Nel nuovo numero del mensile del Gambero Rosso siamo andati alla scoperta della Tuscia, un territorio che sta rinascendo dal punto di vista gastronomico e che sul fronte vinicolo regala grandi sorprese, anche andando al di là delle immobili denominazioni. Così ci racconta Francesco Romanazzi, oste e sommelier del ristorante Epiro di Roma.
Ritrovo tanto delle mie esperienze e dei miei ricordi in queste terre. Ritrovo la meraviglia dell’improvviso scorgere il lago disteso tra i boschi, ritrovo le prime reazioni sensoriali davanti un calice di vino imprevedibilmente ambrato e abboccato, e purtroppo ritrovo l’antipatia verso i “rigidi legisti” del vino. Lo ammetto, certe regole mi stanno strette, da tempo, e il movimento che negli ultimi 10 anni si è sviluppato intorno al lago di Bolsena ha offerto, a me e ad altri bevitori curiosi, delle stimolanti alternative al panorama piatto dei vini regionali e a una visione del vino un po’ chiusa in sé stessa. Così oggi, tra l’alto Lazio, l’Umbria e la Toscana, un manipolo di viticoltori giovani e meno giovani sta sperimentando un modo nuovo – ma arcaico allo stesso tempo – di intendere la vigna e il vino, la terra e l’ambiente, l’agricoltura e l’artigianato. Questi nuovi contadini, visti dai locali come folli incoscienti e da una parte della critica come pagliacci, realizzano spesso quei vini dal sapore carnoso e imprevedibile che tanto meravigliavano i cronisti di un tempo, a partire da un progetto di intervento sul territorio che non ha nulla di eretico, nostalgico o retorico, ma che è invece tutto volto a tutelare e valorizzare il patrimonio agricolo e culturale di questi luoghi. E anche quello ampelografico, tramite la riscoperta dei vitigni tradizionali. Il lavoro e il coraggio di questa nuova onda (anzi, orda!) di produttori locali consentirà dunque al viandante attento e all’oste appassionato di andare al di là delle immobili denominazioni che disciplinano la produzione di bianchi insipidi o rossi da depliant, incontrando – insieme agli storici Grechetto e Aleatico – vini prodotti con malvasia e moscato, roscetto e verdello, oppure canaiolo, ciliegiolo e grechetto rosso (localmente detto anche greghetto).
Le Coste di Gradoli
Clémentine Bouveron e Gianmarco Antonuzi, gli apripista. Lei francese, laurea in enologia a Montpellier seguita da stage presso importanti vigneron. Lui romano, grande degustatore e scrittore di argomenti vinosi. Lavoratori instancabili, nel 2005 partono da pochi ettari e una piccola cantina nel centro di Gradoli, da cui sfornano subito eterogenei e gustosissimi vini, tutti prodotti con uve locali, da numerose parcelle di vigneto condotte in agricoltura rigorosamente naturale. Oggi, dopo appena 12 anni, hanno già fatto da maestri a tanti nuovi produttori e guidano un’azienda più grande, rispettando però tutti i principi e le premesse di partenza: grande e costante lavoro della terra (con rigida salvaguardia dei boschi limitrofi e delle aree incolte) e certosina attenzione in cantina, per ottenere oggi un’amplissima gamma di vini sempre complessi e territoriali, scattanti, salini, di grande energia e potenzialità di invecchiamento.
Le Coste di Gradoli - Gradoli (VT) – via Piave, 7 – 0761456685
Cantina Ortaccio
Massimo e Patrizia, dopo anni trascorsi nell’enoteca di proprietà a Roma, decidono di dedicarsi all’agricoltura. Scelgono Latera dove mettono su due minuscole cantine (una di vinificazione e una di stoccaggio) in cui producono e affinano vini fatti con uve locali provenienti da numerose piccole parcelle. Proprio a partire da una vecchia vigna di greghetto (clone locale del sangiovese, alias grechetto rosso) producono il Vecchi Filari Rosso, dai profumi dolci e speziati e dal sorso succoso, scorrevole eppure assai profondo. Oggi, alla loro terza vendemmia, propongono inoltre un bianco fragrante e di bella struttura, un rosso semplice sempre da greghetto e uno sfiziosissimo bianco frizzante ancora in fase sperimentale. Una delle principali ispirazioni del loro progetto? L’idea del recupero: “Troppe terre abbandonate – sostengono – In questo territorio le potenzialità sono enormi: ci troviamo nella caldera di un antico vulcano spento, dove vorremmo vedere molti più vigneti e oliveti, e molti più giovani a lavorarli”. I loro vini costano ancora poco, affrettatevi.
Cantina Ortaccio - Latera (VT) – Corso Vittorio Emanuele III, 130
Il Vinco
Altro lato del lago di Bolsena, nella zona di Montefiascone, dove un gruppo di giovani appassionati guida un’altra nuova azienda nata nel 2014: “Il progetto nasce con l'intento di preservare e recuperare il vitigno autoctono Canaiolo Nero – ci raccontano – localmente chiamato Cannaiola, ed altri vitigni autoctoni della zona”. Attualmente vengono prodotti un rosso, il Canajo’, fresco, morbido e profumato, e un rosato da Canaiolo Nero; nel 2018 esce sul mercato un altro vino rosso da vigne a piede franco e il primo bianco dell'azienda, sempre da vitigni autoctoni: trebbiano, roscetto e malvasia (basi dell'Est Est Est). Potremo forse tornare a bere finalmente quei bianchi locali saporiti di cui parlavano i nostri maestri?
Il Vinco - Montefiascone (VT) – Strada Capannece – 3282061837 – ilvinco.it
Podere Orto
A nord, verso la Toscana, un’altra coppia che ha deciso di lasciare Roma per la campagna. Giuliano e Simona si trasferirono in questo luogo – a 600 metri di altitudine e a poca distanza dalla Riserva naturale del Monte Rufeno – circa dieci anni fa. Idee chiare: sistemare un vecchio casale disabitato, trasformarlo in accogliente agriturismo, piantare la vite e far vino. A partire da zero, Giuliano ha trasformato il terreno in un meraviglioso vigneto misto, con piante a bacca bianca quali procanico, grechetto, malvasia, roscetto, greco, moscato, verdello, e a bacca rossa come greghetto e ciliegiolo. Negli anni ha realizzato due ettari di vigna, da cui ricava poche migliaia di bottiglie: un rosso e due bianchi, vini fini ed eleganti, a tratti spigolosi e per nulla accomodanti, che rappresentano chiaramente il territorio fresco e asciutto da cui provengono e raccontano un lavoro di cantina semplice ed essenziale.
Podere Orto- Trevinano (VT) - Strada Provinciale 51 – 0763476091 – podereorto.com
Ajola
A pochi chilometri dal suggestivo colle di Orvieto potrebbe capitarvi di sfiorare il Podere Ajola. A quel punto fermatevi. Siete astemi? Fermatevi ugualmente. Perché qui incontrate Jacopo Battista, agronomo prima e agricoltore poi, che vi racconta la sua storia. Del sogno di produrre quell’Orvieto Classico che Monelli ottant’anni fa trovava “torbo, dal gusto un po’ grasso, come di liquido più denso, più grave” e che marca il cambio di stile dei vini del sud: “Da qui in giù il vino non sa più di mammole o di frutta, ma se ha odore l’ha di sedano, di finocchio, di erbe dell’orto”. Di questo sanno spesso i bianchi di Ajola. Jacopo, stufo di “vini da prestazione” e di vignaioli da competizione, preferisce parlare del faticare in vigna o in cantina, e del concetto di “quotidianità professionale” contrapposta al successo enologico. Vi sembrerà romantico, ma irreale. Invece no: è romantico e pure reale!
Ajola - Orvieto (TR) - Località Sugano, 26
a cura di Francesco Romanazzi
QUESTO È NULLA...
Nel numero di febbraio del Gambero Rosso, un'edizione tutta nuova in questi giorni in edicola, trovate i racconti della Tuscia secondo Iside De Cesare, chef de La Parolina di Acquapendente, Francesca Castignani, pasticcera de La Belle Helen di Tarquinia, e Danilo Ciavattini, chef dell'omonimo ristorante a Viterbo. Un servizio di 14 pagine dedicato a questa splendida terra, che include una mappa utile per orientarsi e ben tre top 10: le aziende di olio, quelle che producono formaggio a latte crudo e le dieci realtà che portano la Tuscia verso la contemporaneità. Non solo, è da leggere tutto d'un fiato il racconto “Giulia” di Giorgio Nisini.
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