Il trade internazionale può tirare un grande sospiro di sollievo perché il Defra, ministero inglese per ambiente, alimentazione e agricoltura, ha annunciato che il famigerato modello VI-1 – ovvero il documento unico di accompagnamento per l’importazione dei prodotti vitivinicoli - utilizzato dal governo Uk per le importazioni dai Paesi Terzi nel periodo pre-Brexit, non sarà necessario per le importazioni dei prodotti vitivinicoli nel post-Brexit. E non lo sarà sia per i Paesi Ue sia per tutti gli altri mercati esteri. Il tanto temuto no deal sembra allontanarsi sempre più, in favore di una Brexit più dolce.
Una notizia che riguarda produttori, operatori del settore e consumatori, perché una sua eventuale entrata in vigore a partire da agosto avrebbe significato un incremento di costi e intoppi burocratici che la Wsta (Wine and Spirit Trade Association, associazione commerciale britannica per l'industria del vino e degli alcolici che rappresenta oltre 300 imprese tra produttori, importatori ed esportatori di vini inglesi), aveva stimato in 70 milioni di sterline l’anno. E l’estensione della non applicabilità del certificato VI-1 a 360 gradi significherà un risparmio di costi pari a 100 milioni di sterline.
Gli appelli al governo dell'industria del vino in UK
Già all’indomani del referendum sull’uscita dall’Ue, la Wsta aveva moltiplicato gli appelli al Governo di Londra per evitare di caricare gli operatori del settore di una pesante burocrazia (fatta non solo di carte ma anche di analisi di laboratorio) che, nel post-Brexit, sarebbe costata sia alle imprese sia ai consumatori, in uno dei mercati più vivaci a livello globale per il food & beverage.
Ora la stessa Wsta può, a ragion veduta, parlare di momento storico e di vittoria. “Non ci saranno costi aggiuntivi per i vini importati nel Regno Unito e 33 milioni di consumatori potranno continuare ad apprezzare la vasta gamma di vini”, scrive il ceo di Wsta, Miles Beale, in una nota ufficiale, ricordando che circa il 99% dei vini consumati in Uk è di importazione e che oltre la metà (55%) proviene dall’Unione europea. Ogni anno, l’industria del vino nel Regno Unito (dalla produzione all’importazione) muove un giro d’affari pari a 11 miliardi di euro e dà lavoro a circa 130mila persone lungo tutta la filiera.
Pericolo scampato
L’eliminazione di queste tariffe – è la stima – eviterà un incremento di prezzo per bottiglia di vino pari a circa 13 pence. Se il certificato VI-1 fosse entrato in vigore, le importazioni di vino avrebbero richiesto costosi test di laboratorio valutati nell’ordine di 330 sterline per spedizione, con un probabile effetto sui produttori più piccoli, che sarebbero stati scoraggiati dall’inviare i propri vini nel Regno Unito, pesando ancora di più sull'export agroalimentare, già fortemente compromesso da dazi e Italian sound che pesa soprattutto sul comparto lattiero caseario. “Il Governo ha dimostrato di essere in sintonia col business. La rimozione di queste costose barriere non tariffarie rafforzerà la posizione del Regno Unito come leader nel mercato mondiale di vino”, ha detto James Miles, presidente e amministratore delegato di Liv-ex Ltd.
Questo articolo è stato pubblicato sul Settimanale Tre Bicchieri del 29 luglio 2021
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