Cecco Angiolieri
È il Francois Villon italiano. Nato a Siena, visse sempre in modo disordinato, oberato dei debiti, dissipato, subì diversi processi e condanne per alcuni reati, dalle percosse alla resistenza alle forze dell’ordine. Ci restano di lui centocinquanta sonetti, ricchi di vita e di colore, che trattano temi diversi che vanno dal burrascoso rapporto amoroso con Becchina all’odio per il proprio padre, dal vino agli insulti a Dante Alighieri. Nel sonetto che presentiamo, Cecco Angiolieri (1260 – 1312) ci comunica le sue preferenze enologiche:
Tutto quest’anno ch’è mi son frustato
de tutti i vizi, che solìa avere,
non m’è rimaso se non quel di bere,
del qual me n’abbi Iddio per escusato.
Chè la mattina, quando son levato,
el corpo pien di sal mi par avere;
adunque dì : chi si porìa tenere
di non bagnarsi la lingua e ‘l palato?
E non vorrìa se non GRECO e VERNACCIA,
che mi fa maggior noia il VIN LATINO, ( vinello )
che la mia donna, quand’ella mi caccia.
Deh ben abbi chi prima pose ‘l vino,
che tutto ‘l dì mi fa star in bonaccia:
i non ne fo però un mal latino.
Del resto, il nostro poeta, è quello della famosa quartina che recita:
Tre cose solamente mi so’ in grado,
le quali posso non ben ben fornire:
ciò è la donna, la taverna e ‘l dado;
queste mi fanno ‘l cuor lieto sentire.
a cura di Giuseppe Brandone
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