La nostra corsa attraverso la poesia di ogni epoca ci fa approdare al '900, continuiamo a indagare tra i versi dei poeti per scoprire come cantavano il loro amore pr il vino. Arriviamo oggi a un giornalista che nel 1919 fondò la rivista culturale La Ronda professando un ideale di restaurazione classicista, auspicando un ritorno a Leopardi. Scrittore e poeta, oltre che giornalista, VincenzoCardarelli (1887 – 1959), fu animatore della vita culturale germinata intorno alla rivista, da cui nacque il movimento letterario detto rondismo. La sua produzione poetica si colloca a cavallo tra l'avanguardia degli anni '10 e la restaurazione del decennio successivo, ma ben presto rifiutò le istanze trasgressive dei primi del novecento per richiamare a una maggiore compostezza, professando un ritorno all'ordine e al ruolo dell'intellettuale.
Diverse le sue raccolte poetiche, ma, in particolare, ne riportiamo due, dal volume Poesie.
Ottobre
Un tempo era d’estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori,
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all’autunno
dal colore che inebria,
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest’aria che odora
di mosto e di vino,
di questo vecchio sole ottobrino
che splende sulle vigne saccheggiate.
Ricordate il persiano Omar Kayyam, il massimo cantore del vino? Ebbene, una lirica di Cardarelli è dedicata a lui
A Omar Kayyam
Kayyam, nei mattini d’estate,
basta avere una foglia in bocca,
il sole dei giardini
ci ubbriaca meglio del tuo vino
che noi non berremo.
Abbiamo, dopo di te,
bevuto in ben altre cantine.
Abbiamo la gola rossa
dei nostri vini d’Occidente,
o mio vecchio, melodico persiano.
Ma la tua dolce infanzia di filosofo,
questa è un gran dono.
Tu hai guardato il mondo
tra nebbie e per distanze siderali.
Tu hai potuto iridare
di primordiali curiosità
l’ombra della vita.
Dove tutto non era
che disperata certezza
tu hai fatto domande,
proposto accordi e tutto era concluso.
E quando, non la durezza
della faccia di Dio,
pietosamente a te ascosa,
ma la tua carne stanca
ti rimbrottava,
da quell’oscuro e flebile scontento
nasceva la grazia d’un ritmo.
Così dell’umano
viaggio eludesti
le premesse fatali,
convinto di non saperle
e illuso di doverle ricercare.
E questo era il buon vino,
Kajjam.
Il dio che ti propiziava
questa bevanda d’inganni
faceva la tua fortuna
e il tuo canto.
E tu libavi alle rose
del tuo ridente sepolcro,
non sospettando, o impavido,
che la tua vita era già
un cimitero fiorito.
a cura di Giuseppe Brandone
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