delle indicazioni geografiche dell’Ue mentre in alcuni casi particolari era stato concordato un periodo di transizione sino al settembre 2011 dopo il quale per i produttori australiani non sarebbe stato più possibile utilizzare denominazioni quali “Champagne”, “Porto”, “Sherry” e altre. Il riassettocomplessivo della denominazione “Prosecco” risale al 2009, in base alla quale nacque il “glera”, il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, ecc. ma – dicono gli australiani – “noi già lo utilizzavamo da prima”. E per ora la Ue ha deciso di non impugnare la decisione delTrade Marks Office di fronte al Tribunale federale australiano.
Giancarlo Vettorello, direttore del Consorzio Conegliano-Valdobbiadene Prosecco Superiore, si dice ottimista sugli sviluppi “I consorzi interessati, Asolo, Conegliano Valdobbiadene e Prosecco Doc, hanno voluto indagare da vicino su questa realtà e una indagine di mercato in loco ha già stabilito che i consumatori australiani considerano il Prosecco come un prodotto essenzialmente italiano. Quanto al resto la partita è ancora aperta”. Dello stesso pare anche Stefano Zanette, presidente del consorzio del Prosecco Doc, che aggiunge “Stiamo mantenendo aperti tutti i rapporti con gli enti, europei e nazionali, e anche australiani. Siamo fiduciosi che il problema si risolverà a tutela innanzi tutto del consumatore finale”. Lo scontro tra una viticoltura legata al vitigno e un’altra legata indissolubilmente al territorio, non è un’astratta diatriba tra accademici, ma una realtà assai concreta che investe la prima denominazione italiana per volumi – il Prosecco Doc - che sta vivendo un periodo di grande successo nel mondo. La partita sarà sicuramente aperta, ma bisogna giocarla bene.
a cura di Andrea Gabbrielli
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 20 marzo. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.