Non si vedeva nulla di simile dal 1947. La vendemmia 2023 è stata la più piccola vendemmia da 76 anni a questa parte. Lo certificano i dati ufficiali comunicati dal ministero dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste alla DG Agri: la produzione vitivinicola italiana lo scorso anno si è fermata a 38,3 milioni di ettolitri, con un secco calo del 23,2% rispetto ai volumi del millesimo 2022.
Il dato è in linea con le stime riportate a fine novembre dall’Osservatorio Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini (Uiv). A causare l'importante contrazione ci hanno pensato una serie di malattie della vite, a partire dalla peronospora, malattia fungina alimentata dalle intense e inusuali piogge che ha zavorrato molti vigneti, soprattutto nel centro e sud Italia. Qui vi riportiamo la nostra intervista semi-seria effettuata pochi mesi fa. Il clima di settembre ha aiutato parzialmente il recupero di alcune situazioni, per un'annata che sulla carta si presta sicuramente di più per spumanti e vini bianchi.
Dai tempi di Coppi e Bartali
Nello studio presentato da l’Osservatorio Assoenologi, Ismea e Uiv, i vini dop pesano per il quasi il 52%, mentre gli Igp rappresentano il 25% del prodotto complessivo. L'annata scarsa arriva in un momento delicato per il vino italiano che si ritrova a fronteggiare un calo delle esportazioni nei mercati di riferimento e un discreto livello di giacenze. Per trovare un'annata così leggera occorre tornare all'anno in cui fu nasce la prima polaroid e la fotografia instantanea (un minuto circa); l'Etiopia dichiara l'indipendenza dall'Italia; Fausto Coppi vince il Giro d'Italia davanti a Gino Bartali. Da notare, infine, come il primato per la vendemmia più pesante spetti al millesimo 1999, quando la produzione italiana si attestò a 58,1 milioni di ettolitri. Un record che oggi sembra molto difficile da raggiungere.
Aumento dei prezzi ed eccedenza di vino
Per il segretario generale di Unione italiana vini (Uiv), Paolo Castelletti, una vendemmia a 38 milioni di ettolitri apre due fronti di analisi. A partire dalle ripercussioni di mercato: «Con una produzione italiana ai minimi storici, il 2024 si annuncia molto complesso e sfidante, le nostre imprese avranno l’esigenza vitale di alzare il valore unitario dei propri prodotti, in un contesto macroeconomico che non è dei più favorevoli. Si è visto già l’anno passato, con le difficoltà patite nei circuiti retail dei principali Paesi, dove ad aumenti di prezzo anche limitati sono corrisposti in maniera quasi automatica cali degli acquisti a volume».
L’altro tema esula dal dato congiunturale: «È paradossale – ha aggiunto Castelletti – parlare del raccolto più povero dal Dopoguerra in un periodo storico in cui il vero problema sta nella eccedenza di vino determinata da passate vendemmie a oltre 50 milioni di ettolitri. Ma non può essere una malattia fungina a riequilibrare una situazione che solo 8 mesi fa faceva segnare il record di giacenze degli ultimi anni. Oggi più che mai si impongono scelte politiche di medio e lungo periodo a favore della qualità e di una riforma strutturale del settore. Servirebbe ragionare assieme alle istituzioni in merito a piani strategici per ponderare scelte delicate. Invece in un anno è mezzo si è passati dalla negazione del problema – quello del surplus produttivo rilevato da Unione italiana vini già in tempi non sospetti – al tema degli espianti finanziati attingendo a fondi destinati invece alla ristrutturazione dei vigneti che negli anni sono divenuti un simbolo del made in Italy». Per questo motivo – ha concluso il segretario Uiv – «riteniamo necessario accelerare l’istituzione di un gruppo di lavoro presso il Masaf per lavorare sulla prospettiva dell’assetto del vino italiano al 2030».