Né con Report né con Lollobrigida. Lo slogan degli anni Settanta - «Né con lo Stato né con le Br» - era decisamente riprovevole, ma la sua riproposizione odierna ha un senso anche perché gli attori sono ben diversi: Lollobrigida non è lo Stato, per fortuna, ma il governo, e Report non incita alla rivolta armata, anche se il terrore resta uno strumento di marketing irrinunciabile.
E dunque, stiamo parlando dell’ultima puntata della trasmissione di RaiTre che ha deciso di analizzare il mondo del vino, evidenziando sofisticazioni e truffe. Chi un po’ ne mastica di tannini e acidificazioni, dirà: nulla di nuovo. Chi non ne mastica, si dividerà in due fazioni. Quella dell’utente social tipo: «Che schifo, mi è passata la voglia di bere vino». E quella dell’utente politicizzato: «Ecco, il solito servizio di Report per massacrare le eccellenze italiane e dare addosso al governo».
L'inchiesta di Report sul vino
E dunque cosa dice Report? Che i produttori usano tecniche legali e illegali di "sofisticazione" del vino e che le frodi abbondano. Bisogna intendersi: quando si parla di tecniche legali, bisogna ricordarsi che il vino è un prodotto dell’uomo non della natura. In natura, senza l’omino che provvede, sarebbe aceto. E quindi è l’uomo che interviene, coltivando bene l’uva, evitando malattie, stabilendo i tempi esatti di fermentazione e maturazione. E correggendo i difetti. E qui si arriva al punto: è etico correggere i «difetti», o quel che non ci piace, per andare incontro ai gusti dei consumatori? Pensate alla vostra pasta in cottura: è troppo insipida, aggiungiamo sale. È un problema? Sull’insalata aggiungo aceto o limone per aggiungere acidità.
Stiamo correggendo "un errore", ma ci pare normale. Stiamo sofisticando? No: e allora perché ci lamentiamo se i produttori correggono i mosti, per farli diventare più o meno acidi, più o meno tannici, più o meno alcolici? Per una questione etica o per una questione di risultato? Perché aggiungiamo prodotti non naturali? Ma la colla di pesce o l’albumina sono naturalissimi. Riflettiamo: pettinarsi i capelli è ok, ma tingerseli? Mettersi una crema va bene, ma farsi una plastica facciale? Ognuno ha i suoi gusti e noi siamo gente liberale: si faccia come si preferisce, sempre che siano rimedi legali.
Questione di etichetta
Ma il punto che Report ha sottolineato solo en passant è il punto chiave della questione. Io, Beppe Monelli, io consumatore, lo voglio sapere cosa c’è dentro il vino e com’è fatto. Lo esigo, lo pretendo. Vuoi usare il mosto concentrato rettificato perché hai delle uve un po’ andate? Prego, ma lo voglio leggere in etichetta. Voglio sapere quanti solfiti aggiunti ci sono, se è stata usata bentonite o kriptonite, quanto rame e quanto zolfo, quanti trattamenti. Si dirà: non ci sta tutta sta roba in etichetta e poi spaventerebbe a morte il consumatore. Ma avete provato a leggere l’etichetta di una robiola? Vi siete spaventati? E poi ci sono i qr code, si può tranquillamente inserire ogni informazione là dentro, per chi vuole sapere cosa beve (e, purtroppo, sono pochissimi).
Questioni ignorate
La verità è che il mondo del vino, dominato dai grandi produttori, non ne vuole sapere di normare un’etichetta trasparente, chiara, dettagliata. Non solo non obbliga a dettagliare, ma lo proibisce. Insomma, Lollobrigida non ha ragione (non è una novità). Quando dice «abbiamo un nemico in casa», fa venir voglia di lasciar casa (ma parlava di Rai o di Italia?). Che poi sono "casa" sua la Rai e l’Italia? Quando dice che «la Rai non può aggredire il nostro vino», fa ridere. Perché le questioni poste da Report son ben note, e ignorate da tutti i governi, di sinistra e di destra.
C’è la questione etichetta, e c’è quella delle frodi. Vogliamo negare che ci siano le frodi? Che camion di Montepulciano o uva da tavola percorrano la penisola in direzione nord per tagliare i vini, in barba ai disciplinari, truffando il consumatore? Vogliamo negare che ci siano porte girevoli tra burocrati incaricati di controllare e aziende?
Quanto a Report, ci stringiamo a testuggine, se si pensa di cancellare una delle poche trasmissioni di inchiesta. Ma non possiamo schierarci senza se e senza ma con Sigfrido Ranucci. Perché ha un po’ stancato questo marketing del terrore spacciato per giornalismo. Spaventare il consumatore, mettendo tutto nel mucchio, senza mai spiegare le proporzioni dei fenomeni, senza mai fare distinzioni, senza mai spiegare che spesso sono eccezioni alla regola e non la regola. Mettere insieme la colla di pesce con i trucioli, il mosto concentrato rettificato con il prosecco fatto in Puglia è un’operazione spericolata e intellettualmente disonesta. Esattamente come negare i giganteschi problemi che inquinano l’industria del vino e la rendono un settore opaco, da riformare.