Gamay o Grenache?
Se sbagliare è umano e perseverare è diabolico, beh, da queste parti ne sanno una più del diavolo. Perché su un errore hanno fondato un paradigma, a un vino “sbagliato” han dato le chiavi dell’identità territoriale. Parliamo del Gamay del Trasimeno che, sgombrando subito il campo dagli equivoci, proprio Gamay non sarebbe. Non abbiamo dunque a che fare con un fratellastro del vitigno tipico del Beaujolais, ma piuttosto con l’uva più coltivata al mondo, la Grenache, che ha origini in Spagna ma oggi troviamo diffusa in California come in Sudafrica, in Cile come in Australia, in Sardegna col nome di Cannonau e in Veneto con quello di Tai rosso (abbiamo approfondito il discorso in questo articolo). Qua siamo nell’Umbria del nord, nel Perugino, tra acque chete e cieli multiformi, distanti dai fasti del Sagrantino e vicini alla Toscana del Syrah cortonese come a quella del Sangiovese più nobile, così difficile da sfidare sul suo stesso terreno (eppure ci si prova).
La storia del “finto Gamay”
Negli anni, su queste colline, hanno trovato casa e ottima espressività il Ciliegiolo, il Grechetto e il Trebbiano, nonché diverse varietà internazionali, Merlot e Cabernet su tutte, ancor più confortate dalla sbornia bordolese dei ‘90. Ma guardando più indietro nel tempo, perché qui la viticultura ha origini assai antiche, parla spagnolo l’episodio che vi condusse il finto Gamay, piantato tradizionalmente ad alberello e ahimé ribattezzato “vigneto francese”. Una fascinosa narrazione che fonde storia e leggenda lo vuole importato ai primi del ‘600 da Eleonora Alarcòn y Mendoza, moglie del duca Fulvio della Corgna (famiglia che governò il marchesato, poi ducato, di Castiglione del Lago), fautrice del buon rosso che ne derivava: generoso il grado alcolico, buona la struttura, piacevole la rotondità, ottima l’intensità aromatica. Sbagliata la catalogazione, ma ormai entrato come Gamay nella conoscenza e nella coscienza locale, una volta scoperto l’errore si è preferito tirar dritto, puntando piuttosto a selezionare il clone locale per valorizzarlo al massimo, rendendolo punta di diamante della Doc Colli del Trasimeno.
La cooperativa e il Duca della Corgna
La Cantina Duca della Corgna, linea d’eccellenza della Cantina del Trasimeno, mutua il logo dallo stemma della nobile famiglia e tiene il filo della nostra storia. È infatti grazie a questa cooperativa, fondata a Castiglione del Lago nel 1957, se il comprensorio è tornato a credere nel Gamay del Trasimeno, che col tempo era stato espiantato in favore di varietà più produttive e remunerative.
“Dal 1970 lo vinifichiamo in purezza”, ci racconta l’attuale presidente Massimo Sepiacci, che ne parla come di un figlio da cullare. “E dai primi del 2000, coadiuvati dall’enologo Lorenzo Landi, si è spinto con più decisione verso un vino di alta qualità”. L’impresa può sembrare ardua per una realtà che vanta 150 soci conferitori e oltre 200 ettari vitati, “ma in realtà questa è per noi una risorsa, che ci permette di scegliere e selezionare le uve migliori per ciascuna etichetta”.
Gli investimenti sul Gamay
L’alfiere del rilancio varietale è il Divina Villa, il Gamay del Trasimeno più immediato, vinificato in acciaio, con profumi erbacei e fruttati, beva succosa e ottima persistenza. “Accompagna bene i piatti tipici del lago, la carpa, il tegamaccio; invece per affiancare la carne rossa preferiamo la Riserva”, ovvero il Divina Villa Etichetta Nera, invecchiato in grandi botti di rovere (più struttura al cospetto di un’eleganza comunque innata) mentre si chiama Martavello la versione rosata, sentori di rosa e frutti rossi per un sorso fresco e minerale. Dopo un lungo affinamento in bottiglia, vedrà la luce anche il nuovo cru aziendale, il rosso Poggio Petroso dall’omonimo vigneto su terreno vocato, ricco di scheletro: assaggiato in anteprima, si candida a potenziale faro della varietà e del territorio.
“Negli anni si sono perfezionate le tecniche agronomiche e in cantina si è puntato a un rinnovamento tecnologico, che adesso ci premia. Sono lontani i tempi in cui le uve di zona venivano disperse e vendute al miglior offerente, ora la cooperativa è riferimento per viticoltori e consumatori, in grado di gestire tutte le fasi del ciclo produttivo”. Ma Sepiacci non ha a cuore soltanto la sua cooperativa (che fa un lavoro eccelso anche col Grechetto: si veda l’ultimo nato Poggio La Macchia, un cru dalla vigna più vocata), bensì l’emergere di tutto il territorio. “Confidiamo e incoraggiamo impianti e investimenti sul Gamay, tra i nostri soci e non solo, convinti che una sana concorrenza aiuterebbe a fare gruppo, e dunque a veicolare questi vini a livello nazionale”.
Cantina Madrevite, tra laghi e colline
Prende nome da un antico utensile adoperato per chiudere la piccola apertura frontale delle botti, la cantina Madrevite. Siamo a Cimbano, su colline ondeggianti di boschi e di campi, nel clima mite vigilato dai laghi di Chiusi e Montepulciano, oltre che dal Trasimeno. Nicola Chiucchiurlotto calpestava queste terre seguendo nonno Zino, o guidando assieme a lui il trattore quando agricoltura era sinonimo di sostentamento, e accanto a seminativi, orti, vigneti e oliveti si allevava il bestiame. “Al più si contemplava una forma di baratto, e il vino non era nient’altro che un alimento. Ricordo ancora quando accompagnavo il nonno al ‘cantinone’, da cui tornavano con i dosaggi di tartarico e metabisolfito per renderlo più bevibile”.
Si definisce orgoglioso e coraggioso, Nicola, testardo e sognatore, di certo è rinfrancante farsi travolgere dalla sua passione, dall’energia che esprime parlando della sua azienda. “Ho cominciato studiando agraria, ho lavorato in una cantina limitrofa affiancando un esperto enologo, e già lì mi sono innamorato del mestiere”. Seguì altre strade, poi si iscrisse a un corso serale per enotecnici, e fu proprio la vacanza studio finale a segnare la svolta: quanto gli era sembrata inaccessibile la carriera nel vino visitando le grandi aziende toscane, tanto fu incoraggiato dallo spirito incontrato in Francia, dove “una botte e un garage” sembravano bastare per dare voce a un terroir.
Il Gamay del brand Madrevite
Nel 2003 nasce dunque il brand Madrevite, oggi 60 ettari totali di cui 11 vitati, in conversione biologica “come modello di vita, come moto di coscienza più che di certificazione”. Il Gamay qua c’era già, in uno splendido ma esausto vigneto in vetta a un poggiolo, impiantato ad alberello da Zino “con le traverse della ferrovia come pali di testa”. Venne espiantato “ma si salvarono 200 piante nella vigna adiacente, e proprio da quelle siamo ripartiti per i nuovi innesti avviati dal 2007”. Argille grasse, fertili, che infondono vigore alla pianta e alle uve, per una prima bottiglia di Gamay rosato che si materializza nel 2009. E dunque ancora studio, ricerca, lavoro, coadiuvati dall’enologo Emiliano Falsini e dall’agronomo Stefano Dini, da un gruppo fedele di collaboratori. Fino al debutto di C’osa, da intendere come “chi osa”, il primo Gamay Riserva dalla vendemmia 2016, “una selezione di uve da viti ormai assestate, adulte, poi affinate in barrique”, per un Gamay del Trasimeno con sentori di rosa e spezie, caldo e avvolgente al palato. “L’esigenza di un prodotto più fresco e immediato ci ha portati ad affiancargli una versione d’annata”, ed ecco esordire Opra 2019, croccante e varietale, gustoso fino all’ultimo sorso. Ma ogni etichetta racchiude un gesto fiero, in Madrevite, ogni vitigno è vinificato in purezza “affinché si svelino tutte le sue qualità, e si possa esprimere la complessità del territorio che lo ospita e che forma con lui una cosa sola”.
Cantina Duca della Corgna- Via Roma, 236 - 06061 Castiglione del Lago (PG)- Tel. 075-9652493- www.ducadellacorgna.it
Cantina Madrevite- Via Cimbano, 36 - 06060 Castiglione del Lago (PG) - Tel: 075 952 7220 – www.madrevite.com
QUESTO È NULLA...
Nel mensile di dicembre del Gambero Rosso vi raccontiamo il punto di vista di tante altre aziende. Qualche nome? La Vitivinicola il Poggio, l’azienda agricola Coldibetto, la grande tenuta di Carlo e Marco Carini e tante altre. Trovate poi un approfondimento sulle nuove etichette del territorio, il giudizio dell’enologo Lorenzo Landi e i migliori Gamay secondo la nostra guida Vini d’Italia. E ancora: 5 piatti da abbinare a 5 etichette e una selezione di ristoranti della zona suggeriti dai produttori vinicoli.
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a cura di Emiliano Gucci