Sarà con la dolcezza che si conquisterà il mercato? Forse non nel corso di tutto l'anno, ma durante le feste potrebbe essere il momento più propizio. Per lo meno stando all'alta concentrazione zuccherina che in queste settimane è esposta nelle vetrine delle enoteche, nelle pagine delle riviste di settore e perfino - cosa per il vino non così scontata - in televisione. Basta dare un'occhiata al palinsesto pubblicitario di Mediaset, per esempio, dove da qualche settimana ha fatto capolino lo spot del Passito e del Moscato di Pantelleria della Cantina Pellegrino: “Io pandoro, tu tiramisù, egli sfoglia, noi cannolo, voi panettone, essi sacher. I vini liquorosi di Pantelleria che coniugano il dessert”. Il motivo è di facile intuizione. Non è un mondo facile per questa tipologia di vino, ma a Natale si sa, siamo tutti più “dolci”. Anche nei gusti. E non è un caso che questo sia anche il periodo prescelto per i nuovi lanci sul mercato. Da Ra’is, il Moscato di Noto firmato Baglio di Pianetto, al Moscatello Selvatico Passito di Castello Monaci in Puglia. Ma cosa succede nel resto dell'anno? Conviene davvero a un'azienda avviare la produzione di vini dolci o passiti? E come mai ad oggi non esiste un osservatorio sull'andamento di questo settore?
I VINI DOLCI IN ITALIA
Prima di lasciare la parola agli stessi produttori, ne abbiamo parlato con Vasco Boatto, diretto del Cirve di Conegliano. “La situazione che caratterizza l'ambito dei vini da dessert in Italia è la frammentazione, la forte matrice territoriale, una domanda ridotta e di conseguenza dei piccoli numeri. Tutte cose che ovviamente non giustificano uno sforzo produttivo. Eppure, contrariamente a quanto detto, c'è la tendenza che riguarda la maggior parte delle aziende, ad aggiungere al proprio portfolio, almeno un vino dolce. Il motivo non è economico, ma nasce dal voler dare prestigio alla propria produzione e al territorio di appartenenza”. Ribaltando quindi i termini della questione, la territorialità può essere vista come una marcia in più. “Credo che questo tipo di vino” continua Boatto “rappresentando in modo così stretto il legame col proprio terroir, possa essere una leva per quel che riguarda l'enoturismo. Nelle ricerche che il Cirve ha fatto in tal senso una cosa appare chiara: i numeri non sono alti a livello generale, ma non c'è regione che non abbia un proprio vino dolce o passito. Una diversità e varietà che è allo stesso un limite per il mercato e una forza in più per il territorio specifico. Vista in quest'ottica non è senza dubbio un ramo morto del sistema, anzi”. E poi esistono anche le eccezioni. “Tra queste senz'altro l'Asti Spumante e il Moscato d'Asti, due realtà a sé, non solo in Italia, ma anche all'estero dove si sono imposti sul mercato grazie al basso tenore alcolico. Si pensi che negli Usa il Moscato è il terzo vino importato dall'Italia dopo Prosecco e Pinot Grigio”.
GLI SPUMANTI
Partiamo allora proprio dall'Asti Spumante per capire se tiri effettivamente aria di festa in questo momento dell'anno. I dati Istat sulle esportazione da gennaio a settembre 2014 registrano dei segni più: +4% in volume e +1% in valore. Manca, però, il trimestre più interessante per le sue vendite, quello prefestivo. “In Italia l'Asti Spumante è ancora legato ai brindisi natalizi” dice Stefano Ricagno proprietario della Cantina Ca' dei Mandorli nell'Alto Monferrato e vicepresidente del Consorzio Asti Docg“mentre la destagionalizzazione è la caratteristica di altri mercati, come ad esempio quello Usa, dove cresce la domanda in qualunque periodo dell'anno, o della Russia dove è considerato un prodotto di pregio. Vero è che il settore delle bollicine, qui da noi, è stato letteralmente bevuto dal Prosecco che è diventato il vero prodotto a tutto pasto a tutto tempo” Da dove ripartire allora per essere competitivi in qualunque mese dell'anno? “Insistere su ciò che davvero caratterizza le nostre bollicine rispetto a Prosecco, Franciacorta o Trentodoc: la dolcezza. Bisognerebbe ritornare al concetto di Asti come spumante dolce italiano. Un aggettivo che fa la differenza, anche perché in questo caso si parla di dolcezza naturale, frutto delle uve e delle loro caratteristiche. Su questo sta puntando il consorzio per rilanciare il prodotto e su questo dobbiamo puntare noi produttori. Molti, com'è il caso della mia azienda, ne propongono la versione millesimata: ulteriore garanzia di qualità, grazie all'indicazione dell'annata che nel caso degli spumanti non è necessariamente prevista. Tutte strategie che i numeri di quest'anno sembrano premiare, ma si può fare ancora di più”.
I PASSITI
Dal comparto spumante, ci spostiamo a quello passiti. E cambiamo anche regione. “Il vero problema dei vini dolci? Il semplicistico legame con i dessert” spiega Roberto ScublaÂÂÂÂÂÂÂ dell'omonima cantina friulana “penso ai francesi, al successo dei loro Sauternes in naturale abbinamento con foie-gras e formaggi. Da noi questa mentalità stenta a decollare, e ciò appiattisce un po' l'andamento sul mercato. Poi c'è un'altra criticità: molto spesso il vino dolce viene etichettato come stucchevole. Sbagliare la scelta o il primo approccio può essere fatale per il consumatore. Per questo bisogna prima di tutto educare all'assaggio e all'abbinamento”. Nella produzione della Roberto Scubla, la voce vini da dessert (che si divide tra Verduzzo friulano Crùtis e Riesling Passito) vale il 5% dell'intera produzione (pari a 60 mila bottiglie): “La definirei un completamento di gamma” dice “che però è finita per diventare un fiore all'occhiello della nostra cantina”. Stesso discorso vale in Lombardia per l'azienda Perla del Garda. “Siamo una delle tre aziende bresciane che producono la versione vendemmia tardiva del Lugana” racconta la titolare Giovanna Prandini “una scelta più di cuore che economica. I nostri riscontri sono positivi, ma da soli non ne giustificherebbero la produzione, visto il grande impegno economico e lavorativo che comportano. I vini da dessert, tra le altre cose, subiscono anche gli effetti della legge sull'etilometro di qualche anno fa. Se prima si sceglieva con più leggerezza un bicchiere da abbinare al dolce, oggi è la prima cosa a cui si rinuncia per non incappare in multe e controlli. Una delle soluzioni è berlo prima e quindi spostare il suo ruolo da vino da fine pasto a vino da inizio pasto. Ed è verso questa direzione che ci stiamo muovendo”. Piccola curiosità l'azienda in questione propone oltre al classico formato tipico della tipologia (0,50 litri), anche la versione magnum. “Probabilmente una pazzia” dice Prandini “ma rientra in quelle ragioni del cuore di cui prima, oltre che in una mia debolezza personale e si rivolge soprattutto ai veri appassionati”.
ALCUNE ESPERIENZE INCONSUETE
E se c'è chi fa scelte originali sui formati, c'è anche chi crede così tanto nel passito da “dedicargli” tutta una produzione aziendale. Parliamo di Arcipelago Muratori, una realtà formata da quattro cantine in quattro diverse regioni d'Italia che a Ischia ha puntato proprio e quasi esclusivamente su un vino da dessert: il Giardino Arimei, passito secco dell'isola (il passito non passito come lo definiscono gli stessi produttori). “Una scelta ardita” commenta Michela MuratoriÂÂÂÂÂÂÂ “soprattutto se confrontiamo il mercato di questo vino con quello degli altri nostri prodotti, come ad esempio Franciacorta. Ma l'idea, fin dal 1999 quando impiantammo i vigneti sull'isola, è stata quella di interpretare questo particolare territorio con un prodotto tipicamente suo. Così anche le vendite si muovono in tal senso e sono legate soprattutto alle enoteche o ai ristoranti della regione. Ma ci rendiamo conto di come una vera pianificazione su questo tipo di prodotto, rispetto agli altri nostri vini, sia estremamente difficile. Èun prodotto che va seguito, e per cui bisogna sempre trovare un nuovo posizionamento. Così il suo – e anche il nostro - viaggio alla ricerca del matrimonio perfetto tra i sapori campani non si ferma mai: se all'inizio lo si proponeva soprattutto con i dolci, come ad esempio la pastiera napoletana, adesso si tende di capovolgere questa logica in favore di cibi salati, come la formagella, un caprino sapido campano che ben si presta all'abbinamento con la sua acidità”.Pochi giorni fa, non a caso a ridosso delle feste natalizie, la presentazione di questo particolare abbinamento. Così come non a caso - cambiando regione e denominazione, ma non logica - è di un mese fa l'uscita sul mercato di un altro prodotto da dessert: il Moscatello Selvatico Passito di Castello Monaci (gruppo Giv e famiglia Monaci). In questo caso la vera notizia, probabilmente è che ci troviamo in Puglia, una regione molto conosciuta per i suoi rossi e per i rosati. Poco per i bianchi. Quasi per nulla per i passiti. “Da qualche anno producevamo questo vino dolce per un consumo familiare” dice Luigi SeraccaÂÂÂÂÂÂÂ “poi, a novembre, abbiamo deciso di immetterlo sul mercato in 3 mila bottiglie. In un mese ne abbiamo vendute 2 mila, tanto che adesso stiamo pensando di imbottigliarne altre”. Il dato – anche se in modo molto limitato- ci permette in un certo senso di avere un piccolo osservatorio su quello che accade con le vendite di questo settore per la fine dell'anno. “Chiaramente” commenta lo stesso SeraccaÂÂÂÂÂÂÂ “se l'uscita fosse stata ad aprile ci saremmo sognati di vendere 2 mila bottiglie in un mese. Queste vendite, chiamiamole sperimentali, hanno riguardato esclusivamente la regione, soprattutto le enoteche, anche perché tra le criticità del sistema c'è la mentalità, soprattutto dei ristoratori che questo tipo di vino sia da offrire gratuitamente al cliente a fine pasto. Di conseguenza gli stessi vorrebbero averlo gratuitamente da noi produttori, magari in seguito all'ordine di altri prodotti. Tuttavia i primi risultati ci hanno dato ragione, in una regione,come si è detto, non proprio avvezza ai vini dolci, ma la vera sfida sarà dopo Natale”.ÂÂÂÂÂÂÂ Per la Puglia e un po' per tutta l'Italia al cospetto - della tutt'altro che dolce - logica di mercato.
a cura di Loredana Sottile
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 18 dicembre.
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