Se la chimica diventa sostenibile. Le nuove sfide dell'agricoltura

16 Ott 2018, 10:20 | a cura di

Produrre di più (per una popolazione che cresce) e inquinare di meno. Sono le due sfide, spesso contrapposte, che il mondo agricolo si trova ad affrontare. Ai colossi dell'industria agrochimica il compito di trovare una sintesi. Ecco i loro progetti sostenibili.

Industria agromica e sostenibilità ambientale. Una contraddizione in termini? In realtà, al di là delle facili ed errate connessioni, si tratta di due ambiti complementari. Anzi, si può affermare che la seconda è già da anni l'obiettivo dell'industria chimica.

Sempre più multinazionali, infatti, per rispondere alle esigenze dei tempi, stanno lavorando alla commercializzazione di prodotti a basso impatto ambientale, sensibilizzando gli stessi agricoltori al loro impiego. “Ma attenzione a trovare il giusto equilibrio” mettono in guardia le associazioni di categoria, che fanno capo a Federchimica: “Quando si parla di sostenibilità, non ci si riferisce solo all'ambito ambientale, ma è un concetto che va declinato anche in sostenibilità economica e sociale. D'altronde viviamo in un momento storico in cui se in Italia possiamo permetterci di interessarci al colore o al diametro di una mela, in altri Continenti non c'è cibo a sufficienza per tutti. Per cui trovare il giusto equilibrio diventa fondamentale. E che ci piaccia o no, l'apporto della chimica – fertilizzanti e agrofarmaci - è indispensabile per farlo”.

 

Il campo dei fertilizzanti

Proprio per rispettare i principi della sostenibilità, le oltre 50 imprese che fanno parte di Assofertilizzanti (una delle 17 associazioni di Federchimica) hanno deciso volontariamente di sottoporsiad un disciplinare, che considera come elementi fondamentali: sicurezza, salute e rispetto dell'ambiente. Parametri ormai sempre più importanti, non solo per i grandi produttori di fertilizzanti, ma anche per gli agricoltori. “In generale” spiega l'associazione a Tre Bicchieri“la tendenza che si sta affermando sempre di più è quella di ottimizzare l'utilizzo dei prodotti, ricorrendovi solo quando è necessario. Questo si può fare grazie, ad esempio, all'agricoltura di precisione che consente di utilizzare i prodotti in base alle peculiarità del terreno e alle reali esigenze della pianta. I metodi sono diversi: si va dai sempre più utilizzati droni, capaci di individuare dall'alto la carenza di elementi nutritivi,ai sensori sulle barre distributrici,dalla fertirrigazione a goccia, fino ai tanti investimenti che si stanno facendo nel campo degli inibitori, per evitare la dispersione eccessiva di sostanze nell'atmosfera”.

Altra strada sempre più battuta è, poi, quella dei cosiddetti biostimolanti che, nati come concimi di nicchia, oggi hanno guadagnato importanti quote di mercato e sono anche diventati un fiore all'occhiello della produzione italiana. “Tuttavia” spiega Assofertilizzanti “ad oggi, purtroppo, non esiste un quadro normativo europeo né per i biostimolanti, né più in generale per i fertilizzanti. C'è solo il Regolamento CE 2003che, però, disciplina solo i concimi minerali. Tutti gli altri – organici, organo-minerali, e biostimolanti – hanno solo una regolamentazione nazionale e, quindi, per essere commercializzati all'estero, devono rispettare il principio di mutuo riconoscimento, con diverse ed immaginabili lungaggini burocratiche”. Anche in quest'ottica, nel 2011, è nata Ebic, l'European Biostimulants Industry Council che oggi conta 50 membri e promuove la creazione di una legislazione europea armonizzata in materia di biostimolanti.

Biolchim e la frontiera dei biostimolanti

In attesa di arrivare a una regolamentazione comunitaria, abbiamo chiesto di cosa si tratti e in che modo possano essere considerati veramente innovativi, a un'azienda leader nella loro produzione, come Biolchim (fondata a Medicina, che oggi conta al suo interno le italiane Cifo e Ilsa spa, la canadese West Coast Marine Bio Processing e l’ungherese Matécsa Kft).

Si tratta di formulati che favoriscono l'assorbimento di nutrienti del suolo e che permettono, così, alle piante di esprimere elevate performance” spiega il responsabile tecnico-agronomico Franco Vitali Si noti bene: i biostimolanti non apportano nutrizione, ma favoriscono l'assorbimento delle sostanze presenti nel suolo o associate. Nello specifico, ottimizzano l'uso dei fertilizzanti, ne riducono le perdite e aiutano le piante a tollerare e superare gli stress ambientali. La cosa interessante dal lato produttore, è che generano ritorno dell'investimento, grazie ai bassi dosaggi e all'aumento della resa e della qualità”.

A questo, si aggiunga che i biostimolanti si inseriscono nella filosofia del riciclo, in quanto derivano dal recupero e dalla trasformazione di materie prime, quali ad esempio il collagene, scarti originati dalla lavorazione della soia, estratti di alghe.“Per quanto ci riguarda” continua Vitali “produrre in modo sostenibile significa creare più valore, usando meno input, diminuire i costi e ridurre al minimo l'impatto ambientale. Insomma, fare di più con meno. Ma anche meno sintesi e più estrazione.Per questo puntiamo sull'economia circolare: l'unica economia dove anche lo scarto viene riciclato e rimesso in circolo”.

Il progetto di “riconversione” sostenibile Biolchim è iniziato nel 2008 e ogni anno si arricchisce di nuovi prodotti, tanto che oggi più del 30% di quelli presenti in catalogo fa parte della linea green, ammessi quindi in agricoltura biologica. “I prezzi? In linea con gli obiettivi” conclude Vitali “L'idea è, infatti, usarli solo quando necessario: dare meno, ma meglio. E questo ha un impatto notevole, non solo sull'ambiente, ma anche sulle tasche dell'agricoltore virtuoso. A giocare un ruolo fondamentale in questa partita è, infatti, la conoscenza. Dell'agricoltore stesso e di tutti i tecnici che lo guidano nelle scelte”. Sono, ad esempio, quattro le tecniche innovative consigliate dal gruppo bolognese: concimazione localizzata e a basso dosaggio (microgranuli); uso di concimi a lenta cessione; agricoltura di precisione; fertirrigazione. E proprio per la diffusione di know how e l'esigenza di continuare a sperimentare, la stessa Biolchim nel 2011 ha lanciato il progetto Win (Worldwide Innovation Network), una rete internazionale, che mette insieme 99 tra università, centri di ricerca, laboratori e distributori, per facilitare il trasferimento tecnologico dalla ricerca all’industria e accelerare i tempi di sviluppo e commercializzazione dei biostimolanti.

Il campo degli agrofarmaci

Spostandoci dal lato agrofarmaci, vediamo che le cose cambiano. A partire dalla normativa che è già definita a livello europeo e stratificata nel tempo, come ci spiega l'associazione di riferimento, Agrofarma (40 imprese associate), che fa parte anch'essa di Federchimica: “Si consideri che il quadro normativo degli agrofarmaci è uno dei più complessi del sistema industriale, molto simile a quello farmaceutico, e con un' alta vocazione scientifica, se si considera che il comparto spende in media il 6% del proprio fatturato in ricerca e sviluppo. Per la commercializzazione del prodotto, esiste, infatti, un doppio livello di registrazione: europeo e nazionale. Le aziende devono, quindi, presentare un dossier - per buona parte relativo all'impatto ambientale - che richiede circa 10 anni di studi, prima di poter registrare il prodotto e, quindi, immetterlo sul mercato. Studi e ricerche che presuppongono investimenti a sei zeri. È opportuno precisare, inoltre, che la registrazione è a tempo, nel senso che ha una scadenza, quindi ogni volta che l'impresa presenta la domanda di rinnovo del prodotto - un po' come la revisione della macchina - bisogna verificare che rispetti i parametri della legge vigente al momento della richiesta”.

Ma non è finita. Oltre ai due livelli sopracitati, esiste, poi, quello che si può definire il terzo livello di registrazione. Quello privato, che riguarda i canali di vendita, Gdo o anche grandi marchi dove confluiscono le materie prime, e che utilizzano dei disciplinari privati, cui il produttore deve attenersi. Un punto nevralgico per l'arrivo dei prodotti sul mercato, ma anche un sistema che, per la sua gestione, suscita vari malcontenti nella filiera. “La cosa che deve essere chiara è che dietro questi disciplinari non sempre c'è una necessità giustificabile dal punto di vista scientifico” spiega l'associazione di categoria“per questo sarebbe auspicabile che, prima di stilarli, anche il mondo della chimica venisse interpellato per capirne l'attendibilità, ma soprattutto per essere certi che determinati criteri possano essere realmente soddisfatti. Il rischio, se si alza troppo l'asticella, è di non trovare più merce da mettere in scaffale. Anche perché ad oggi, è impensabile fare agricoltura senza l'apporto di mezzi chimici. Se vogliano agitare il vessillo della tutela ambientale, racconteremmo solo una parte della verità. Chi lavora nel campo della chimica, non deve essere sempre additato come venditore di veleno, ma essere considerato come un esperto di settore che, partendo dalla conoscenza scientifica, ha ben a cuore la salute dell'ambiente, di chi vi lavora a stretto contatto e del consumatore finale”.

Lo dimostra il fatto che praticamente tutti i grandi gruppi agrochimici hanno ormai inserito linee bio o hanno in essere progetti finalizzati alla sostenibilità ambientale.

I progetti Syngenta per suolo e vite

È il caso di uno dei principali attori dell'agro-industria mondiale, il colosso Syngenta (12,65 miliardi di dollari per fatturato; 200 milioni per Syngenta Italia), che da anni investe nello sviluppo di un'agricoltura sostenibile, attraverso diversi progetti e con un imperativo categorico: “produrre di più con meno risorse”. In modo specifico, la società con base a Basilea, è anche molto impegnata in campo vitivinicolo. Rientra in quest'ambito Grape Quality Agreement, ovvero un protocollo di coltivazione integrato, che aiuta a produrre uve in linea con le caratteristiche qualitative richieste, ma con allo stesso tempo gli standard di sostenibilità sociale e ambientale, senza rinunciare al ritorno di business. Come? “Attraverso la tecnologia” spiega a Tre Bicchieri Riccardo Vanelli, commercial unit head Syngenta Italia “Da quella in vigneto, che prevede un programma personalizzato di gestione del terreno, alla formazione dei viticoltori, fino all'accesso ai mercati internazionali. Il sistema, infatti, attraverso il software Emat, permette alle aziende di conoscere, già all'inizio dell'anno, la lista dei Paesi dove esportare, incrociando i profili residuali degli agrofarmaci adottati in vigneto, con le legislazioni dei diversi Paesi del mondo sui Limiti Massimi di Residui (LMR) e anche con le regole – a volte parecchio restrittive – delle maggiori catene di distribuzione, garantendo così l'esportabilità a monte”. Un sistema che risolve, quindi, un problema di fondo: la complessità legislativa mondiale in fatto di sostenibilità ambientale. Oggi sono circa 16 mila gli ettari che hanno adottato il progetto per circa 140 aziende di tutta Italia e 8 cantine cooperative. Ci sono nomi del calibro di Santa Margherita, Settesoli, Zaccagnini.

Per quanto riguarda, il lavoro sul campo, Syngenta ha anche una soluzione chiamata, Operation Pollinator: “Un modo” spiega Vanelli “per aiutare l'agricoltore a creare dei bordi campo, dove si favorisce la creazione di nuovi habitat adatti agli impollinatori, con l'obiettivo di garantire la biodiversità in vigneto (ma può essere applicato anche ad altri settori) e tracciare dei corridoi ecologici, intatte dall'inquinamento ambientale”. Ma non è finita qua. Non tutti sanno, infatti, che la storia del marchio Vino Libero (lanciato nel 2012 dal gruppo Fontanafredda e dal suo proprietario Oscar Farinetti) è iniziata proprio in ottica sostenibile dalla collaborazione con Syngenta, per poi evolvere nel capo biologico.

Ma guardiamo al futuro: quale sarà quello degli agrofarmaci e soprattutto che agricoltura ci attende? “Di certo non possiamo pensare idealmente di passare a un'agricoltura totalmente biologica” conclude Vanelli “non possiamo neanche permettercelo perché il Pianeta cresce e con esso la richiesta di cibo. Il biologico tout court può andar bene per le nicchie, ma su grande scala la soluzione è il compendio tra una chimica avanzata e allo stesso tempo rispettosa dell'ambiente. Lotta integrata, insomma. Che non può fare a meno degli agrofarmaci - oggi circa il 40% della produzione agricola mondiale andrebbe persa senza gli agrofarmaci - ma che è alla costante ricerca di quelli con profili più puliti e passa dallo studio su principi attivi fino alla gestione delle resistenze. Un po' come avviene per i farmaci”. In fondo, oggi chi curerebbe una grave malattia con il bicarbonato?

Come cambia la vendita dei prodotti fitosanitari

Che la svolta green sia già in atto lo confermano anche i negozi di prodotti per l'agricoltura. “Negli ultimi 2-3 anni la vendita di prodotti bio è cresciuta di oltre il 30%” spiega Vito Pino del punto vendita FitotecnicaLo possiamo constatare dall'allargamento degli spazi a esso dedicati. Per quanto ci riguarda, da un piccolo scaffale adesso ci siamo allargati a un intero settore. In generale si tratta di prodotti più mirati e selettivi che vanno ad agire su una singola malattia o su un insetto specifico. La tendenza generale (bio o meno) è quella di avere prodotti con tempi di carenza brevi (arco temporale che deve passare dal momento del trattamento a quello di raccolta; ndr):da 3 a 5 giorni, mentre prima si andava da 60 a 120 giorni. Inoltre, dopo il boom degli anni ’80, oggi si tende a diminuire i principi attivi (ovvero il numero di molecole) presenti nel singolo prodotto”.

Tra le ultimissime tendenze in corso, Pino ricorda anche anche l'uso di nuove tecniche come il “lancio di insetti utili”: “Si tratta di insetti antagonisti, allevati dalle biofabbriche, che possano contrastare quelli che attaccano le piante. Nell'ultimo anno la richiesta è aumentata moltissimo, sebbene sia ancora un “prodotto” più complicato da trattare”. Ma come tutte le novità, il passaggio ad un'agricoltura sostenibile non è facile e ha bisogno di tempo: “Molti agricoltori” conclude “sono restii a cambiare prodotti, preoccupati soprattutto dai prezzi (15-20% in più di quelli tradizionali) e dai possibili rischi. Tuttavia sono anche consapevoli di come le cose siano cambiate e di quanto la sostenibilità sia ormai un’esigenza di mercato inarrestabile”.

a cura di Loredana Sottile

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 13 settembre

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