La visione della Valpolicella che abbiamo è davvero farcita di cliché, reduce da un'idea di Veneto contadino ed arretrato di derivazione neorealista. Nei film di qualche decennio fa vi era sempre una "servetta" della provincia di Padova, Treviso o Verona... quella visione idilliaca di passato contadino è ampiamente perpetrata, per non dire sfruttata nella zona dell'Amarone, ancora oggi. A uno sguardo esterno sembra che il miracolo del Nord Est e le tante fabbriche, in Valpolicella non siano mai arrivate. Eppure dietro le erte e i muriccioli a secco delle celebri vallate in provincia di Verona, si celano non più umili cascine agricole, ma vere e proprie macchine da guerra capaci di esportare all'estero ben l'80% del proprio prodotto, e questo successo ha un nome: Amarone della Valpolicella Docg.
La tecnica di produzione dell'Amarone
Figlio di un metodo di vinificazione antico, quale è l'appassimento, l'Amarone è un vino di grande spessore e complessità, ma grazie alla concentrazione che la permanenza sui graticci di canne di bambù conferisce in alcuni mesi di riduzione, è al tempo stesso un prodotto assai rotondo, ricco di corpo e suadente. Siamo di fronte a un figlio illegittimo di un vino dolce, infatti lo potremmo a buon titolo chiamare un Recioto sbagliato: un Recioto che aveva terminato del tutto la trasformazione degli zuccheri in alcol, per cui il nome segnala che non più dolce ma amaro, anzi: Amarone. Un passato umile, un presente glorioso, ma un futuro tutto da discutere è quello che si prospetta a questo grande, grandissimo prodotto della terra che fu prima del popolo italico degli Arusnati, poi dei Romani e successivamente terreno conteso tra gli Scaligeri e la Serenissima Repubblica.
Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella vs Famiglie dell'Amarone dell'Arte
È di quest'estate la definitiva rottura – avviata la causa legale (ne abbiamo parlato qui) - in due fronti, quello del Consorzio di Tutela Vini Valpolicella, avvallato dal Mipaaf, e quello delle Famiglie dell'Amarone d'Arte, una più recente compagine che riunisce dodici importanti produttori. La richiesta di quest'ultimi ad essere riconosciuti in sede EU ha spinto il Consorzio di Tutela alle vie legali.
Le rivendicazioni delle Famiglie, tra cui alcuni colossi del territorio (parliamo di aziende del calibro di Masi, Allegrini, Begali, Venturini, Tenuta Sant'Antonio, Brigaldara, Tedeschi, Speri, Tommasi, Guerrieri Rizzardi, Musella, Zenato) sono essenzialmente incentrate sulla pretesa di scarsa tutela verso la caduta qualitativa e di prezzo che il divin nettare veronese potrebbe aver subìto in questi anni, specie sul mercato estero. Tuttavia gli ultimi dati che provengono dal Consorzio risultano di altro segno: sempre più importante, questo vino non cessa di crescere specie nei paesi a maggior strutturazione di segmento nella Gdo, in Germania, Francia, Paesi Bassi, Austria, Irlanda, Belgio, Lussemburgo +5,9% nel 2014, ma con percentuali doppie nei mercati non strutturati, arrivando a mettere in campo ben 12,6 milioni di bottiglie nell'ultimo anno (da 88000 si è passati a 298000 quintali in un decennio). Cifre da capogiro se si pensa al livello qualitativo del prodotto di cui stiamo trattando. Negli ultimi 15 anni, ricorda un'esponente di primo piano delle "Families" come Sandro Boscaini dell'azienda Masi, l'Amarone è cresciuto del 1140% .
I motivi della contesa e i territori di produzione
L'argomento di contesa più spinoso è legato a un famigerato comma 2 dell'art. 4 del disciplinare, in aperto contrasto con l'art. 3, i quali, in buona sostanza, si contraddicevano: vietando la produzione nei campi "freschi e di fondovalle" (definizione aleatoria), salvo poi includere ampie parti di pianura nel territorio di produzione. Le Famiglie chiedono una denominazione distinta tra vigneti di collina, più vocati, e impianti pianeggianti dalle caratteristiche diverse, anche se da decenni l'Amarone - sorprende un po' - si produce indistintamente su entrambi i terroir. Il Presidente del Consorzio Christian Marchesini più volte è intervenuto nel ricordare che: "la modifica al disciplinare di produzione approvata a larga maggioranza in assemblea dei soci riguarda esclusivamente il comma 2 dell’articolo 4, mentre i confini della zona di produzione sono definiti nell’articolo 3 che mai nessuno ha pensato di cambiare. Quindi non c’è stato nessun ampliamento della zona di produzione dell’Amarone e degli altri vini della Valpolicella, nessuna apertura a illegittime produzioni di pianura. Con la modifica adottata il Valpolicella, l’Amarone e il Recioto della Valpolicella Docg continueranno ad essere prodotti esattamente dove vengono prodotti oggi; senza questa modifica, infatti, circa 2/3 delle attuali produzioni avrebbero corso il rischio di non essere più certificate” e aggiunge poi che “la modifica si è resa necessaria per correggere un vizio di forma del disciplinare e per dare una maggior coerenza fra lo stesso e la fotografia reale dei vigneti da sempre esistenti in Valpolicella. Finora la discrepanza, che era presente fin dal 1968 nel disciplinare di produzione dei vini Valpolicella, non era più che un refuso, presente peraltro nei disciplinari di produzione di molti altri vini”. La situazione, tesa, sembra dunque finita in un cul de sac da cui, autorità giudiziaria a parte, non sarà facile uscire.
La questione dei prezzi sui mercati globali
Da una recente conversazione telefonica con l'azienda Romano Dal Forno nasce un'altra riflessione che corrobora la nostra tesi che all'origine delle divisioni interne all'Amarone non stiano, tanto, questioni di vocazione del terroir, quanto la troppa variabilità di prezzo sui mercati globali. Dal Forno è stimata per il rigore dei suoi prodotti, i quali, obtorto collo, non possono andare sul mercato a piccoli prezzi. Parliamo di una produzione a bassissime rese per ettaro e impianti fittissimi. Una delle interpretazioni più profonde dell'Amarone, la quale – per essere chiari – ha da tempo preferito l'oseleta e la croatina ad altri vitigni meno intensi, come la molinara. Uno dei figli, da poco rientrato dagli Stati Uniti, stigmatizzava il fatto d'aver visto presso venditori al dettaglio degli Amarone attorno ai 15$. Sarà un caso isolato, una svista, uno special prize irripetibile ma fa ben comprendere un problema sentito in quel di Verona. Uno dei vini più prestigiosi del pianeta può andare sul mercato a poco prezzo?
Purtroppo la storia del vino è cosparsa di tante zone mitiche rovinate dalle semplificazione: basti guardare alle ferite non del tutto riassorbite del Chianti e del Soave, del Gavi e del Bardolino. Si dirà: "sono altri prodotti...": sarà, ma gli esempi, purtroppo, non mancano.
Il Ripasso e l'anacronismo dell'Amarone
In questi anni, il genio dell'enologia veronese ha saputo anche reinventare e lanciare un altro grande prodotto, il Ripasso. L'origine è in un modo di vinificare, ripassando il più semplice Valpolicella Classico sulle nobili bucce dell'Amarone. È un metodo ancestrale con cui i popoli antichi nobilitavano anche l'acqua, per alleggerire le dure giornate nei campi ai lavoratori che necessitavano di zuccheri: lo ricorda bene il Tachis nel suo libro Sapere di Vino quando parla di "vino dei poveri" o "pola".
Il Ripasso oggi è tutt'altro che un vino dei poveri o vino minore, è un prodotto che ha trovato un enorme successo su molte piazze, prima fra tutte quella tedesca e scandinava. Un prodotto interessante, grande struttura, tannini spesso morbidissimi, ma una cosa non torna (e pare non tornare a molti produttori) se questo ripassare è un metodo antichissimo come può essere riferito all'Amarone che ha solo pochi decenni di storia? Soprattutto, con la carica di colore a cui ora siamo abituati, figlia di macerazioni sempre più lunghe e di bucce che hanno "già dato", già estratte dei propri polifenoli, come possiamo chiedere tutta questa grande concentrazione al Ripasso? La risposta è semplice, si tratta certamente di un metodo venerando di (ri)vinificare, che però non era applicato all'Amarone (che non era ancora stato inventato), ma al più antico Recioto. Eh sì, il Recioto, che piace a tutti, ma pare non lo beva nessuno! Sacrilegio, gran peccato! Un prodotto dolce che necessita d'essere spiegato, tuttavia è proprio questo il proto-vino, l'antenato di tutti i prodotti enologici della zona.
Strategie concrete per controllare i prezzi
In ultimo andrebbe ricordato che, per quanto le rivendicazioni delle Famiglie dell'Amarone d'Arte non appaiano fuori luogo, purtroppo il Consorzio di Tutela non ha strumenti diretti sul controllo del prezzo del vino di cui tutela (e promuove) il disciplinare di produzione. Potrebbe organizzare un presa di coscienza riguardo il ritorno all'ortodossia, tutto quanto concerne la composizione dei vitigni, magari stralciando ogni altra uva che non sia storicamente presente in Valpolicella, o abbassando la resa per ettaro dagli attuali 120 quintali ad 80, come per il Brunello di Montalcino. Poche misure concrete che, in breve, aiuterebbero il prezzo del prodotto.
Una nuova giovinezza delle cultivar locali, infine, potrebbe proseguire quella storia eroica che ha reso l'Amarone uno dei più grandi vini al mondo prodotto con soli vitigni autoctoni. Ancora una sfida che si può combattere, e vincere, con la forza del passato. Con tanta pace dei selezionatori di cloni bordolesi.
a cura di Luca Francesconi
Leggi anche Valpolicella. Le vertigini dell'Amarone vol. 2