Classe 1985. Segni particolari? Estremamente appassionato, determinato, meticoloso. Basta vedere le informazioni a dir poco minuziose che riporta sulle sue bottiglie. La storia di Stef Yim attraversa diversi continenti e professioni, dal 2016 è di casa nel piccolo comune di Randazzo sull’Etna. Vive nella sua cantina, Sciara, coccolato dagli alberelli di Nerello Mascalese della Contrada Taccione. Dalle sue otto parcelle, in totale 5.9 ettari, produce circa 12mila bottiglie: le sei etichette hanno in comune carattere e originalità gustativa. Le vigne sono vecchie, le rese bassissime.
Come nasce la passione per il vino?
Sono cresciuto a Los Angeles, mio padre è di Hong Kong dove sono nato, mia madre invece è giapponese. Quando avevo nove anni ci siamo trasferiti in California, ho iniziato a lavorare giovanissimo nei bar di Pasadena e quindi come sommelier e restaurant manager. Sa, la solita vita della wine industry, tutte le notti andavo a letto alle 3 di notte. Cercavo una via di fuga, anche perché nel frattempo mi ero sposato.
Così si è lanciato nel mondo produttivo
In realtà io non volevo fare vino. E’ stato per pura coincidenza. Per la ristorazione facevo acquisti, assaggiavo tantissimo. Un giorno mi sono trovato a un evento chiamato the Family Winemakers. Ero alla ricerca di vino californiano, atipico: meno alcolico, ricco e strutturato. Ho assaggiato un vino che mi ha fatto cadere dalla sedia, sull’etichetta c’era scritto 3.000 e nient’altro. Indicava l’altitudine in piedi, in metri sono poco più di 900. Era un Syrah del Nord della California, non sapevo nemmeno si producesse vino a quelle altezze in zona. Ne ordinai diverse casse ma non arrivarono mai nel mio ristorante.
Un inizio esaltante con l’alta quota
L’anno dopo ritorno all’evento Family Winemarkes a Pasadena dove lavoravo. Mentre sto per andare via assaggio un vino incredibile che mi ricorda quel 3.000, le stesse sensazioni. Lo dico al produttore, John Fore, e scopro che quell’etichetta era prodotta con le sue uve a Cobb Mountain, una delle vigne più alte in California. Stringiamo subito amicizia, andiamo a bere e alla prima occasione vado a trovarlo in vigna, tra suoli meravigliosi di origine vulcanica. L’incontro mi cambia la vita. Aveva uve da vendere e me le propone. Non sapevo nulla, ma mi sono lanciato, un suo amico mi ha fatto da chioccia. Così ho iniziato.
Aveva già esperienze con vini prodotti su vulcani?
Da quando lavoravo come sommelier i vini mi colpivano di più alla cieca sono sempre stati quelli da origine vulcanica. Hanno un timbro così originale, elegante, sono unici. Ho sempre fatto trading nel vino, mi rendo conto che devo migliorare molto come produttore così mi trasferisco in Francia per formarmi, nel sud-est del Paese. Imparo tanto, così decido di mettermi in proprio a Tenerife, nelle Canarie. Ovviamente suoli vulcanici. Ma non funziona, la mancanza delle escursioni e delle stagioni si fa sentire, i collegamenti aerei sono limitati e il cibo non è esattamente stimolante come in Italia. Rinuncio.
Quando scocca il momento dell’Etna?
A fine 2015 trovo a Randazzo un piccolo appezzamento a quasi 1.000 metri di quota, chiudo la trattativa in pochi giorni. E piano piano inizio a collezionare una serie di piccolissime parcelle con suoli e caratteri differenti, proprio come volevo. Sono quasi tutte più piccole di un ettaro e da vigne molto vecchie.
Perché proprio l’Etna?
Ho sempre studiato gli effetti del global warning e so bene che per l’agricoltura sarebbe stato sempre più difficile. Ho capito che dovevo salire tanto per produrre vini eleganti, con la giusta acidità e ph per farli viaggiare nel tempo. Da questo punto di vista l’Etna è una sorpresa continua. E poi il suolo vulcanico, questi paesaggi, non c’è un luogo così in giro per il mondo.
E’ l’unico sull’Etna a chiamare i vini in base alla quota
L’altitudine è fondamentale. Sono partito dal 750, ma poi ho cambiato in 760 perché scambiavano la quota con la quantità della bottiglia, mi dicevano non c’è bisogno che lo scrivi, lo sappiamo. Lo produco dalla contrada Sciaranova e ora anche Petrone. Poi c’è il 980 metri, contrada Carana, Monte Dolce che mi piace sempre più e Barbabecchi, siamo sotto la vigna del Magma. Qui c’è più tannino e carattere scuro. Mi dicevano che non avrei trovato nulla sopra i 1.100 metri ma si sbagliavano, il 1200 Metri viene da una vecchissimo vigneto pre-phillossera di Grenache in Contrada Nave. E poi c’è il Centenario, una manciata di bottiglie da vigne-prefillossera vecchissime in contrada Feudo di Mezzo. E alcune etichette sperimentali che cambio ogni anno per capire il limite.
E’ un fautore del single vineyard a tutti costi?
Ero partito con quell’idea ma poi ho capito che ogni annata fa storia a sé. A volte il concerto è perfetto con una sola voce, a volte ho bisogno di un quartetto per far suonare la sinfonia e avere nuove prospettivo. Valuto caso per caso.
Vuole piantare ancora più in alto?
In realtà l’ho già fatto. Mi dicono che sono un pazzo, che le uve non matureranno, ma più mi criticano e più mi caricano. Durante la pandemia ho trovato un appezzamento a 1.500 metri, ad Adrano, versante sud dell’Etna. Si producevano solo susine ma sono sicuro che è molto vocata. Con tre persone, tutto a mano, ci siamo spaccati per mettere 4.500 impianti. Uve a bacca rossa, ma non vi dico la varietà.
L’alta quota è davvero il futuro?
Sarebbe troppo semplice ma basta vedere la vendemmia 2023. Ho perso le uve del 760 Metri e del Centenario, che sono a circa 650 metri. Da quelle vigne si è salvato un 15%, a dirla tutto. Mentre sopra i 900 Metri sono molto contento, abbiamo avuto perdite minime, sotto il 20%. Qualcosa vorrà dire.
Quali sono stati i suoi modelli?
Chi mi ha ispirato in Italia, giù dal 2012, è stato Enzo Pontoni, proprietario di Miani in Friuli. Per me è un eroe. Probabilmente il numero uno nella mia lista, lui non produce vini, li forgia. Ha una passione smodata per il dettaglio, il lavoro sartoriale sulle singole botti e sui singoli microclimi per avere diverse storie. E’ stata una vera guida.
E sull’Etna?
Dobbiamo dire grazie al lavoro che ha fatto Salvo Foti 20 anni fa, al contributo di Frank Cornelissen, a quello di Benanti. Hanno dato nuova vita a queste terre, si pensi al lavoro di Andrea Franchetti e Marc de Grazia. Hanno modellato l’immagine dell’Etna e l’hanno portata in giro per il mondo. Oggi è tutto più facile. Senza queste persone non ci sarebbe l’Etna per come la conosciamo. E io non sarei qui.
A produrre vini come Ubriaco sulla luna
Eheh. Ogni anno ho creato un’etichetta a sé. Nel 2021 Ubriaco sulla luna. Prima è stata la volta di Ululando alla luna, Lacrima di Luna e Acqua di Luna. Fondamentalmente, io amo la luna e l’Etna la ricorda. Spesso seguo i cicli lunari per l’attività in vigna, la luna non è solo fascino ma ha un’influenza diretta. Sì, anche il sapore del vino ha a che fare con la luna.
Com’è stato accolto?
I siciliani hanno il dono dell’accoglienza, sono passionali, empatici. Sento un calore dal cuore che è diverso. Mi sono trovato molto bene. All’inizio c’è stato un certo scetticismo da parte di alcuni. Non sono tanti gli asiatici da queste parti.
Nessun problema?
I guai veri me li hanno dati gli uccelli. Si mangiano ogni anno il 10% delle mie uve, per non dire dei cinghiali. Ho messo dei cannoni sofisticati per spaventarli, ma in montagna ci sono un sacco di animali golosi. La perdita la devo mettere in conto.
L’Etna del vino dove sta andando, c’è un percorso comune tra i produttori?
Io credo che l’Etna è e sarà sempre una pluralità di stili. È nella sua natura. Tutti fanno vini con diverse interpretazioni e filosofie, non c’è uno stile codificato sia sul bianco che sul rosso. E proprio per questo ogni vino è così unico, questi versanti e microclimi offrono possibilità infinite. Io non lo vedo come uno svantaggio ma come una grande opportunità. L’Etna è un laboratorio a cielo aperto, è proprio questa l’attrazione per i consumatori.
Alcuni suoi vini non possono ricevere la doc perché le vigne sono troppo in alto. Sarà mica ora di rivedere il disciplinare?
Io sono talmente stupido da autodenunciarmi dal primo giorno scrivendo in grande sulle etichette la quota dei vigneti. A oggi in alcune zone sopra 850 metri non posso avere la doc, ci sono le regole e vanno rispettate. Non è un problema perché le persone non stanno tanto a vedere la fascetta ma pensano al contenuto. Credo che in futuro cambierà la soglia massima, ma ci vorrà parecchio tempo. Di sicuro tanti produttori non dichiarano l’altitudine delle uve di provenienza…
Si definisce un produttore di vino naturale?
No. Anche se tutto quello che ho fatto dal primo giorno in vigna è naturale, non uso chimica, solo fermentazioni spontanee, da quest’anno siamo anche certificati in biologico. Ma che vuol dire vino naturale? Anche solo controllare le rese del vigneto non lo è, così come non credo nei vini a zero solfiti. Se devo mandare un vino dall’altra parte del mondo devo metterci dei solfiti per proteggerlo. E poi non voglio che i miei vini sappiano di kombucha, ce ne se no parecchi in giro che esaltano cose che non mi piacciono, ma a ognuno la sua. Per me la cosa più importante è la pulizia, l’igiene, sono ossessionato. V’invito a visitare la mia micro-cantina.
Non si annoia a Randazzo una persona abituata alle metropoli?
La cosa più difficile è stata la lingua, ciao e arrivederci non bastano. Ma sono sempre concentratissimo sul lavoro e faccio di tutto per raggiungere i miei obbiettivi. Penso di aver fatto la scelta giusta. Ogni tanto mi chiedo dove cavolo sono finito. Ma è un lusso, come viaggiare in giro per il mondo con questi vini.
Dove vende?
L'estero rappresenta il 65%, soprattutto Giappone, Hong Kong e Thailandia. Grazie agli eventi con il Gambero ho allargato anche a Svezia e Danimarca. Ma anche l’Italia dà belle soddisfazioni. Sono molto contento dei feedback ricevuti. Non voglio aumentare la produzione perché altrimenti perdo il controllo, devo crescere in qualità e costanza.
Azienda Agricola Sciara (Sciara Volcanic Winery)
Contrada Taccion SS120 Km 189 + 700
Randazzo (CT)
La degustazione
Etna Rosso 760 Metri 2021 Sciara
89
Contrada Sciaranuova e Taccione. I profumi sono nitidi e fragranti, con un bel sottofondo floreale che intreccia toni di more, mirto e rosmarino. La bocca è particolarmente succosa, dal frutto scuro e polposo, di buona distensione e immediata piacevolezza. Il finale è armonico e finemente speziato, abbina freschezza e un registro più caldo e maturo. Matura 19 mesi in tonneau e poi vetro. 4100 bottiglie
980 metri 2019
94
Saliamo di quota incontrando la mitica contrada Barbabecchi, Carrana e Monte Dolce. Affascina con un carattere balsamico fine e sinuoso, di ginepro, finocchietto e timo, insieme a un sottofondo più scuro di liquirizia. La bocca è avvolgente, con una meravigliosa sensazione di leggerezza unita a tanto sapore e profondità. Il finale danza tra frutto rosso, tè verde e melograno. Dopo venti minuti canta nel bicchiere. “Nessuna chiarifica – filtrazione con cartucce di 10 micron”, quando si dice la trasparenza in etichetta. 3206 bottiglie.
1200 Metri 2021
90
“Produzione: 1486 kg”. Siamo in Contrada Nave, in questo caso il vino affina in anfora per 19 mesi. I profumi sono molto scuri, forti suggestioni di tè nero, caffè e rabarbaro. La bocca è ancora compressa, originalissima nel tratto aromatico, con note di friggitelli ed erbe officinali. Attacco deciso, poi l’andamento al palato è più rilassato per un ritmo cadenzato e ritmato suggestivo. Finale profondamente sapido e sfaccettato. 1390 bottiglie.