E anche quest’anno ci risiamo. Nonostante il Covid, nonostante la crisi economica, nonostante il continuo balletto delle frontiere, la vendemmia è iniziata: a Menfi, la cantina Settesoli ha appena staccato i primi grappoli di Pinot Grigio, mentre altrove (al Nord, Centro e Sud Italia) si fanno le prime previsioni sull'andamento. E al di là delle modalità – verde, per la distillazione, a rese ridotte – la domanda che investe tutti, da Nord a Sud, è un po’ la stessa: chi, fisicamente, lavorerà tra i filari? Una questione non da poco, che ogni estate torna ad animare il dibattito italiano e che, nell’anno della pandemia, deva fare i conti con nuovi problemi - vedi alla voce quarantena per gli stagionali dell’Est Europa - che si sommano a quelli mai risolti, tra cui la troppa burocrazia per assumere e la mancanza dei tanto rimpianti voucher.
Quale quarantena per gli stagionali?
Partiamo dalla fine: dai nuovi focolai in Romania e Bulgaria e dall’ordinanza del 24 luglio del ministro della Salute Roberto Speranza che impone 14 giorni di quarantena obbligatoria per chi proviene da questi due Paesi. Secondo Coldiretti sono oltre centomila gli stagionali agricoli che arrivano ogni anno dalla Romania in Italia ai quali si aggiungono più di diecimila cittadini bulgari. Molti di questi sono impiegati proprio nel periodo della vendemmia e le preoccupazioni delle associazioni di categoria e dei consorzi non si son fatti attendere.
A tal proposito, Confagricoltura chiede l’introduzione della cosiddetta “quarantena attiva” (su cui l’associazione si era già confrontata con i sindacati e con i Ministri coinvolti lo scorso maggio), ovvero la possibilità di far svolgere agli stranieri l’attività lavorativa, a condizione che siano ospitati in azienda, che lavorino separatamente dagli altri dipendenti e che non lascino l’impresa per 14 giorni. “Con la quarantena obbligatoria per chi arriva da Romania e Bulgaria” sottolinea il presidente Massimiliano Giansanti “si rischia un’impasse che grava ora sulle imprese vitivinicole. In altri Paesi europei, quale ad esempio la Germania, la quarantena attiva è stata applicata con soddisfazione reciproca da parte degli addetti e degli imprenditori”.
Sulla proposta, però, c’è qualche scetticismo per il rischio che scoppino nuovi focolai proprio all’interno delle aziende. Motivo per cui, il presidente Coldiretti Ettore Prandini ha appena scritto al ministro della Salute, chiedendo di predisporre i tamponi per i braccianti al posto della quarantena: “Fermo restando le necessità di non abbassare l’attuale livello di attenzione alla sicurezza sanitaria” dice “occorre trovare delle soluzioni alternative per evitare di compromettere gravemente il risultato dell’intera annata agraria. Le nostre imprese si sono dette da subito disponibili a farsi carico dei costi per sottoporre al tampone i lavoratori stranieri così da dargli la possibilità di partecipare alle operazioni di raccolta, ovviamente in caso di risultato negativo”.
Ma questa non sarebbe l’unica via percorribile. Da Cia a Coldiretti, passando per i Consorzi di tutela, si torna a chiedere di semplificare le assunzioni per potersi rivolgere anche ai lavoratori italiani, mentre già nei mesi scorsi si era lanciato l'allarme e si erano proposte iniziative per reperire manodopera.
Ritornare ai voucher?
Quello della sburocratizzazione delle assunzioni è un tema che potremmo definire un vero evergreen. Dall’abolizione dei voucher nel 2017, la questione sembra riproporsi puntualmente ogni anno. I prestO proposti subito dopo in sostituzione dei buoni lavoro non sembrano aver portato i risultati sperati, né tantomeno i seguenti contratti di prestazione occasionale acclamati dal Governo Lega-5 Stelle come il ritorno dei voucher, ma privi del loro principale punto di forza: essere un ticket pronto all’uso. “Rispetto al voucher cartaceo, acquistabile oggi per domani, questi contratti richiedono procedure e tempi molto più lunghi” spiega a Tre Bicchieri il responsabile lavoro Cia Danilo De Lellis “motivo per cui l’utilizzo è molto ridotto: non più di mille o duemila ore, a fronte di milioni di ore del vecchio sistema”. Insomma, una debacle, che oggi più che mai richiede soluzioni agili e veloci.
Per Coldiretti, quindi, l’unica possibilità è proprio il ritorno dei voucher: “È una quesitone di lungimiranza” ribadisce il presidente dell’associazione Prandini “Ci sono almeno 25mila posti di lavoro occasionali tra le vigne e l’Italia non può permettersi di perdere le grandi opportunità di lavoro che vengono da uno dei settori più dinamici dell’economia, soprattutto in un momento in cui tanti lavoratori sono in cassa integrazione e le fasce più deboli della popolazione sono in difficoltà. Ciò permetterebbe di ingaggiare meno persone possibili provenienti da Paesi dove è ritornata l’emergenza Covid e prevenire i nuovi contagi autunnali”.
Bonus vendemmia per fa spazio anche agli italiani
Per Cia, la soluzione passa senz’altro dal rendere più fruibile proprio quel contratto di prestazione accessoria, impiegando disoccupati e cassaintegrati e preservando il Paese da nuova ondata virus. “Oggi” spiega il sindacato “il sistema produttivo italiano è in evidente difficoltà (8 milioni di cassaintegrati e 1,5 milioni di disoccupati) e bisogna cercare delle soluzioni all’interno del nostro Paese per cercare di rilanciare l’economia nazionale". Se non, quindi, un vero ritorno ai voucher, almeno uno snellimento dei tempi di fruizione. Ma non solo.
De Lellis ricorda che fino al 4 agosto ci sarà tempo per presentare gli emendamenti al Decreto Semplificazione e Cia proporrà - come aveva già fatto, invano, ad aprile – una sorta di bonus vendemmia, sul modello del bonus baby-sitting. “In pratica” spiega De Lellis “lo Stato dovrebbe emettere un bonus, poniamo di 2500 euro da agosto a dicembre, per il lavoro agricolo che le aziende metteranno a disposizione dei lavoratori. Vista l’eccezionalità della situazione, da estendere, non solo a pensionati, giovani e disoccupati, ma a tutti coloro che vorranno lavorare in campagna. In questo modo, si eviterebbe la busta paga, ma si avrebbe la copertura assicurativa”. D’altronde, fa notare De Lellis, in tutti questi mesi di emergenza, l’agricoltura non ha usufruito di nessuno agevolazione e semplificazione in materia di lavoro e assunzioni.
L’appello del Prosecco Superiore: “Preservare la vendemmia manuale”
“Servono strumenti semplificati per garantire vendemmia in trasparenza, in sicurezza” così a Tre Bicchieri il presidente del Consorzio del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg Innocente Nardi, preoccupato da quanto sta succedendo in vista della prossima vendemmia che da queste parti dovrebbe cadere nelle prime settimane di settembre.
Tra le colline della Docg, infatti, ogni anno vengono impiegati circa 5mila stagionali per la raccolta delle uve, di cui il 50% è costituito da manodopera proveniente dall’Est Europa. “Nella nostra denominazione, la raccolta avviene per lo più a mano e sarebbe impensabile ricorrere alla meccanizzazione. Di fronte ai nuovi casi di Covid in Romania e Bulgaria, abbiamo bisogno di alternative valide. Non possiamo pensare di restare fermi per 15 giorni (il periodo della quarantena; ndr): chi si farebbe carico dei costi di vitto e alloggio? Né ci sembra praticabile la via della quarantena attiva: cosa facciamo se scoppiassero nuovi casi in azienda? I voucher sarebbero, invece, lo strumento migliore perché ci darebbe la possibilità di assumere anche per pochi giorni manodopera che - italiana o meno - vive e dimora sul nostro territorio, evitando nuovi rischi e quarantene”.
Difficile, però, riuscire a fare massa critica su questo tema perché, come evidenzia Nardi, ormai la difesa della vendemmia manuale è una peculiarità di pochi territori e il rischio ulteriore è che - di fronte a richieste inascoltate e problemi irrisolti – per molti la via della meccanizzazione diventi l’unica alternativa possibile. Per molti, ma non di certo per chi fa viticoltura eroica.
Giorgi: “Spazio anche ai percettori di reddito di cittadinanza”
Tra le cantine, l’appello alla sburocratizzazione arriva da Andrea Giorgi, alla guida di Terre d’Oltrepò e La Versa, realtà da 32 milioni di euro e 700 soci che ha appena portato a termine (dal 29 luglio) la fusione tra le due cantine con l’iscrizione nel Registro delle imprese. Anche Giorgi pensa ai voucher come soluzione, estendendone l’uso anche a chi riceve il reddito di cittadinanza (ipotesi di cui si era a lungo discusso nei mesi scorsi). “Oggi le aziende dei nostri soci” ha detto “fanno fatica ad assumere personale da impiegare in cantina ma soprattutto in vigna: gli oneri sono alti, le carte da produrre sono molteplici e i costi generali sono inevitabilmente cresciuti in questi ultimi anni di difficoltà economica. Per questo sono a richiedere a gran voce una semplificazione del voucher cosiddetto agricolo che garantirebbe opportunità di lavoro a giovani studenti, pensionati, cassintegrati e percettori di reddito di cittadinanza. La politica” conclude “ha il dovere di ripensare ad uno strumento per il settore che semplifichi la burocrazia per l’impresa, sia agile e flessibile rispondendo soprattutto ad un criterio di tempestiva disponibilità all’impiego”.
a cura di Loredana Sottile
Articolo uscito sul numero di Tre Bicchieri del 30 luglio
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