Vi andrebbe di sorseggiare un Pinot nero della Scania, o un Bronner dello Smaland? O preferireste una bollicina delle Ande o un Regent delle Langhe? Tranquilli! Non siete improvvisamente diventati a vostra insaputa i personaggi di una serie distopica sullโenologia e la viticoltura del prossimo secolo, ma รจ una evenienza con cui toccherร fare i conti in futuro. Il cambiamento climatico sta ridefinendo il paesaggio vitivinicolo globale, spingendo la viticoltura verso altitudini piรน elevate e latitudini settentrionali. Lโaumento delle temperature e le mutazioni dei pattern climatici rappresentano una sfida significativa per molte aree storicamente vocate per la produzione del vino.
A rischio il 70% delle vigne
Uno studio delle Universitร di Bordeaux, Palermo e Borgogna ha infatti rilevato che oltre il 70% delle zone viticole attuali potrebbe diventare inadeguato entro la fine del secolo a causa del cambiamento climatico. Un rischio che sembrerebbero correre in prima battuta i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, come lโItalia (nel caso, per esempio, di Sicilia e Sardegna), la Spagna e la Grecia che hanno una millenaria tradizione vitivinicola. Tuttavia, nuove aree ad altitudini e latitudini piรน elevate potrebbero diventare adatte alla viticoltura.
Regioni come il Regno Unito meridionale e la Francia settentrionale stanno emergendo negli ultimi anni come nuove aree vinicole e persino nella Svezia meridionale, dove si รจ registrato dalla fine del XIX secolo un aumento della temperatura circa il doppio della media globale con estati significativamente piรน calde e piรน lunghe e temperature invernali piรน alte di quasi due gradi, sono stati piantati nuovi vigneti, passando da quattro a 40 in un solo decennio.
Strategie di adattamento: si punta in alto
Da qualche anno ormai buona parte del mondo vitivinicolo รจ alle prese con la ricerca di strategie di adattamento, come la scelta di varietร e portainnesti piรน resistenti alla siccitร e lโadozione di sistemi di allevamento che ritardino la maturazione. La tendenza a individuare zone adatte alla coltura della vite in cui possano essere mitigati gli effetti dellโinnalzamento delle temperature e lunghi periodi di siccitร non sta producendo solo uno slittamento latitudinale dei vigneti verso nord ma anche uno spostamento ad altitudini piรน elevate. Anche se i vini di montagna non sono proprio una novitร assoluta, in Italia come nel resto del mondo.
ยซFermo restando che esistono zone dove la viticoltura in quota รจ praticata con successo da molto tempo, penso alla Valtellina, alla Val dโAosta, allโEtna dove si possono fare ottimi vini intorno ai 1.000 metri, spostarsi in alto puรฒ essere una via praticabile ma non in tutti i contestiยป, spiega Michele Lorenzetti, enologo e biologo che presta consulenze per diverse aziende vitivinicole che praticano la biodinamica.
ยซPiรน che lโinnalzamento delle temperature โ aggiunge โ ciรฒ che preoccupa e sta impattando di piรน sono i singoli eventi estremi che incidono in maniera importante sulla pianta: le gelate, le precipitazioni super abbondanti e concentrate in piรน giorni, magari in periodi in cui prima non avvenivano, le ondate di grande caldo, i periodi siccitosi prolungatiยป.
Produzione a quote elevate: pro e contro
Per Lorenzetti, ยซin ogni caso tutto dipende dagli obiettivi enologici che si vogliono perseguire, dai vitigni che si utilizzano e dallโincrocio tra altitudine e latitudine perchรฉ, se da un lato la viticoltura di montagna consente il vantaggio di ritardare tutte le fasi di sviluppo della vite, come il germogliamento e la fioritura evitando i danni da gelate e da altri fenomeni che in questi anni si stanno manifestando in modo sempre piรน estremo, dโaltra parte puรฒ presentare dei problemi nella fase di maturazione delle uve. E se si incontrano difficoltร con la maturazione e non si riesce a sviluppare un certo grado alcolico si possono fare solo vini dal profilo esile, con basso tenore di alcool e spiccata aciditร , caratteristiche buone per vini di pronta beva, per prodotti gluglu o per le basi spumanteยป. Un esempio significativo di sperimentazione vitivinicola montana รจ rappresentato dalla marchigiana Cantina Ciu Ciu, che proprio per produrre uno spumante metodo classico ha riportato in altitudine (tra i 600 e i 700 metri) il vitigno Pecorino, in luoghi in cui puรฒ esaltare la sua spiccata aciditร , poco valorizzata in pianura o collina.
Sperimentazioni tra Calabria ed Etna
In Italia vale la pena sottolineare come esistano luoghi dove la vite รจ coltivata ben oltre i 1.000 metri: i vigneti ai piedi del Monte Bianco in Val dโAosta, per esempio, dove lโazienda Cave Mont Blanc di Morgex e de La Salle si รจ addirittura spinta a creare una cantina sperimentale per vinificare in alta quota a 2.000 metri le uve di Priรฉ Blanc ottenute da viti a piede franco allevate a 1.200 metri.
In Calabria, nel cuore del Parco Nazionale della Sila, a Cava di Melis, frazione di Longobucco, lโazienda agricola Immacolata Pedace coltiva varietร internazionali come Chardonnay, Pinot Bianco, Gewurztraminer, Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon a 1.300 metri in quello che nel 2006 รจ nato come un progetto sperimentale e che oggi รจ uno dei vigneti piรน alti dโEuropa.
Tra i luoghi del vino italiano una delle zone montane piรน vocate รจ senza dubbio lโEtna, dove un caso emblematico di viticoltura dโaltura รจ quello dellโazienda Sciara di Stef Yim, enologo e viticoltore asioamericano che coltiva Grenache a 1.200 metri nelle contrade Cielo e Nave, a Randazzo, ma si รจ spinto a innestare 4.500 barbatelle di uva a bacca rossa in un terreno ad Adrano, sul versante nord occidentale del vulcano, a 1.500 metri: candidandosi ad avere anche lui un record da guinnes col piรน alto vigneto a bacca rossa dโEuropa.
La "provocazioneโ: uve a a 3.600 metri
Un esperimento quasi provocatorio รจ invece quello portato avanti da Roberto Cipresso, uno dei piรน talentuosi winemaker italiani, che, lontano dai confini enologici nazionali non solo produce Malbec in Argentina a 2.200 metri di altitudine, ma qualche anno fa a Moray, vicino Cusco, in Perรน, ha piantato Riesling, Chardonnay e Pinot Nero, creando quello che รจ considerato il vigneto piรน alto del mondo, collocato alla bellezza di 3.660 metri sul livello del mare, accanto a uno dei piรน stimolanti laboratori di cucina al mondo, il Mil Centro dello chef Virgilio Martinez dedicato allo studio delle tradizioni e ai prodotti delle Ande.
In Italia la necessitร di trovare una strada per adattarsi alle nuove condizioni climatiche ha sollevato polemiche riguardo allโestensione dei confini di alcune Doc verso quote piรน elevate o in aree finora escluse dai disciplinari.
Doc e Docg in fibrillazione: dibattiti e polemiche
Un caso emblematico รจ quello del Barolo, dove รจ stata discussa la possibilitร di includere nuove aree di produzione ad altitudini maggiori per garantire la qualitร e la tipicitร del vino in un clima in evoluzione. Tuttavia, questa proposta ha incontrato resistenze tra i produttori storici, preoccupati che lโestensione possa compromettere lโidentitร del Barolo.
Anche sullโEtna, la crescita della viticoltura ad altitudini sempre maggiori ha generato dibattiti tra i produttori locali. Alcuni, soprattutto tra i produttori piรน giovani, vedono nelle altitudini elevate unโopportunitร per preservare la freschezza e lโaciditร dei vini, mentre altri temono che lโespansione verso lโalto e lโinclusione nel disciplinare dei terreni del versante occidentale (ricadenti nei comuni di Adrano, Bronte e Maletto), possa alterare le caratteristiche distintive dei vini etnei. Queste polemiche riflettono le tensioni tra innovazione e tradizione nel mondo del vino, dove lโadattamento alle nuove realtร climatiche deve bilanciarsi con la salvaguardia delle identitร territoriali.
I nuovi vitigni: le uve resistentiย
ยซIdentitร che forse possono essere preservate scindendo il binomio vitigno-territorio. Come? Aprendo i disciplinari allโutilizzo di vitigni nuovi, magari piรน adatti alle mutate condizioni climatiche e forse in grado di leggere meglio il territorio oggiยป, รจ la provocazione di Nicola Biasi, enologo specializzato in vitigni resistenti e titolare di Vin de la Neu, realtร che realizza circa mille bottiglie lโanno da uve Johanniter i cui vigneti sono abbarbicati in Val di Non a oltre 800 metri.
ยซIo faccio viticoltura di montagna โ spiega Biasi che presta consulenze a molte aziende โ quindi รจ una cosa in cui credo tanto, ma secondo me, come strategia di adattamento รจ una soluzione praticabile fino a un certo punto. Puรฒ essere una soluzione a Barolo, dove si ragiona sullโapertura del disciplinare anche a nord, sullโEtna dove possiamo aprire anche il versante occidentale, a Montalcino per andare oltre i 600 metri. Perรฒ chi ha unโazienda a Ferrara, o a Marsala cosa fa? Vende tutti i vigneti intorno a casa e li compra sugli Appennini? Si trasferisce in Svezia? Non dimentichiamoci poi che si tratta di una viticoltura tendenzialmente costosa e a produzioni contenute quindi di conseguenza i vini ottenuti sono posizionati in una fascia alta di prezzo, ma se tutti poi fanno vini a 50 euro chi li compra questi vini?ยป
Le nuove tendenze tra gusto e mercati
ยซIo โ ribadisce โ credo che una soluzione sia anche quella di cambiare vitigni e usare vitigni che siano piรน performanti con i climi attuali. Sto per dire una grandissima eresia, ma se fra ventโanni a Montalcino ci trovassimo con le uve di Sangiovese a inizio agosto surmature o mezze appassite? In quel caso chi se ne frega del Sangiovese, perchรฉ lโimportante รจ il Brunello รจ il territorio che va preservato: si parla di denominazioni di origine non denominazioni di vitigno. Cambiamo i disciplinari, naturalmente non di nascosto, consentiamo varietร che performano meglio in un dato territorio con i climi attuali e ognuno sceglierร quale strada seguire. Perchรฉ vorrei ricordare che a Montalcino 70 o 80 anni fa di Sangiovese ce nโera poco: era tutto Moscato e finchรฉ non รจ cambiato il clima funzionava molto bene, poi cโรจ stato giustamente chi ha puntato sul Sangiovese quando era il momento di farlo. Secondo me non dobbiamo essere troppo legati al vitigno, il vitigno รจ un mezzo, come lโenologo, come la barrique o le vasche di cemento o dโacciaio, come il cordone speronato o il guyot, per esaltare un territorioยป.
La viticoltura di montagna rappresenta certo una risposta innovativa e coraggiosa alle sfide poste dal cambiamento climatico e i vini prodotti in alta quota, con la loro freschezza, complessitร e caratteristiche distintive, sembrano intercettare bene al momento le nuove tendenze gustative di una larga fetta di consumatori. Ma รจ questa la strada che dovrร essere seguita per adattare la viticoltura italiana (e mondiale) alle sfide che abbiamo davanti? O lโorientamento sarร quello di preservare i territori del vino tentando la via dei vitigni resistenti? Staremo a vedere cosa finirร nei nostri calici.