Il primo sorriso è amaro. «Questa guerra è una tragedia sotto tutti i punti di vista, almeno ha fatto crescere l'attenzione internazionale sul nostro patrimonio enologico. Si sa poco, l'Ucraina del vino ha una storia millenaria», racconta Victoria Agromakova, rappresentante dell'Associazione Wines of Ukraine e CEO di Wine & Spirits Ukraine, la fiera di settore più importante nel Paese, mentre assaggiamo alcune bottiglie ucraine. È molto difficile pensare al vino, preoccuparsi della viticoltura e dei suoi riti, mentre il paese è in guerra da oltre due anni e l'esercito ucraino fa fatica a resistere agli attacchi russi. Eppure, molti viticoltori continuano a produrre le proprie bottiglie sotto la minaccia costante dei bombardamenti, iniziando a venderle in tutto il mondo come non era mai successo prima. «Abbiamo perso tanti sommelier e amici che sono morti come soldati. Non è semplice portare avanti il lavoro quando sopra la tue vigne volano missili, ma siamo molto determinati a mostrare tutto il nostro potenziale», racconta Agromakova.
Sotto le bombe
Svitlana Tsybak, amministratore delegato della cantina Beykush e presidente dell'Associazione ucraina dei viticoltori, un gruppo commerciale che riunisce molte cantine ucraine, prima dell’inizio della guerra concentrava il suo lavoro sull’espansione delle vendite nazionali. Poi è arrivato il 2022, e con la guerra non solo le aziende hanno dovuto ridimensionare drasticamente le vendite nei mercati di Kharkiv e Odessa, ma hanno anche subito pesanti attacchi bellici. «Molti vigneti e aziende vinicole sono stati occupati», ha detto Tsybak al New York Times. Nella regione di Kherson, ad esempio, poco dopo lo scoppio della guerra, i vigneti sono stati minati, come ha spiegato a Forbes, Andrij Strelez, manager dell’azienda vinicola Knyaz Trubeckoj: «Ci hanno rubato scorte di vino per cinque milioni di dollari. E abbiamo perso 32mila bottiglie nella distruzione del deposito di Hostomel». Odessa, Mykolaiv, Kherson, le tre regioni leader nella produzione vinicola in Ucraina, hanno subito un contraccolpo durissimo. Un mercato – secondo i dati di Pro-Consulting citati da Forbes nel 2022 – che valeva 11 miliardi di grivni nel 2021 (che corrispondono a circa 355 milioni di euro), e che negli ultimi anni era in forte espansione.
Il peso della guerra ha colpito anche wine bar ed enoteche. Ne è un esempio la chiusura decisa nel 2022 da Like a Local’s Wine Bar a Kiev, il primo locale su tutto il territorio ucraino che vendeva esclusivamente vini prodotti nel paese. «Abbiamo aperto nel 2016, eravamo tre soci. La nostra formula ha avuto successo, prima del 2020 avevamo tre bar a Kiev. Due siamo stati costretti a chiuderli a causa del Covid, perché erano molto piccoli e quindi era impossibile mantenere un distanziamento. Poi è arrivata la guerra e, quindi, la decisione di abbassare le saracinesche anche dell’ultimo locale che avevamo», ha raccontato al quotidiano Domani, Evgenia Nikolaychuk, una delle fondatrici di Like a Local’s Wine Bar. Dopo due anni, i soci stanno pensando di riaprire il locale con una selezione di 300 etichette.
Resistenza in vigna
«Abbiamo salvato molti vigneti. Vogliamo dimostrare che siamo persone coraggiose e che continuiamo a lavorare, e vogliamo presentare il gusto dell’Ucraina al mondo», aggiunge Tsybak. Molti vignaioli, infatti, nonostante i bombardamenti, hanno continuato a produrre vino. Secondo Wine Spectator, dopo l'invasione russa sono nate 35 nuove aziende vinicole (alcune si sono trasferite fuori dalle zone di conflitto), per un totale di 160 produttori in tutto il paese. Per poter sopravvivere economicamente, i produttori ucraini si sono affacciati all'esterno dei loro confini e con il tempo sono diventati sempre più dipendenti dai mercati internazionali. Stakhovsky Wines, insieme ad altre due importanti aziende vinicole, Beykush Winery e Château Chizay, sono ora disponibili negli Stati Uniti con il lancio di un nuovo importatore, Vyno Ukrainy. «Sono stupito dal coraggio e dalla determinazione dei produttori ucraini», ha detto il fondatore Bruce Schneider, un veterano dell'industria vinicola che vive a New York.
Il mercato europeo
Segnali di apertura verso i vini ucraini si sono visti anche in Europa, già a partire dal 2023. Mentre la domanda interna in Ucraina continuava a crollare a causa della guerra, Brian Karstens, allora responsabile del settore delle bevande della Coop Denmark, uno dei principali rivenditori di prodotti alimentari danesi, ha deciso di importare le loro bottiglie, aprendo di fatto il mercato europeo ai marchi ucraini. Kiev Independent, una testata giornalistica emergente che si è fatta conoscere fuori dai confini nazionali con lo scoppio del conflitto, ha raccontato che dopo ben 32 incontri la Coop ha concluso contratti con diverse aziende e ha iniziato a importare vino, birra, vodka, olio di semi di girasole, frutti di bosco congelati, formaggio e altri prodotti ucraini in Danimarca.
Un pezzo di storia
Il fatto che la produzione di vino prosegua anche durante la guerra testimonia la sua importanza culturale ed economica, e soprattutto la forza dei produttori locali. Durante la Seconda guerra mondiale, la produzione del vino in Francia e in altri paesi, Italia inclusa, non si fermò nonostante l’occupazione tedesca. Più recentemente, la produzione del vino in Libano è continuata durante la guerra civile durata 15 anni. L'Ucraina ha una storia vinicola molto forte e antica, con ritrovamenti relativi alla produzione del vino che risalgono a oltre 11mila anni fa. Ma il riscatto dei suoi vini è arrivato solo dopo la fine della lunga autocrazia vissuta durante l'Unione Sovietica. «Quello era un periodo di quantità, non di qualità», ha raccontato al New York Times, Sergiy Klimov, ambasciatore del vino ucraino e uno degli organizzatori del Kyiv Wine and Food Festival, un evento che ha avuto un grande successo nel paese. «I vini erano molto poveri. Chi è cresciuto di più è stato premiato». Nel 1991 è arrivata l'indipendenza, il vino è passato dal monopolio di governo al monopolio dei ricchi oligarchi. Niente qualità, ma solo quantità per poter vendere il più possibile. A partire dal 2016, una volta lasciate alle spalle le leggi dell’era sovietica, il vino ucraino ha intrapreso una strada più virtuosa. All'epoca gran parte della produzione era concentrata in Crimea, ma dopo l'occupazione di Putin nel 2014, si è creato un vuoto nella viticoltura ucraina che ha dato l'opportunità a molti giovani vignaioli sparsi nel resto del paese di crescere e far conoscere i propri vini. Secondo Klimov, è da questo momento in cui è iniziata la ribalta delle piccole cantine artigianali.
Il vino ucraino in numeri
Nel 2023, le esportazioni di vino ucraino sono state pari a 9 milioni di dollari, un numero sorprendente se si tiene conto di quello che sta succedendo. La superficie vitata ucraina copre 30.200 ettari di vigne, per un totale di 160 cantine e circa 200 varietà utilizzate. Sì, a livello di biodiversità è una delle nazioni con maggiore potenziale, retaggio di diverse culture che hanno dominato l'area, dai greci ai turchi, all'influenza russa. La produzione si concentra nelle regioni meridionali del paese, ma non solo, tra le zone più vocate annotiamo Transcarpazia, al confine con l'Ungheria e la Slovacchia, la Crimea e la zona di Odessa che affaccia sul Mar Nero.
I viticoltori ucraini, convinti di voler far conoscere sempre di più i loro vini all'estero, si sono presentati anche a ProWein, la fiera internazionale di Düsseldorf, in Germania. Lì, insieme a Victoria Agromakova, abbiamo assaggiato diverse bottiglie. Alcuni vini con grande carattere, altri con uno stile un po' troppo "internazionale", con apporti generosi del legno; non sono mancate espressioni anche molto originali. La prima scoperta si chiama Telti-Kuruk, varietà autoctona a bacca bianca: la traduzione è coda di volpe. Sarà mica lontana parente della coda di volpe che troviamo in Campania? «Il nome deriva dalla forma del grappolo che ricorda proprio quella della coda di una volpe (in turco telti-kuruk); fa parte di un gruppo di vitigni tipici del Mar Nero e fu portata in Ucraina dai turchi circa 500 anni fa. Oggi, però, in Turchia non esiste più e si trova solo da noi», aggiunge Agromakova.
I migliori assaggi
Assaggiamo il Telti-Kuruk 2023 prodotto da Beykush, una delle aziende emergenti dell'Ucraina, a gestione familiare, fondata nel 2010 nella regione di Mykolaiv, siamo vicini al Mar Nero. Profumi di mandorla e nocciola, la bocca è ricca, giocata più sulla polpa che sull'acidità, con un pizzico di dolcezza, sfumature di agrume candito danno rotondità a un finale secco e delicatamente sapido. Aromaticità contenuta e un registro misurato che cresce dopo una decina di minuti nel bicchiere. Nella gamma di Beykush c'è spazio anche, udite udite, per un bianco da Timorasso. I vini, come quelli di Chateau Chizay, sono da poco importati anche in Italia.«In epoca sovietica l'Ucraina è stata un serbatoio del vino per i russi, rese altissime e distese infinite di vigne solo per creare quantità, spesso per poi produrre altro. Ora la mentalità, grazie anche alle nuove generazioni, è completamente cambiata», spiega Agromakova.
Passiamo ai rossi, la scena se la prende un'altra varietà autoctona: Odesa Black. «Siamo sempre più convinti che sarà il vitigno portabandiera dell'Ucraina, le cantine ci stanno scommettendo tantissimo». Odesa Black è un vitigno ibrido creato nel 1948 a Tairovo da un incrocio di Alicante Bouschet e Cabernet Sauvignon. Per questo viene anche chiamato Alibernet. Dà luogo a vini scuri e impenetrabili nel colore con un corredo speziato particolarissimo. Ne assaggiamo tre versioni. Odesa Black Big Wines Big Art 2020 Vinos de La Luz, siamo a sud della città di Odessa, ha una concentrazione importante, con profumi netti di liquirizia, cacao e prugna. La barrique è ancora in evidenza, ma ha succo e riesce a distendersi nonostante una struttura possente. Particolarmente cremoso, dal finale netto di pepe. Si tratta di una produzione tirata in sole mille bottiglie.
Della stessa linea, l'Odesa Big Wines Big Art 2023, lavorato in acciaio, mostra un'acidità pronunciata e particolarissime note di sumac, melanzana e barbabietola al naso. Il palato è un po' duro, con note erbacee e speziate che s'incrociano in una lunga sensazione agrodolce che spiazza e sorprende. Chiudiamo il tris con l'Odesa Black 2020 Villa Tinta, in questo caso siamo nella regione meridionale di Bolhrad, nell'Oblast' di Odessa. Ci mettiamo il naso 4-5 volte: naso intenso e curioso. C'è il tratto di rosa e geranio, poi il pepe e il cumino. La bocca ha un tocco aromatico ben delineato, note di mirtillo e un finale di coriandolo. «Un Borsch wine, ci piace pensare l'Odesa Black sia il prolungamento naturale della nostra classica zuppa di barbabietola».