Sistema Alto Adige. Quattro passi verso il futuro

13 Mag 2016, 10:00 | a cura di

Il Consorzio vini prepara le prossime sfide sui mercati. Passando per promozione, comunicazione e sostenibilità. Mercato interno positivo nonostante la crisi. Vero obiettivo? Aumentare l'export di dieci punti

Sostenibilità, riduzione dei fitofarmaci, potenziamento delle esportazioni, investimenti in promozione e comunicazione. La ricetta altoatesina per il vino del futuro è racchiusa in quattro mosse.

 

Alto Adige, la terra delle Do

Ci credono le aziende di questo territorio di confine che, coi suoi 5.400 ettari, esprime meno dell'1% di tutta la produzione italiana ma vanta la più alta percentuale di prodotti a denominazione protetta (98%), con una consolidata reputazione, comprovata dal numero dei Tre bicchieri assegnati nella Guida vini del Gambero Rosso, il più alto in relazione alla superficie coltivata. Rispetto ad altri territori italiani, da queste parti le cose non vanno certo male. Le difficoltà del mercato interno, che vale sette bottiglie su dieci, non si sono fatte sentire come altrove in questi anni di congiuntura economica sfavorevole. E i circa 40 milioni di bottiglie di vino (per il 60% bianco) prodotte mediamente ogni anno si vendono bene, a un prezzo medio di 5,5 euro per litro. Tuttavia, i produttori locali e, in particolare, il Consorzio vini Alto Adige non amano dormire sugli allori, ben consci che ci sono diversi aspetti da migliorare.

 

Sostenibilità e riduzione dei trattamenti

Primo tra tutti, il metodo di coltivazione dei vigneti. Un tema che il Cda del Consorzio ha deciso di affrontare in modo più concreto nelle recenti riunioni, come ci spiega il numero uno del Consorzio, Maximilian Niedermayr: “I consumatori dei vini altoatesini non vogliono più soltanto buoni prodotti ma vogliono conoscere anche come vengono fatti. E sarà importante che i nostri contadini rispettino i principi naturali della sostenibilità. Per questo, penso ci sia molto da lavorare, per convincerli che questo sarà il loro futuro”.

Del resto, proprio i pesticidi erano stati lo spauracchio dei viticoltori nella perfetta annata 2015: proprio un fungicida impuro (il 'Luna Privilege' prodotto dalla multinazionale tedesca Bayer) un anno fa aveva danneggiato i vigneti nelle fasi di sviluppo degli acini. Le successive verifiche e analisi avevano confermato che la causa era stata proprio l'antibotritico tedesco. Risultato: circa duemila quintali di uve andati in fumo, con una perdita stimata tra 7 e 8 milioni di euro, che la Bayer risarcirà ai viticoltori a seconda del quantitativo di uve perduto.

inarci all'obiettivo, promuovendo metodi di lavorazione il più possibile vicini a quelli biologici. Certamente, non penso a un vigneto altoatesino tutto bio. Ogni produttore” sottolinea “deve fare la propria strada, ma sarà molto importante agire rispettando l'ambiente. E questo è un segnale che deve partire dal Consorzio, che vede nella sostenibilità un valore aggiunto e una chance per distinguersi in futuro da altre zone produttive. In Italia, in tanti fanno buoni vini e questo sarà per noi un fattore discriminante”.

 

Il parere dei produttori

Tra i produttori, l'argomento è molto sentito. Per Franz Haas, che nel paese di Montagna produce 300 mila bottiglie (con l'obiettivo di raggiungere quota 450 mila), occorre “fare attenzione a non imporre dall'alto i metodi biologico e biodinamico; deve esserci, invece, un consapevole scarto mentale da parte dei viticoltori”. Nei 270 ettari di Cantina Tramin, la superficie biologica è compresa tra 7 e 8 per cento: “Applichiamo la lotta integrata”, spiegano il kellermeister Willi Stürz e il direttore marketing Wolfgang Klotz e per chi ha abbandonato il diserbo prevediamo già dei contributi a ettaro. In ogni caso, il sentiero è tracciato e sarà molto importante sensibilizzare i produttori, così come sarà decisivo un apporto dell'industria chimica che dovrebbe virare in questa direzione”. Lavora sulla riduzione degli erbicidi in Valle Isarco anche la cantina dell'Abbazia di Novacella, guidata da Urban von Klebelsberg: “Abbiamo applicato il biologico sulle coltivazioni di mele, mentre sul vino è più difficile ma puntiamo a una decisa riduzione dei diserbi. Nel campo della sostenibilità, dal 1992 siamo Co2 free grazie a un impianto a biomasse”. In Bassa Atesina, a Caldaro, la storica cantina, strenua promotrice del vitigno Schiava, ha di recente approvato la fusione con Erste&Neue: 800 soci su 500 ettari che daranno vita alla più grande cooperativa dell'Alto Adige, con un potenziale da 3,6 milioni di bottiglie. Qui, oltre a un progetto di viticoltura biodinamica che interessa però solo 12 ettari e 7 soci, l'obiettivo è la produzione integrata: “Siamo a buon punto e notiamo che sempre più viticoltori convenzionali scelgono pratiche utili alla riduzione dei trattamenti con erbicidi”, rileva il direttore Tobias Zingerle.

 

Varietà coltivate

Altro fronte di lavoro per il Consorzio altoatesino, che conta 153 associati e rappresenta il 92% della produzione provinciale, sarà la razionalizzazione delle varietà coltivate: “I vini che abbiamo oggi rispecchiano il nostro microclima, ma forse abbiamo troppe varietà e spesso coltivate in terreni non adatti”, afferma Niedermayr. “Ad esempio, sarebbe opportuno mantenere le coltivazioni Riesling e Veltliner in Valle Isarco, evitare di coltivare il Muller-Thurgau in bassa valle perché meno adatto a climi più caldi, continuare a considerare la Schiava come una particolarità territoriale, così come bisognerebbe far sì che il Lagrein caratterizzi solo l'area di Bolzano e di Gries. Insomma, è molto importante non fare l'errore di piantare i vitigni in zone non vocate”.

La “giusta dimora” di cui parla Franz Haas, secondo il quale di uve come merlot e cabernet si potrebbe fare anche a meno, tenendo presente che vitigni come il pinot bianco “per dare grandi vini andrebbero coltivati sopra i 600 metri”. Una coerenza tra altitudine e aree vocate che ha portato il giovane Hannes Baumgartner, proprietario di Strasserhof, a coltivare solo etichette bianche (tra cui Sylvaner, Kerner, Riesling) sulle alte colline di Varna Novacella, ovviamente senza erbicidi, ma solo con rame e zolfo. E sull'importanza del terroir e della valorizzazione dei cru è Karoline Walch (azienda Elena Walch) a evidenziare la strada: “Penso alla zonazione completa del vigneto altoatesino. È qui che dobbiamo fare passi avanti. Alcune cantine, tra cui la nostra, usano oggi la menzione 'vigna', ma ci sono molti margini di miglioramento”.

 

La logica della qualità contro quella della quantità

E se tra le aree d'espansione quelle di Aldino, Genesio e Meltina potrebbero rappresentare buone opportunità per nuovi impianti, per il Consorzio i vini altoatesini dovranno essere improntati a logiche di qualità estrema, senza cedere a tentazioni quantitative, come nel caso del Pinot grigio, tra i più diffusi, con l'11,60% della superficie vitata provinciale: “Abbiamo detto un no deciso all'idea di Veneto, Trentino e Friuli di costituire una Doc unica. Prima di tutto” rimarca Niedermayr “perché una resa a 180 quintali è un limite che va quasi tre volte oltre le nostre rese. Non siamo, poi, una zona di grandi quantità ma dobbiamo proseguire sulla strada della qualità. La Doc unica è meglio che la facciano altri, ma non noi”. Sulla stessa linea uno dei pionieri della valorizzazione dei bianchi altoatesini, Hans Terzer, enologo storico di San Michele Appiano (340 soci e 18 milioni di fatturato, di cui uno con la sola vendita diretta): “Non abbiamo alcuna intenzione di salire su un barcone che non dà sicurezze. In Alto Adige, abbiamo una buona immagine da difendere e valorizzare al meglio”.

 

Export e investimenti per la promozione all'estero

La strada per i prodotti di quest'area compresa nel triangolo Silandro, Bressanone, Salorno, che ha nei terrazzamenti uno degli elementi caratteristici del paesaggio, passa per il potenziamento dell'export. Oggi circa il 30% della produzione finisce in Germania, Usa, Austria, Svizzera, Russia, Benelux, Inghilterra, Giappone. “Penso che dovremmo liberare un po' il mercato locale, che è quasi saturo” dice il presidente del Consorzio “ed esportare un po' di più. Nel giro di dieci anni, dobbiamo portare l'attuale percentuale sopra di dieci punti”. Il sostegno alle vendite fuori confine, e ai prodotti a marchio Südtirol, arriverà dall'azienda speciale Idm Südtirol-Alto Adige (Innovation, development and marketing), attiva da gennaio 2016, partecipata da Provincia e Camera di Commercio, e che ha unificato le società Bls, Eos, Smg e Tis. Il budget a disposizione per la promozione del vino nel 2016 è il più alto tra tutti i comparti dell'agroalimentare: 2,28 milioni di euro (rispetto agli 1,6 mln destinati al comparto mele o agli 0,92 mln per lo speck), finanziati per quasi metà da fondi privati e per il resto pubblici.

 

Un futuro, quindi, legato a scelte di campo fondamentali che non si possono sbagliare, e che il presidente Niedermayr riassume così: “Coltivazione con meno trattamenti, più sostenibilità, fare qualità senza mettere sul mercato vini quando le annate non lo consentono. Non possiamo e non dobbiamo danneggiare la nostra immagine e la nostra reputazione. E, infine, dobbiamo lavorare per far conoscere di più il nostro territorio. Abbiamo finalmente capito che è meglio fare una strada comune, valorizzando il nome Alto Adige in campo internazionale. Non c'è altra via d'uscita che tirare tutti assieme questo carro”.

 

a cura di Gianluca Atzeni

 

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 12 maggio

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foto:  Lago di Caldaro nella Bassa Atesina EOS_FlorianAndergassen)

 

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