«Il Riesling alsaziano? Straordinario, ma difficile da vendere». Sono queste le parole di Jancis Robinson, una delle più autorevoli voci del panorama enologico mondiale, sul Financial Times. Se il Riesling dell’Alsazia è amato dai Master of wine e dagli appassionati, i numeri raccontano un’altra storia: le vendite crollano, i turisti comprano meno, e persino i produttori iniziano a ripensare il loro approccio. Vista la vicinanza dell'Alsazia con la Germania, spesso si dice che in questa regione si producono vini tedeschi in stile francese; tuttavia, la filosofia enologica dell'Alsazia è piuttosto diversa da quella tedesca. In Alsazia - contrariamente alla Germania - lo zucchero dell'uva è completamente trasformato in alcol producendo quindi vini secchi e più corposi di quelli tedeschi. Ma il gusto delle persone, a pari passo con il clima, sta cambiando.
Il Riesling alsaziano non si vende più
L'Alsazia è fra le regioni vinicole più settentrionali della Francia. Situata nella parte nord-orientale, sulle colline che si sviluppano sul versante orientale delle montagne dei Vosges, lungo il corso del fiume Reno ai confini con la Germania, è costituita da una striscia di territorio con un'estensione totale di circa 110 chilometri per una superficie vitata di quasi 16mila ettari ed è suddivisa in due dipartimenti: il Bas-Rhin (Basso Reno) a nord - nei pressi di Strasburgo – e l’Haut-Rhin (Alto Reno) a sud. Per decenni, i Riesling alsaziani si sono distinti per il loro carattere secco e minerale, una qualità che li differenziava nettamente dai vini tedeschi tradizionalmente dolci.
Tuttavia, la recente impennata di Riesling secchi prodotti oltre il Reno potrebbe aver ridotto l’appeal di quelli alsaziani, spiega Robinson. A ciò si aggiunge un packaging ritenuto antiquato – «quelle bottiglie alte e verdi» – e un mercato sempre più disinteressato ai monovarietali bianchi. I turisti, che un tempo sostenevano gran parte delle vendite acquistando direttamente dalle cantine, ora spendono meno, complici le incertezze economiche e il cambiamento delle preferenze. Il produttore Julien Schaal, che ha investito in una nuova cantina innovativa, racconta a Jancis Robinson un nuovo trend preoccupante nella regione vinicola: «Molti viticoltori stanno rinunciando a imbottigliare i propri vini, preferendo vendere le uve alle cooperative». Una mossa che sembra andare in controtendenza rispetto ad altre regioni francesi.
Il cambiamento climatico e l’innovazione forzata
Il riscaldamento globale sta obbligando i produttori alsaziani a rivedere i metodi di vinificazione. Domaine Weinbach, una delle aziende storiche della regione, ha iniziato a sperimentare blend innovativi per affrontare le estati più calde. Eddy Faller, membro della famiglia proprietaria, descrive con franchezza il suo approccio poco ortodosso: «Preferisco pagare una multa per non seguire le regole che pentirmi di non aver fatto nulla». Faller ha lanciato vini sperimentali co-fermentando uve come pinot Grigio e pinot Bianco, o addirittura varietà non consentite come syrah e grenache. Nonostante le difficoltà, il pinot bianco – spesso relegato alla produzione di Crémant d’Alsace, che per ora, a detta della Robinson, sono gli unici in crescita sul mercato – potrebbe diventare un alleato contro il riscaldamento globale. La sua naturale acidità lo rende un’arma preziosa in un periodo in cui i vini bianchi tendono a diventare sempre più alcolici. Ma una delle lamentele sul sistema di denominazione è la sua rigidità su questo punto: «Siamo una delle poche denominazioni a insistere sulla regola del 100 per cento dell'uva citata in etichetta», afferma. La maggior parte delle altre regioni consente fino al 15 per cento di altre uve da aggiungere ai vini etichettati in base alla varietà.
Il caso Trimbach
Jean Trimbach, alla guida della storica Domaine Trimbach, sembra meno incline all’innovazione radicale. I suoi Riesling espressivi e longevi, come il leggendario Clos Sainte Hune, rappresentano ancora il modello di eccellenza alsaziana. Tuttavia, anche Trimbach ammette che le vendemmie si stanno anticipando di settimane e che i livelli di alcol stanno salendo, raggiungendo il 14,5 per cento. «Ma le nostre vigne, rinfrescate dai venti dei Vosgi, riescono ancora a mantenere un’ottima acidità», afferma il produttore francese a Robinson. Se il 90 per cento della produzione alsaziana resta dedicato ai vini bianchi, il pinot nero sta guadagnando terreno, offrendo un’alternativa più accessibile ai rossi di Borgogna. Eddy Faller, che dal 2017 imbottiglia Pinot Nero da singoli vigneti, critica però il mercato per la sua insistenza nel collegare le vendite di rosso a ordini di bianco. «Così svalutiamo i nostri straordinari Riesling secchi, che sono la vera risorsa dell’Alsazia».
Dal racconto di Jancis Robinson, l’Alsazia sembra trovarsi a un bivio. Da una parte, produttori storici come Trimbach mantengono viva la reputazione della regione; dall’altra, le nuove generazioni, come il più giovane produttore della famiglia Faller o Julien Schaal, cercano soluzioni audaci per affrontare un mercato in evoluzione. Come sottolinea Jancis Robinson, il futuro dei Riesling alsaziani dipenderà dalla capacità dei produttori di adattarsi senza perdere la loro identità. Perché, se è vero che il cambiamento climatico e le mode stanno ridefinendo il panorama enologico globale, forse la vera sfida per l’Alsazia sarà riscoprire il valore della propria unicità.