Negli Stati Uniti i consumi di vino non ripartono: trema l'Europa. L'Italia si salva (per ora) grazie alle bollicine low cost

11 Lug 2024, 11:19 | a cura di
Cambia volto il primo mercato di destinazione del vino mondiale. Basta bottiglie premium, giù anche i bianchi. A tirare sono gli sparkling, spinti dai cocktail. Il presidente Uiv Frescobaldi: “Assecondiamo il cambiamento”

Il primo mercato di riferimento per i consumi di vino non riparte. Non basta qualche piccolo segnale di avviamento del motore – come nel caso del mese di aprile (+2%) - per ritornare in pista. Negli Stati Uniti il saldo tendenziale dei primi 5 mesi basato sugli ordini dei magazzini da parte di Horeca e Grande distribuzione segna un -8% di vendite complessive e -6% per i prodotti del Belpaese. Ma la cosa preoccupante è che ci troviamo di fronte ad un mercato in pieno cambiamento, senza riuscire a capire fino in fondo la direzione futura.

Vino in eccedenza nei magazzini Usa

La sensazione è che ci sia proprio un problema al motore, ma nessuno riesce a capire quale. Per mesi si è parlato di destocking: magazzini pieni da svuotare a causa dei troppi ordini precedenti. E per mesi si è guardato a quando gli ordini sarebbero ripartiti. Ma quel momento non è ancora arrivato. Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly su base SipSource (la piattaforma che misura le vendite – e gli effettivi consumi nel breve termine - nel 75% degli esercizi commerciali statunitensi), presentata in occasione dell’Assemblea generale di Unione italiana vini, l’ipotizzata fine del surplus di magazzino tra i distributori resta una chimera, visto che il rapporto tra stock di alcolici e vendite effettive viaggia ancora a livelli molto alti con un’eccedenza di circa 10 miliardi di dollari.

Italia meglio della Francia, ma peggio della Nuova Zelanda

Chiaramente il problema non riguarda solo il vino italiano. Il focus Usa dell’Osservatorio Uiv segnala, nei primi cinque mesi dell’anno, un calo generalizzato da parte di tutti i principali Paesi fornitori ad eccezione del Cile (+12%) che ha puntato forte sui prezzi da saldo. L’Italia (-6%) fa comunque meglio di Francia e Stati Uniti (-8%), di Australia e Spagna (-11% e -10%), ma non della sin qui inossidabile Nuova Zelanda, scesa anch’essa in terreno negativo (-1%).

Non tirano più i vini premium

Difficile trovare una categoria o una denominazione che si salvi. Per il nostro Paese, i segni negativi sono sparsi a piene mani: dal Pinot grigio (-7%) al Chianti (-14%). Chi si aspettava la rivincita dei bianchi sui rossi, resterà deluso: i primi registrano un -8%, mentre i rossi (sottozero da settembre 2022), chiudono i cinque mesi a -6.5%. Male, ma non peggio degli altri.


C’è, poi, da registrare un’ulteriore tendenza in corso: neppure il fenomeno della premiumizzazione sembra più andare di moda. Secondo l’analisi, infatti, a parte qualche nome prestigioso (Brunello e Chianti Classico, ma anche Bordeaux superiore, Pomerol e Margaux), tra i classici del Vecchio Continente sembra infatti perdere smalto il segmento luxury (over 50 dollari al consumo). In particolare, i rossi premium italiani segnano un -8% e quelli francesi addirittura a -16%. Difficoltà anche per i bianchi ultra-premium, tra 25 e 50 dollari: il totale mercato è a -10%, con l’Italia a -12% la Francia a -6% e la Nuova Zelanda a -18%.

La rivincita delle bollicine low cost

Unica categoria fuori dal coro? Le bollicine. Anzi, come ricorda l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, per il saldo finale dei vini italiani poteva andare molto peggio senza la stabilità del Prosecco (-0,6%) e dell’Asti (+1,6%) ma soprattutto senza la rilevante crescita dei metodi charmat non Prosecco (+7%), che oggi valgono il 24% dei volumi di spumante italiano consumati negli Usa. A tenere a galla l’Italia, quindi, ci pensano gli spumanti a basso costo, con un prezzo medio al consumo attorno ai 13 dollari.
Il trend è molto netto, se si pensa che nel primo mercato al mondo, lo Champagne crolla a -15%, il Cava spagnolo a -11%. Non fanno meglio gli sparkling domestici: -11%. Una possibile spiegazione la si può ritrovare nel fenomeno cocktail, che abbraccia sempre più la categoria delle bollicine a buon mercato, con crescite tumultuose tra gli 8 e i 13 dollari: +40% da gennaio a maggio. Una pulsione dal basso che sembra per ora concentrata in due areali ben definiti: la West Coast (+36% di vendite e 30% di share) e il Midwest (+9% e 18% di share).

Frescobaldi: “Il vino italiano ha gli anticorpi"

I dati non sorprendono il presidente di Unione italiana vini Lamberto Frescobaldi: «Sapevamo che sarebbe stato un inizio di anno complicato, ma sappiamo anche che il vino italiano ha anticorpi adeguati per reagire alle difficoltà. In questa fase bisogna però fare le mosse giuste: c’è l’esigenza di sostenere un cambiamento in atto già da vent’anni nella vigna italiana. Il settore si sta adattando ai mutati stili di consumo modificando il proprio potenziale produttivo meglio di altri Paesi, prova ne sia che oggi gli spumanti italiani rappresentano il 33% del totale dei consumi di vino del Belpaese negli Usa, quasi il quadruplo rispetto alla quota sparkling generale (9%)».
Parla di una maggiore spinta sulla promozione, il numero uno di Frescobaldi: «Ora serve fare di più, a partire dalla promozione fino alle politiche d’impresa – dalla managerialità alla flessibilità - che devono essere recepite dalle istituzioni, senza cedere a chimere assistenzialiste che nuocciono fortemente allo sviluppo”. Il riferimento è alla spinta – che viene soprattutto dalla Francia, trovando anche diversi adepti in Italia - verso l’estirpazione dei vigneti. Tema di cui si discuterà ampiamente in Europa a partire dal prossimo autunno.

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