Il decreto Rilancio istituisce la certificazione di sostenibilità
Si dice che i più importanti cambiamenti arrivino dalle grandi crisi. Un assioma che sembra adattarsi bene al tema della sostenibilità vitivinicola. “Grazie” al Decreto Rilancio, infatti, il tanto atteso standard unico del vino è diventato una realtà. Pubblicata in gazzetta ufficiale il 27 luglio 2020, la legge n.77 ha di fatto istituito il sistema di certificazione della sostenibilità della filiera vitivinicola. Nel testo, al primo comma, si legge infatti: “Al fine di migliorare la sostenibilità delle varie fasi del processo produttivo del settore vitivinicolo, è istituito il sistema di certificazione della sostenibilità della filiera vitivinicola, come l’insieme delle regole produttive e di buone pratiche definite con uno specifico disciplinare di produzione”.
Fatta la legge, però, adesso bisogna fare il decreto ministeriale, come ha ricordato il capo dipartimento per le Politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale del Mipaaf, Giuseppe Blasi intervenuto al Festival Luci sul Lavoro di Montepulciano, all’interno della tavola rotonda promossa da Equalitas.
Italia primo Paese con uno standard unico
“Ci siamo lasciati un anno fa con un accordo tecnico sulla metodologia” ha detto “Poi il Covid ci ha tirato dentro ad un vortice e il progetto è stato accantonato, ma mai abbandonato. Tanto che grazie alla volontà e sensibilità della ministra Bellanova, abbiamo potuto inserire quel lavoro all’interno degli stessi interventi emergenziali (in particolare all’interno del decreto Rilancio; ndr), per essere immediatamente allineati ai principali obiettivi strategici contenuti nei più recenti documenti di programmazione adottati dalla Commissione europea, in particolare Green Deal, Farm to Fork e Biodiversità. Adesso abbiamo una norma che definisce in maniera chiara i contorni del lavoro che dobbiamo fare e nei prossimi giorni riconvocheremo il gruppo di lavoro che aveva portato al rapporto tecnico. Vogliamo partire entro l’anno per essere attivi già dalla prossima campagna, con procedure di adesione che siano il più semplice possibile”.
In questo modo, come già lo scorso anno Blasi aveva annunciato in un’intervista al settimanale Tre Bicchieri, l’Italia diventerebbe il primo Paese a dotarsi di una regolamentazione unica in materia di sostenibilità vitivinicola (con certificazione volontaria), frutto di una sintesi tra gli attuali protocolli pubblici, come Viva e Sqnpi, e privati, come Equalitas (al quarto comma: “introducendo i princìpi della sostenibilità, quale sintesi dei migliori sistemi di certificazione esistenti a livello nazionale”). E, come dice il decreto, estendibile anche ad altri settori agricoli. Si tratterebbe della continuazione di un cammino iniziato con la riforma della Politica agricola comune del 1992, che ha introdotto i primi incentivi alle imprese agricole che desideravano migliorare la sostenibilità ambientale dei rispettivi sistemi produttivi, aderendo su base volontaria ai primi disciplinari di produzione a basso impatto ambientale o agli impegni previsti dall’agricoltura biologica.
“In questa fase” continua Blasi “è importante avere la capacità di collegare a questo obiettivo gli incentivi europei: una mole di risorse che il Paese non ha mai avuto a disposizione. Tra le richieste del Recovery Fund, alla misurazione dei vantaggi della sostenibilità si somma una richiesta di digitalizzazione. La strada è, quindi, quella di muoversi verso quel processo definito dalla stessa Unione Europea di transizione verde-digitale. Non dimentichiamoci che, nei prossimi 18 mesi, chi deciderà dell’impiego delle risorse” chiosa “deciderà del futuro delle nuove generazioni”.
Perché una certificazione di sostenibilità?
“Il mondo vitivinicolo” esordisce il presidente di Equalitas e di Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro “è recettore delle istanze di cambiamento. Nulla nel vino è mai fermo: si produce nel solco della tradizione ma con grande attenzione a tutto quello che è nuovo sul mercato. E di nuovo c’è la grande attenzione dei consumatori verso il futuro del pianeta”. Comunicare, quindi, a quegli stessi consumatori la rivoluzione che sta avvenendo – sia dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico - diventa il prossimo step verso il futuro.
“Alla base di tutto” aggiunge il vicepresidente di Equalitas, Michele Manelli “c’è la visione di un’impresa che non si accontenta di mostrarsi in regola con le leggi sul lavoro lungo tutta la propria filiera produttiva, ma vuole dimostrare a tutti e in primis al proprio consumatore, grazie allo strumento del marchio collettivo certificato, come si possa coniugare crescita delle produttività e al contempo della qualità del lavoro in senso lato. Idealmente si può dire che grazie al consumo di questa bottiglia ideale di vino che vogliamo realizzare si può contribuire a una società sempre migliore”.
Un investimento che ripaga
Il lungo cammino percorso fin qui lo ricorda il presidente del Gambero Rosso Paolo Cuccia: “Già nel 1982 le Nazioni Unite avevano toccato il tema della sostenibilità, adottando la Carta Mondiale della Natura. Poi, nel 2016, il nostro sistema ha reso obbligatorio il cosiddetto bilancio non finanziario, ovvero quello della sostenibilità. Quando il Gambero Rosso ha deciso di sposare il progetto Equalitas, il grosso timore era che la certificazione potesse trasformarsi in un ulteriore balzello per il mondo del vino, già fin troppo soggetto alla burocrazia. In realtà, la certificazione si è subito dimostrata una nuova opportunità. Si pensi solo a due aspetti: oggi i mercati più evoluti riconoscono un premium price ai vini sostenibili e questo costituisce un ritorno per chi investe in sostenibilità; soggetti importanti per l’export vitivinicolo, come i monopoli del Nord Europa e del Canada, procederanno ad accogliere e scegliere solo i vini sostenibili. Sono due aspetti che ci fanno capire come questo percorso sia ormai inevitabile. Questa è la strada: non ci sono alternative”.
E a proposito del protocollo unico del Mipaaf, il presidente del Gambero Rosso fa un ulteriore passo avanti: “Nel progetto” dice “andrebbe tirato dentro anche il ministero dell’Istruzione. Il Covid, infatti, ha sancito della fine di un’epoca e l’inizio di un’altra. Nel nuovo evo, però, la formazione deve essere diversa e deve essere permanente. L’Italia ha conquistato il primato della produzione, ma affinché raggiunga anche quello del valore nei mercati strategici, ha bisogno di crescere culturalmente anche sul piano della sostenibilità. Per questo siamo convinti del ruolo fondamentale del continuous learning”.
Equalitas e Luci sul Lavoro insieme per il tavolo permanente Vino-lavoro
Intanto, Equalitas ha siglato un’intesa con la manifestazione Luci sul Lavoro, organizzata dall’Istituto europeo di documentazione e studi sociali e dal Comune di Montepulciano. Il primo obiettivo è avviare un tavolo permanente sul tema Vino – Lavoro che funga da osservatorio attivo su temi fondamentali, quali ad esempio il welfare e il cosiddetto giving back (letteralmente “restituzione”), al fine di continuare a trasferire lungo le filiere, e quindi virtualmente sul prodotto finito, le migliori pratiche del lavoro. “Sostenibilità” ricorda Ricci Curbastro “non significa solo produrre in biologico, ma anche essere attenti agli aspetti economici e sociali. Per questo motivo, si è perfezionata la collaborazione con Luci sul Lavoro e l’idea di proporre la creazione di un tavolo permanente sul tema Vino – Lavoro, che monitori, sviluppi e promuova politiche attive del lavoro volte al miglioramento organizzativo della filiera ed al suo sviluppo sostenibile. Una sorta di osservatorio attivo, che potrebbe giovarsi delle informazioni raccolte sul campo con gli audit di sostenibilità afferenti ai vari schemi, a partire da Equalitas e dal nascente standard unico del Mipaaf”.
I tre pilastri di sostenibilità Equalitas
Nato nel 2015 dalla collaborazione tra Federdoc, Unione Italiana Vini, il gruppo CSQA-Valoritalia, 3A Vino e Gambero Rosso, Equalitas rappresenta per l’ambito vitivinicolo un modello di riferimento per la promozione della sostenibilità secondo i tre pilastri sociale, ambientale ed economico (ne avevamo parlato alla sua presentazione durante Vinitaly). Sono già 17 le aziende certificate da Nord a Sud del Belpaese, a cui si aggiungono ulteriori 24 aziende di filiera contrattualizzate o in procinto di certificarsi. Gli ultimi a aderire, in ordine di tempo, sono stati l’azienda toscana Ricasoli e il gruppo Caviro. Ma vale la pena ricordare anche esempi di interi territori, come PRO.S.E.C.CO. Doc, il programma dell’omonimo Consorzio, propedeutico ad instaurare un sistema di gestione sostenibile della Denominazione, così come sta facendo anche il toscano Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano Doc.
a cura di Loredana Sottile
Articolo uscito sul numero di Tre Bicchieri del 24 settembre 2020
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