Non si può parlare di poesia classica senza chiamare in causa Omero. Le sue opere sono fitte di riferimenti al vino. Ve ne diamo prova qui, a partire dall’Iliade, nella traduzione di Vincenzo Monti (libro VII)
Nella sera allestite indi le mense
per le tende, cibar le opime carni
di scannati giovenchi e ristorarsi
del vino che recato avean di Lenno (Lemno)
molti navigli e li spediva Eunèo
d’Issipìle figliuolo e di Giasone.
Questo vino che giunge dall’isola greca di Lemno, nel mar Egeo, è il premio che gli Achei ricevono per la rapida costruzione del muro di difesa contro i Troiani.
Un altro vino citato in Omero, è il Pramno o Pramnio, un prodotto noto per la sua finissima qualità e per le proprietà curative. Era un vino rosso, corposo, invecchiato, dolce e molto profumato, proveniente dall’isola di Lesbo, da Smirne e dall’isola di Icaria. Secondo Omero, era invece originario della terra di Pramnos, nell’attuale Turchia. Nell’undicesimo libro dell’Eneide, (facciamo sempre riferimento alla traduzione di Vincenzo Monti) questo vino è inserito in una “mistura” ben lontana dai nostri gusti. Al campo degli Achei la schiava Ecàmede, nella tenda dell’autorevole Nèstore, prepara questo strano beveraggio:
La simile alle Dee presta donzella (Ecàmede)
pramnio vino versava; indi tritando
su le spume caprin latte rappreso
e spargendovi sopra un legger nembo
di candida farina una bevanda
uscir ne fece di cotal mistura
che apprestata e libata ai due guerrieri
la sete estinse e rinfrancò le forze.
E c’è anche un vino senza nome che però è di somma importanza per la storia di Ulisse è quello donato all’eroe da Màrone, sacerdote d’Apollo. Lo troviamo nell'Odissea, al libro IX. Eccolo nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti
Lui m’offerse splendidi doni:
d’oro ben lavorato sette pesi mi diede,
mi diede un cratere d’argento massiccio,
e vino, versandolo in anfore, dodici in tutto,
dolce e puro, divina bevanda; nessuno
lo conosceva dei servi e delle ancelle di casa,
ma lui solo e la sposa e la dispensiera fedele.
E quando bevevano quel vino rosso, dolcezza di miele,
riempiva una sola tazza e in venti misure d’acqua
mischiava; e un odore soave dal cratere odorava,
divino; allora starne lontani non era caro davvero.
Un millennio dopo, Plinio scriverà nella sua Naturalis Historia “che il vino più anticamente celebre è quello di Maronèa, prodotto nelle terre costiere della Tracia (Grecia), proprio come testimonia Omero”.
È un vino che decretò la fine del Ciclope. Infatti, tornando all’Odissea e sempre nel libro IX, troviamo Ulisse che si avvicina a Polifemo con un boccale di “nero vino”:
lui prese e bevve, gli piacque terribilmente
bere la dolce bevanda e ne chiedeva di nuovo:
“Dammene ancora , sii buono e poi dimmi il tuo nome,
subito adesso, perché ti faccia un dono ospitale e tu ti rallegri.
Anche ai Ciclopi la terra dono di biade
produce vino nei grappoli e a loro li gonfia la pioggia di Zeus.
Ma questo è un fiume di ambrosia e di nettare”.
Così diceva e di nuovo gli porsi vino lucente;
tre volte glie ne porsi , tre volte bevve da pazzo.
S’arrovesciò cadendo supino e di colpo
giacque piegando il grosso collodi lato: lo vinse
il sonno che tutto doma e dalla gola vino gli usciva…
a cura di Giuseppe Brandone
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