“Scommetto tutto su un vitigno dimenticato”. La scelta controcorrente di una giovane vignaiola che fa solo metodo classico

23 Gen 2025, 18:17 | a cura di
Tanita Danese ci racconta la piccola Doc dei Monti lessini durello che produce solo milione di bottiglie l’anno. E lancia la sfida: "Servirebbe un grande investitore per far conoscere la denominazione"

Sono solo cinque anni che Tanita Danese è ufficialmente entrata nell’azienda di famiglia Fongaro Spumanti di Roncà e già sembra avere un turbine di idee chiare. La prima, quella che sostiene fermamente, è che lei produrrà sempre e solo spumanti metodo classico da vitigno durella. La seconda, non per importanza, è che questo non sarà un percorso per nulla semplice. Dai primi anni Settanta, infatti, l’azienda di Roncà, 12 ettari di vigneti in totale, fu tra le prime in assoluto a credere nel potenziale del vitigno autoctono durella e del territorio della Lessinia per la produzione di spumanti unicamente da metodo classico (il suo Lessini Durello Pas Dosé Nera riserva 2016 è Tre Bicchieri della guida Vini d'Italia 2025).

Il vitigno durella

ll vitigno durella è vigoroso, resistente e viene allevato tradizionalmente a pergola veronese. Predilige le zone collinari piuttosto elevate, caratterizzate da suoli leggeri. Per questo motivo ha trovato il suo habitat ideale sui suoli vulcanici ricchi di basalti dei Monti Lessini, a cavallo tra Verona e Vicenza. La sua riscoperta inizia negli anni Sessanta del secolo scorso, ma fino agli anni Ottanta era utilizzato principalmente per tagliare vini fermi o basi spumante. Solo negli ultimi decenni è cominciata la sua valorizzazione, grazie ad accurate vinificazioni in purezza e a un’interessante produzione spumantistica. Ha una buccia spessa – da cui prende il nome – ricca di polifenoli e una spiccata e vivace acidità, che lo rende adatto soprattutto alla spumantizzazione.

Il Durello spumante nasce da un uvaggio che prevede un minimo di 85 per cento di uva durella, con possibili aggiunte di chardonnay, garganega, pinot bianco e pinot nero. Grazie alla sua esuberante e dinamica freschezza e acidità il vitigno si presta molto bene alla spumantizzazione sia nel metodo classico sia nel metodo charmat. Con la recente modifica dei disciplinari di produzione del consorzio, però, ora ci sono due Doc dedicate ai metodi di spumantizzazione: il metodo charmat, che prende la Doc Lessini durello e il metodo classico, che prende il nome di Monti Lessini Doc. La differenza tra i due stili è netta: più immediato e fragrante il primo, più profondo e raffinato il secondo. Ma in entrambi i casi, la durella mantiene la sua identità.

Come è nata la sua passione per il vino e in particolare per la durella?

Sono cresciuta in mezzo alle vigne e al vino, ma in realtà, ho sempre sperato di non dover fare questo lavoro. Non ho mai avuto l’idea bucolica e romantica del mondo della viticoltura. Per me era terra e basta, oltre ad essere un duro lavoro. Sono nata in un paese a pochi chilometri da Roncà, in provincia di Verona, dove si trova la mia azienda e per me era denigrante pensare di nascere, vivere e morire qui.

Qual è stato, quindi, lo slancio che l'ha fatta restare in Lessinia?

Più che uno slancio, è stato un effetto molla. Tanta era la mia voglia di scappare che sono tornata indietro con molta velocità. Subito dopo le superiori sono andata a Padova per fare filosofia all’università, mi sono laureata e mi sono detta: «Ma cosa sto facendo?». Così sono tornata a Roncà, ho fatto un master in economia, poi un altro in enologia e attualmente sono iscritta alla facoltà di Enologia. Ufficialmente sono cinque anni che sono in azienda e ho un ruolo decisionale, nella realtà ci lavoro da molto più tempo.

Come è nata l'idea di fondare Fongaro Spumanti?

La nostra cantina è attiva dal 1975 e si è sempre basata su tre scommesse. Il vitigno, cioè la durella; negli anni Settanta invece di estirpare durella e piantare garganega noi abbiamo fatto il contrario. Poi, la scommessa di produrre unicamente bollicine – e in particolare da metodo classico. E l’ultima, quella di essere a conduzione interamente biologica dal 1985, quando nel nord Italia era ancora rarissimo.

Invece, per quanto riguarda l’areale del vitigno, come è sviluppata la produzione?

C’è una sorta di strana ambivalenza. La nostra è la prima denominazione interprovinciale veneta: tra Verona e Vicenza, e la superficie possibile vitata è il 70 per cento a Vicenza e il 30 per cento a Verona. Nella realtà odierna invece, è l’inverso: il 70 per cento della superficie vitata è a Verona mentre il 30 per cento a Vicenza. Questo perché l’areale del Durello è nato su tutta la zona che circonda la Calvarina, un monte che oggi è alto 650 metri, ma che molti anni fa era uno dei vulcani più alti di Europa. E la durella originariamente si sviluppava alle pendici, sul versante veronese. La Cantina Fongaro si trova per la precisione nella valle più a est di Verona, la Val d’Alpone, dal nome del fiume che la attraversa.

Perché ha scelto di dedicare esclusivamente i suoi vigneti alla durella e alla spumantizzazione metodo classico?

Mi sono innamorata di questo vitigno perché, secondo me, ha caratteristiche uniche. È un vitigno nato per fare spumante e agronomicamente parlando è una delle poche varietà che viene raccolta matura per essere spumantizzata. Ha un grande talento e una grande capacità di dare bellissimi risultati. Certo, ha le sue criticità, che possono diventare anche un punto di forza però: siamo di nicchia. Produciamo – all’incirca – come denominazione complessiva, un milione di bottiglie l’anno e dobbiamo puntare su questo tipo di comunicazione per posizionarci e farci conoscere.

In Lessinia solo il 25 per cento della produzione è metodo classico, il restante è metodo charmat, quali sono le differenze?

Molti anni fa eravamo visti come pazzi per questa scelta. Siamo i talebani della denominazione, scherzo! (ride, ndr). È stata sicuramente una scelta estrema, e noi siamo tra le aziende che producono un maggior numero di bottiglie, circa 70mila all’anno divise in cinque etichette. La durella vinificata con metodo classico ha quel qualcosa in più. Teoricamente il 75 percento della produzione di metodo charmat è quello delle cantine sociali, che rappresentano circa i 3/4 di questa percentuale.

E come sta evolvendo il gusto dei consumatori per il vino spumante Lessini Durello? Quali sono le nuove tendenze che sta notando?

Sicuramente negli ultimi dieci anni per quanto riguarda i mercati il Lessini Durello ha cominciato a darsi da fare. I vini sono cambiati: non sono più ruspanti e rustici. Abbiamo cominciato che eravamo tre produttori, ora siamo 40. E sempre più giovani produttori si avvicinano al Durello come spumante.

Come pensa che i cambiamenti climatici abbiamo influito e influiranno sulla durella?

Devo dire una cosa forse un po’ politicamente scorretta. Il cambiamento climatico non ci fa così male. Anche grazie al cambiamento climatico produciamo vini più eleganti, equilibrati. C’è un pre anni 2000 e post anni 2000, e il cambiamento climatico (non gli eventi estremi ovviamente), ha contribuito in meglio. Chi fa Chardonnay dovrà andare sull’Everest, noi con la durella in Pianura Padana.

Parliamo ora di mercati. Come si posiziona il Durello rispetto ad altri spumanti italiani?

Sta crescendo ma rimane un mercato locale (Veneto, in particolare veronese e vicentino), fa oltre il 50 per cento del mercato totale. Noi come azienda facciamo un 80 per cento di vendita in Veneto e un 20 per cento in Italia – come zone migliori Emilia-Romagna (Parma soprattutto), Milano, Torino, Roma. Tanti locali di medio-alto livello ci scelgono. Bisogna farlo conoscere: noi siamo una macchina forte ma non un marchio forte.


E per quanto riguarda i mercati esteri?

Attualmente il Giappone è al primo posto. Poi Svizzera, Germania, Estonia, Regno Unito, Stati Uniti (siamo su circa 9 stati).

Invece un mercato internazionale dove vorrebbe posizionarsi in futuro?

Mi piacerebbe arrivare in Canada, Nord Europa, dove c’è maggiore sensibilità al biologico. Non voglio diventare gigante come azienda, non aspiro a questo. Voglio una cantina sostenibile economicamente e socialmente.

Produrrebbe mai uno spumante Lessini Durello no alcol? 

Non mi precludo nessuna strada, se una cantina vede delle opportunità è giusto che lo faccia. Noi, come metodo classico, facciamo fatica per la seconda fermentazione. Io sono ancora molto preoccupata per i risultati, non ho ancora assaggiato vini buoni. Non so se i no alcol possano avere possibilità. Magari penso più a un low alcol. Qualcosa a riguardo la stiamo sperimentando. Vediamo cosa viene fuori.

Come si immagina questo vitigno da qui a 10 anni?

Spero resti un vitigno di nicchia, anche perché la produzione non aumenterà e questo deve diventare il nostro punto di forza. Quello che ci vuole è qualche investitore che venga qui, potrebbe essere una buona opzione. In quanto all’azienda Fongaro Spumanti invece, spero di diventare pioniera nella comunicazione e nel far conoscere di più questa denominazione.

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