Nella grande distribuzione organizzata passano circa 6 bottiglie su dieci di quelle vendute in Italia ogni anno. Ma quanti sono i vini dealcolati sui nostri scaffali? Per ora, sono una quantità infinitesimale, pari a poche migliaia di bottiglie. Anche perché l'Italia i dealcolati non li può produrre. E i pochi che vende arrivano da oltreconfine. Manca il quadro normativo. Ed è questo un vero e proprio vulnus per il settore, che non ha gli strumenti per intercettare un trend che altrove si sta affermando. Gli appelli a fare presto sono stati numerosi in quest'ultimo anno. Ma le istituzioni, col Masaf in testa, non sembrano voler accelerare. Il ministro Francesco Lollobrigida (a cui proprio sembra non stiano simpatici i no-low alcol) ha aperto un confronto con la filiera vitivinicola nazionale, che insiste per avere una legge ad hoc, senza per ora aver ottenuto granché. E, in questo limbo vitivinicolo, a stigmatizzare la preoccupante situazione di stallo sono anche le stesse insegne della Gdo, per le quali il giro d'affari, ma soprattutto volumi, del comparto vino non stanno certo registrando numeri positivi in questo 2024. Il settimanale Tre Bicchieri del Gambero Rosso ha provato a sondare il parere di alcuni responsabili del settore beverage di diverse sigle sul territorio nazionale. I risultati di questo giro d'opinioni si possono riassumere in poche parole: fare chiarezza e in tempi rapidi.
Una persona su sei interessata ai vini no alcol
Francesco Scarcelli, responsabile del comparto beverage di Coop Italia, è stato molto chiaro nel sottolineare che l'interesse per i vini dealcolati è rilevabile un po' ovunque. L'insegna, seconda nella Gdo italiana per giro d'affari, ha lanciato da un anno due prodotti (private label) senza alcol: «Tra i nostri clienti - racconta Scarcelli - vedo una certa curiosità anche se non è la stessa che incontro all'estero, dove praticamente tutte le aziende vitivinicole propongono questa categoria di prodotto. In Italia, purtroppo, non essendoci offerta non c'è neppure una adeguata conoscenza da parte del consumatore. Eppure, recenti ricerche dicono che una persona su sei è interessata a provare i vini senza alcol. Diciamo che una lampadina si è accesa». Sotto il marchio Coop Z&ro, tra gli scaffali si trovano, in via sperimentale, una bollicina e un bianco fermo, che non sono indicati come vino e sono evidenziati come novità di prodotto. Se ne vendono poche migliaia di bottiglia, ma il problema non è questo: «Non possiamo stare in questa situazione di incertezza - incalza Scarcelli - e occorre per tutti gli operatori sapere cosa si può e non si può fare. Soprattutto, l'Italia deve definire la propria posizione rispetto agli altri Stati europei. Perché se, alla luce di un consumatore disposto ad acquistarlo, il vino dealcolato lo devo poi importare, tanto vale dare il via libera sul territorio nazionale a questi prodotti».
Gdo costretta a rivolgersi ai prodotti stranieri
Anche in Esselunga si rileva un forte interesse per la categoria dealcolati, come spiega Daniele Colombo, wine and spirit category manager per il gruppo guidato dalla famiglia Caprotti, che da subito ha posto grande attenzione al settore vino (nel 2020 il lancio del sommelier virtuale e nel 2023 di Enoteca Esselunga). Anche in questo caso, sugli scaffali sono stati posizionati alcuni articoli no-alcol, di provenienza non italiana (un bianco e un rosso spagnoli e uno spumante tedesco), presenti anche nell'enoteca online: «Stiamo cercando di rispondere a queste nuove tendenze e all'interesse dei i nostri clienti. Ovviamente, i numeri sono ancora molto marginali perché il 2024 è il primo anno in cui li presentiamo ai consumatori». Colombo sottolinea che è ancora prematuro stabilire quale quota potranno raggiungere i dealcolati in Gdo ma «le informazioni che abbiamo dai mercati esteri sono di forte interesse ed essendo l'Italia il maggiore produttore di uva da vino - rimarca - bisogna dare una risposta chiara alla richiesta del mercato».
Buone potenzialità ma tecnologia ancora in ritardo
La prima bollicina dealcolata da metodo Charmat è sugli scaffali dell'insegna MD da agosto 2024, racconta Marco Usai, responsabile per la categoria vino e beverage. Ancora è «troppo presto» per fare valutazioni ma si intravedono «buone potenzialità per quella che rimane - sottolinea - una proposta complementare e di servizio». Md, che ha aderito al manifesto di Wine in moderation, lavora principalmente alla promozione del patrimonio vitivinicolo italiano attraverso la linea Enotrium, dedicata alle eccellenze da vitigni autoctoni. Sulle bevande a basso contenuto alcolico c'è una «attenzione crescente, alimentata anche dalla curiosità generata dal dibattito in corso, non più confinato tra gli addetti ai lavori». Tuttavia, secondo Usai, le tecnologie produttive non sono ancora in grado di preservare pienamente la struttura e il corredo aromatico cosi come lo conosciamo: «Anche per questo - spiega - abbiamo preferito debuttare con uno sparkling white. Sotto l'aspetto commerciale possiamo definirla una proposta realmente inclusiva, dal momento che lo spumante è la scelta principale per celebrare momenti conviviali e feste».
Nessun effetto cannibalizzazione sul vino
Nei punti vendita del gruppo Carrefour i test su uno spumante dealcolato non hanno entusiasmato. C'era un po' da aspettarselo, come spiega Lorenzo Cafissi, beverage & home care & personal care director Italia: «Alla luce del fatto che il segmento si sta ancora definendo, anche la distribuzione organizzata non è abituata a comunicare. E se si vuole crescere in Italia, invece, occorre fare tanta comunicazione». Ma partendo da un punto fermo: «Il cliente del no-alcol non passerà dal consumo di vino al prodotto dealcolato. Dalle ricerche che stiamo conducendo - sottolinea - notiamo che si tratta di nuovi clienti, che non sostituiranno vino. Non ci sarà la temuta cannibalizzazione. Quindi, per noi operatori, si tratterà di capire come collocare tali prodotti».
A patto, però, che ci sia una norma per la produzione: «Oggi notiamo molte imprese vinicole italiane interessate, ma più in funzione dell'export che non per vendere in Italia». In ogni modo, secondo Cafissi, il comparto italiano è in ritardo sui dealcolati: «Bisognerebbe valorizzare la straordinaria realtà dei vitigni e dei vini italiani. E stavolta abbiamo l'occasione di riaccendere i fari dell'attenzione sul vino in generale. Del resto - osserva - siamo in un momento in cui la mediaticità è parte integrante del fare commercio, ma il vino sembra dimenticarlo, utilizzando ancora un linguaggio autoreferenziale. Da questo punto di vista, i dealcolati rappresentano un'opportunità per tutta la categoria del vino, che da molti anni come sappiamo è in costante riduzione se escludiamo il periodo pandemico. Una categoria capace di produrre valore e che, in quanto tale, va assolutamente salvaguardata».