Sulle pareti dell’ufficio ci sono foto con amici importanti. Gualtiero Marchesi (“Inarrivabile sotto molti aspetti”), Luciano Pavarotti (“Mi diceva sempre, per vivere felici bisogna innamorasi di una donna, di un lavoro, di un sogno: è vero”), Mario Soldati (“per lui il vino era la poesia della terra”) e il mitico chirurgo sudafricano Christian Barnard che nel ’99 gli commissionò un vino rosso per la Fondazione di Lady Diana. “Lo ricordo anche per l’incredibile carisma e perché era perennemente circondato da donne bellissime” sorride Mattia Vezzola, classe (di ferro) 1951, da Moniga del Garda, titolare di Costaripa nonché uno dei più grandi enologi italiani.
Mattia Vezzola e il rosé
Voleva fare il veterinario, ma – praticamente costretto dal padre Bruno a occuparsi di vino – ha iniziato la sua carriera vendendo macchinari specializzati. La svolta nell’81 quando Vittorio Moretti gli affidò le chiavi di Bellavista, all’epoca quasi un hobby per l’imprenditore bresciano. Ottima scelta vedendo come è andata.
Ma dallo scorso anno lui, uno dei guru del Franciacorta, ha deciso di limitarsi a curare l’alta qualità della factory di Erbusco e di tornare sul Garda, dove passa gran parte del tempo. La meta è ambiziosa quanto sorprendente: rendere grande il Valtenesi Rosé; e in particolare il suo, quello di Costaripa. Il modello è provenzale, elemento fondamentale nella storia viticoltura locale. “Qui alla fine dell’800 si producevano vini con le tecnologie della regione francese vocata al rosé: alla fine degli anni ’60 c’erano 1.400 ettari vitati e solo l’Oltrepò ci era davanti. I nostri rosati, chiamati genericamente Chiaretto, erano venduti tantissimo nel Nord Europa e arrivavano persino negli Stati Uniti. Poi da metà degli anni ’70 è arrivata la speculazione e per quindici anni un massacro con i terreni trasformati in aree edificabili”.
Costaripa. Laboratorio per la Valtenesi
Cantina simbolo della Valtenesi, l’azienda di Vezzola si trova a Moniga del Garda. Solo alcuni terreni sono nella zona del Lugana, a Desenzano, e servono per produrre il Pievecroce. Tre sono le linee ricavate nei circa 40 ettari intorno alla sede, grazie ai vigneti di Groppello, Marzemino, Sangiovese, Barbera che entrano nella realizzazione del Valtenesi. Quella Rosé – 150mila bottiglie l’anno – comprende il Rosamara (chiamato anche il Vino di una notte – per la brevissima permanenza del mosto sulle bucce – e che nasce con la vinificazione “a lacrima”), il Molmenti che è dedicato all’ideatore del primo Chiaretto (nel 1896) e il PalmArgentina, da uve stramature con una piccola integrazione di Moscato Rosa. La linea dei Rossi ha quattro etichette: Mazane, Campostarne, Maim (il più considerato dalla critica) e Castellino. Vezzola infine firma anche alcune bollicine: Brut (chardonnay 100%), Brut Rosé (chardonnay 80% e pinot nero 20%), Crèmant (stesse uve del Brut, ma solo quelle rivolte verso Est). Nelle stagioni che meritano nascono i Grandi Annate Brut e Rosé. In totale, la cantina gardesana produce 420mila bottiglie.“Ma abbiamo già ora un potenziale di mezzo milione “ spiegaMattia“e intendo sfruttarlo per seguire la sempre maggior richiesta di Rosé”.
Il territorio e la vitivinicoltura
Qui siamo in un’area formidabile, tra la sponda bresciana del lago e la sovrastante Valsabbia. “Il Garda è il punto più a nord del mondo con un clima mediterraneo, vi crescono spontanei limoni e capperi. L’ideale per un vitigno come il Groppello, autoctono da 700 anni, che rappresenta la base del Valtenesi: ha una classe infinita ed è stato sottovalutato sino a poco tempo fa”
Torniamo al sogno provenzale? “Anche noi abbiamo una grande storia di agricoltura e viticoltura, con 5.000 piante per ettaro come loro, e fortunatamente non siamo caduti nella provocazione di fare grandi rossi, sostenuta da qualcuno che non ha capito l’anima della zona. La nostra storia deve essere rosé, con il vantaggio che rispetto ad altre regioni non c’è da creare, ma solo da far rivivere” dice, e aggiunge: “Ai provenzali invidio la possibilità di utilizzare nella loro cuvée sino al 20% di uve bianche: questo gli apre grandi prospettive perché, come dice il mio illustre collega Serge Dubois, il rosé giusto è quello che sembra bianco quando sollevi la bottiglia dal secchiello… Ecco perché non escludo una modifica al disciplinare per seguirli, in modo da dare più carattere al Valtenesi e renderlo più pallido. Inoltre non bisogna fissarsi sulle bollicine, e lo dice uno come me con l’attitudine al Metodo Classico: sono bellissime deviazioni ma sempre marginali, i Franciacorta Rosè sono il 2-3% della produzione e gli Champagne il 6-7%. Ed è risaputo che i consumatori di questa tipologia sono neofiti o grandi intenditori: noi dobbiamo parlare a tutti gli appassionati”.
Il valore del rosé
Ma perché Vezzola crede così tanto nei rosé? “Sono vini fuori dal comune, semplici anche se tecnicamente (essendo cuvée) non sono facili, anzi. Li considero un antidoto al formalismo: un Franciacorta è celebrativo, un rosé ispira leggerezza e il piacere di berlo quotidianamente. In Francia, su 100 bottiglie di vino fermo ben 35 sono rosè, da noi 10: ecco perché vedo dei margini notevoli non solo per il Valtenesi ma per tutto il movimento, che peraltro viaggia in ordine sparso. Marchesi ha detto che la più alta forma d’insegnamento è l’esempio, e io lo tengo sempre a mente”. E quale il vostro esempio? “La Valtenesi è vicina al milione e mezzo di bottiglie, 800mila sono rosè: dobbiamo arrivare gradualmente a tre-quattro milioni, tornando alla vecchia estensione di vigneti, su 1.200-1.400 ettari. Aggiungo che bisogna puntare a un 70% di produzione orientata al rosé, sennò mancherebbe un carattere distintivo alla zona e questo nel vino va evitato sempre”.
Sono numeri importanti, quasi incredibili. Vezzola sorride sotto i baffi. “So cosa sta pensando. Però a me capita spesso di sentire sul Valtenesi Rosé le identiche prevenzioni e gli stessi luoghi comuni espressi nei primi anni ’80 sul Franciacorta. Quindi non mi spavento minimamente: amo andare controcorrente, ho una discreta esperienza in materia e sono pure a casa mia. Meglio di così…”
Tempi e obiettivi? “Dobbiamo cambiare approccio, posizionare bene il rosè soprattutto nelle zone turistiche vicino all’acqua: mare, laghi, fiumi, piscine importanti. È una mia fissa, ma è fondamentale quanto il portare più cantine a entrare nella ristorazione: quando ci saranno sei-sette Valtenesi Rosè nella carta dei buoni locali, sarò un uomo felice”. Vezzola, ma perché è tornato a casa? “Per invertire la rotta dell’azienda di famiglia, perché qui è nata la mia storia legata al vino ma soprattutto per un concetto di libertà”. Chapeau, direbbero i suoi (amati) provenzali.
Azienda Costaripa | Moniga del Garda (BS) | via della Costa n.1/A | tel. 0365 502010 | http://costaripa.it/
Consorzio Valtenesi | http://www.consorziovaltenesi.it/
a cura di Maurizio Bertera
Articolo uscito sul numero di Febbraio 2016 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui