La Sicilia sperimenta le uve reliquia. L'enologo Angelo Di Grazia: "Sono il futuro e vi spiego perché"

16 Gen 2025, 18:01 | a cura di
Resistenti e adatti al clima siccitoso, queste varietà recuperate incontrano i gusti dei nuovi consumatori e si prestano ad un'enologia per sottrazione

«La Sicilia è sempre stata terra di conquista. Ognuno ha portato qui qualcosa. Anche nel mondo del vino trovi di tutto, qualsiasi vitigno è presente. E allora perché non riportare in auge i vitigni autoctoni dimenticati che un tempo finivano nei tagli?». A parlare è Angelo Di Grazia, 41 anni, enologo di Licodia Eubea, cittadina nell’estremo sud della provincia di Catania. «Quasi un’isola, completamente diversa da Catania e da Ragusa», assicura Angelo.

Dalla ricerca all'azione

«Qualche anno fa ho visto che l’Irvo, l’Istituto regionale della vite e dell’olio, stava realizzando una ricerca sui vitigni reliquia siciliani, più resistenti e adatti al nostro clima, ed è scattato l’interesse», racconta durante la visita nel suo podere nelle campagne di Licodia. La ricerca è opera di Giacomo Ansaldi, che unisce all’attività di enologo nella sua azienda a Marsala, quella di “archeologo” delle viti reliquia. Un percorso professionale che lo porta alla pubblicazione del volume “Identità e Ricchezza del Vigneto Sicilia”, un vero e proprio trattato generale che, per la prima volta, accende un faro sull’immensa biodiversità ampelografica siciliana. «Il mio contatto con Ansaldi - racconta Di Grazia - è stato Vincenzo Bambina, enologo di Tornatore, azienda a Castiglione di Sicilia, sull’Etna ».

Angelo, allievo dell'enologo etneo Salvo Foti e a sua volta consulente per Tornatore, si fa mandare il pdf dell’opera e poi passa alla pratica. Decide di piantare tre varietà reliquia nel suo piccolo podere alle porte di Licodia Eubea, sotto il Monte Altore. »Ho scelto recunu, cutrera e rucignola, quelle più vicine alla mia idea di enologia: amo le acidità e le sapidità. Tre vitigni che in questi suoli misti di calcare e basalto, si sono ambientati subito».

La sfida di Riofavara

Siamo nel 2019 e proprio nello stesso momento Massimo Padova, titolare della cantina Riofavara a Ispica (provincia di Ragusa ma ancora territorio della Val di Noto sul piano vitivinicolo), è alla ricerca di un enologo locale per essere seguito più da vicino. Racconta Angelo: «Mi ha chiamato e sono andato a trovarlo. Quindi assaggiamo i vini e mi dice. Uno di questi era realizzato con le stesse uve reliquia che avevo piantato io. Alla sua enologa precedente quel vino non piaceva, lo reputava troppo acido e squilibrato. Invece a me è piaciuto tantissimo. Quello che appariva un difetto era la proprio la sua peculiarità. Così gli dico: Non so cosa ti hanno detto gli altri, ma io non lo userò per fare i tagli, lo imbottiglierò da solo. E se non vuoi che collaboriamo ok, me lo compro tutto io. A gennaio mi richiama e mi dice: voglio rischiare, facciamolo». Comincia così la collaborazione tra i due.

Massimo Padova, guida di Riofavara, con le figlie

«Fu una sfida: quei vitigni - continua Angelo - avrebbero attecchito in quel territorio dove in vendemmia si sfiorano i 48 gradi e dove d’estate c’è una modesta escursione termica? La risposta è sì. I vitigni reliquia hanno tenuto un equilibrio vegeto-produttivo formidabile e possono contare su un ph altissimo (2,90). Il recunu (2,80-3,00 di ph) è un’uva da spumante, ha un bellissimo scheletro, struttura e acidità. Questo vino dai vitigni reliquia ti fa fare una svolta: sembra fatto in Alto Adige. È un vino che non ti aspetti vicino al mare. Il grillo in certe annate calde diventa più grasso e alcolico, invece il recunu mantiene eleganza anche nelle stagioni siccitose».

Provare per riuscire

Racconta Di Grazia: «Quel vino era acidissimo e tagliente, ma imbottigliato a febbraio e lasciato lì, dopo l’estate diventava buonissimo. Poi arriva il toto-nome. A Clementina, la figlia di Massimo, viene l’idea giusta: Nsajàr, un termine dialettale siciliano che significa “provare per riuscire”. Insaiati questa camicia significa provala perché ti sta bene: un nome perfetto. Oggi Nsajàr è diventato il simbolo di questa azienda. Grazie a questo vino dai vitigni reliquia e con vendemmie un po’ anticipate a causa del cambio climatico stiamo svecchiando la zona di Noto. La gestione è cambiata: anche sui rossi puntiamo all’acidità non all’alcol », assicura Angelo, soddisfatto per una collaborazione che dura ormai da 5 anni.

Un'enologia sottrattiva

Il vantaggio dei vitigni reliquia appare evidente sul piano enologico dei trattamenti in cantina. «L’acidità di questi vitigni funge anche da conservante. Cerchiamo di non filtrare e non chiarificare», spiega Angelo. Possiamo parlare di vino naturale? «Oggi naturale è diventato un parolone - chiarisce - diciamo che preferiamo una enologia sottrattiva e non additiva, una filosofia che prevede di non intervenire se non c’è necessità. Del resto, il chiarificante depaupera la struttura e la filtrazione sterilizza. E poi grazie ai vitigni reliquia non ho bisogno di solforosa e ho la possibilità di conservare un approccio delicato al vino».

Anche per questo recunu, cutrera e rucignola - insieme con il carricante portato dall'Etna - sono pure la base del Contatto Bianco, il vino prodotto dall’azienda personale di Angelo Di Grazia. Ovviamente Il recunu, che resta un po’ acerbo, garantisce la spalla acida e diminuisce l’apporto di alcol. Tant’è vero che Ansaldi lo ha sperimentato nella spumantizzazione. «La rucignola offre un’acidità bilanciata e una piccola surmaturazione che arricchisce il profilo aromatico. La cutrera matura molto bene e aggiunge altri indicatori aromatici. Nel mio vino aggiungo anche il carricante che ho portato dall’Etna che un po’ li smorza. Il che è tutto dire visto che in genere è considerato perfino troppo acido».

Vitigni recuperati per sfidare i cambiamenti climatici

Ma c'è un ulteriore motivo per investire su questi vitigni (e sono diversi i produttori che lo stanno facendo): il cambio climatico. «Sono perfetti a questo scopo - assicura Angelo - la mia prima vendemmia nel 2022 fu tormentata dalla siccità, ma queste uve non hanno avuto problemi. Nel 2023 la peronospora ha fatto danni ovunque, ma con le reliquia io non ho avuto alcuna ripercussione negativa. La 2024 non è stata un’annata facile ma la raccolta è stata eccezionale ».

L’ultima considerazione riguarda il futuro della viticoltura siciliana. In assoluta controtendenza, recunu, cutrera e rucignola vengono benissimo in territori aridi, bruciati dal sole e vocati per i vini rossi (nero d’Avola e frappato). Una scoperta che potrebbe aiutare non solo a fronteggiare il clima ma anche ad incrociare l'attuale tendenza del mercato verso il consumo di vini bianchi e spumanti.

Sicilia, terra di bianchi

«La Sicilia è una bellissima terra di bianchi», conferma Di Grazia. «Pensiamo al Marsala fatto con l’Insolia. Mio papà mi spingeva a piantare nero d’Avola e frappato ma io dicevo no, qui a Licodia dobbiamo mettere i bianchi. Qualche autorevole produttore della zona del Cerasuolo di Vittoria (denominazione nella quale ricade l'azienda, ndr) ha provato a farmi cambiare idea. Certo, in Sicilia abbiamo rossi caldi eccezionali come il nero d’Avola, il syrah e il cabernet. Ma il bianco ti stupisce, ha complessità ed eleganza e lo bevi tutto l’anno. Qui fa troppo caldo, perché devo fare un rosso dove non riesco a controllare l’alcol? Un nero d’avola da 14,5 gradi di alcol non lo bevo più. Ora devi andare su 12,5».

Il futuro dei vitigni reliquia

Quindi i vitigni reliquia sono i vitigni del futuro? «Certo - conferma - bisogna avere un occhio al passato per cambiare il futuro. Ho cominciato a fare il cantiniere a 17 anni, in Sicilia c’è troppa confusione, troppi vitigni da tutte le parti e fai un gran casino. Nella zona di Marsala - ironizza Angelo - puoi fare la spesa di vitigni». E invece? «Invece dobbiamo dare voce a ciò che era rimasto nell’ombra. Noi abbiamo creduto poco alle nostre caratteristiche e abbiamo voluto internazionalizzare. Ora bisogna cambiare. Mettiamo le uve reliquia in bottiglia, anche quelle rosse. È un progetto rischioso da far conoscere ai giovani. Bisogna uscire dalla comfort zone. La Sicilia è terra di bianchi ». Meglio ancora se sono uve reliquia. 

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