Il primo obiettivo di una carta dei vini è molto semplice: non prendere polvere. Le selezioni enciclopediche museali sono un retaggio del passato e oggi solo gruppi con le spalle molto coperte possono permettersele. Costano tanto e spesso scaricano i costi di gestione sul cliente, con ricarichi particolarmente copiosi. Cosa occorre? Idee chiare, ricerca e tanta personalità. Dopo aver girato tantissimo, tra Italia ed estero, per piacere e deviazione professionale, ecco sei consigli su come costruire una carta dei vini al passo con i tempi.
Qui sei consigli per costruire una carta dei vini impeccabile
1. Identità
Innanzitutto, una carta dei vini deve avere un suo carattere, una connotazione stilistica. Deve condensare e riportare i gusti, la ricerca e la passione di chi l'ha redatta. È apprezzabile una carta dei vini con un paio di punti di forza ben identificabili, che siano le bollicine d'Oltralpe o d'Italia, una cotta per gli orange o un'ossessione per il nebbiolo.
Le liste regionali possono anche essere superate, considerando che spesso alcune referenze non sono funzionali al progetto, ma sembrano spesso inserite solo per spuntare tutte le caselle. Come quell'amico, dai piedi non propriamente brasiliani, che viene chiamato all'ultimo minuto per la partita di calcetto solo per fare numero. I nuovi filtri possono riordinare la carta dei vini per stile, varietà, occasione di consumo, prezzo e così via. Ricordiamoci che una carta dei vini ha carattere se riesce a rimanere viva, aggiornandosi con un sano ricambio e con scelte coraggiose.
2. Coerenza
Non solo carattere e identità, la carta deve avere una sua coerenza organica, deve essere fruibile, per non diventare un oggetto inutile e costoso per il ristoratore. Per essere consultabile e di facile lettura, deve rispettare un ordine interno chiaro e preciso, a partire dalla presenza obbligatoria dei seguenti campi nel seguente ordine: denominazione, nome del vino, annata, cantina.
Coerenza strutturale significa anche ricarichi giustificati e proporzionati, va bene, anzi si deve, ricaricare di più i vini di prima fascia, ma manteniamo certi equilibri. E se diamo informazioni aggiuntive, per esempio sul tipo di viticoltura utilizzata, devono essere veritiere e ben riscontrabili.
3. Abbinamento
La carta deve parlare alla cucina. Ci deve essere un legame solido tra la scelta degli ingredienti e la selezione delle etichette: un ragionamento territoriale, artigianale, di assonanza gustativa, di contrasto, di equilibrio, ecc. Il vino deve essere un alleato del piatto, cerchiamo quindi: bevibilità, freschezza, integrità, acidità. Ci sono grandi vini - a dire il vero, in passato qui al Gambero Rosso ne abbiamo premiati fin troppi - che fanno una fatica enorme a tavola. Come il mitico velocista Mario Cipollini alla prima salita. Una bottiglia lasciata a metà a fine cena va interpreatata come un insulto al sommelier, proprio come un piatto rimandato in cucina lo è per uno chef. Per questo è importante puntare sui vini gastronomici per eccellenza, la gioia delle bollicine, bianchi frgranti, rossi leggeri e golosi o di grande struttura ma completi e profondi. Pensate alla leggerezza del Grignolino, al piglio acido di una Barbera d’Asti o a un jolly come il Cerasuolo d’Abruzzo o il Frappato. La vera differenza? La fa la temperatura di servizio, il grande nemico è quella ambiente.
4. Effetto sorpresa
Qualcosa di imprevedibile e poco accessibile, non necessariamente un monumento enologico come il Brunello Riserva 1982 di Biondi Santi. Altrettanto sorprendente è un formato raro su qualche vino di nicchia, vecchie annate di vini solitamente consumati giovani ma più che affidabili nel tempo (si sogna in grande a prezzi super accessibili, si pensi al Verdicchio o al Fiano); oppure un rosé da 500 bottiglie, qualche chicca straniera per dare respiro internazionale alla carta dei vini.
Insomma, inserire qualcosa di poco accessibile nel quotidiano, capace di creare attesa e meritare una narrazione a sé. E se c’è qualche piatto del giorno, recitato al tavolo, perché non immaginare anche una selezione extra che cambia ogni giorno pensata proprio per quelle specialità. Come una coccola extra per il cliente.
5. Un sogno in bicchiere
La mescita al bicchiere è il primo biglietto da visita. Leggi la selezione e sai già che tipo di vini troverai in carta. Di sicuro, non possono mancare un bianco, un rosso e almeno due spumanti, magari un Metodo Italiano e un Metodo Classico degno di nota, anche Rosé. I vini devono girare, anche per essere serviti nelle condizioni ideali, preferibili averne pochi ma di carattere. L’obiettivo è stuzzicare il cliente, stimolandolo a provare più vini o ordinare l’intera bottiglia. Devono essere vini freschi, nitidi, ariosi, capaci di stimolare l’appetito e invogliare il boccone successivo.
Chiudiamo con l'opzione Coravin, uno strumento diabolico che quintuplica l'effetto sorpresa, consente di estrarre il vino senza rimuovere il tappo, mantenendolo inalterato per diversi mesi (c’è chi dice anni, ma non andate oltre i 5-6 mesi). Per un ristorante con una cantina profonda, Coravin offre è uno strumento prezioso. Da mesi aspettate una cena speciale, siete al tavolo, comodi e rilassati. Vi viene proposto un Pergole Torte 2001 al bicchiere o un Trebbiano 2010 di Valentini? Preghiamo per il vostro portafoglio!
6. La formazione
Si può avere la carta più figa, profonda e ricercata del mondo ma se non c’è chi sa proporla, è un lavoro del tutto inutile. Chi la racconta deve sentirla sua. Ci vogliono competenze specifiche, empatia ("ottima scelta!" non basta), capacità di leggere il cliente.
Raccontare un brevissimo aneddoto sul produttore, suggerire un abbinamento insolito, costruire percorsi di degustazione. E, soprattutto, mettersi sullo stesso piano comunicativo del cliente, senza dare la sensazione di tenere un master accademico. Investire in formazione è la vera chiave di volta.