«Chi è ignorante pensa che siamo furbetti». Un piccolo produttore di Passito di Pantelleria, che preferisce rimanere anonimo, non ha dubbi ed esordisce così al Gambero Rosso. Il riferimento è alla recente inchiesta di Report, andata in onda la scorsa domenica su RaiTre, che ha puntato i riflettori sull’uso di “serre” nell’appassimento delle uve zibibbo, metodo adottato da aziende come Donnafugata per il suo Passito di Pantelleria Doc. «Da piccolo produttore dovrei essere contro le grandi aziende vinicole (come quella di Antonio Rallo, ndr), ma dopo l’ultima puntata di Report mi scopro difensore, le inchieste così mi innervosiscono», confessa il viticoltore.
La risposta dei vignaioli di Pantelleria
Chi conosce davvero il lavoro dietro ogni bottiglia di passito, infatti, ha una visione meno rigida della questione. «Chi è ignorante pensa che siamo furbetti», dice il produttore che ha chiesto l'anonimato e aggiunge: «Le inchieste così rischiano di fare confusione e di affrontare il tema con superficialità». Anche Francesco Rizzo (proprietario dell’azienda Vinisola a Pantelleria che produce circa 25mila bottiglie di cui 5mila di passito), al Gambero Rosso dice la sua: «Sono molto sorpreso delle modalità con cui è stata fatta l’inchiesta. Le serre - quelle che si sono fatte vedere nelle immagini della trasmissione - sono sull’isola da molto tempo. Chiamiamole come vogliamo, serre o copertura».
La questione sollevata dalla trasmissione riguarda proprio la differenza tra i “metodi tradizionali”, con le uve stese sui graticci all’aria aperta e protette solo in caso di necessità, e il sistema usato da Donnafugata per l’appassimento di zibibbo del suo Ben Rye, che prevede l’impiego di "serre" ventilate (accusate anche di aumentare la temperatura durante il processo di appassimento). Il disciplinare prevede che «l'appassimento al sole» possa avvenire anche «proteggendo le uve da eventuali intemperie», dicitura che Report ha più volte definito come fuorviante. Ma anche su questo punto, il vignaiolo della piccola azienda a conduzione familiare sostiene: «Non è mica facile lasciare le uve così al sole, se arriva un acquazzone noi perdiamo tutto il lavoro di un anno. Grazie alle serre si fa passito in sicurezza».
Il caso delle serre
Secondo i produttori panteschi interpellati, il grande rischio dell’inchiesta è quello di creare un effetto distorsivo nell’opinione pubblica, come era già stato fatto con l’inchiesta ai Supertuscan. «Chi ha visto la trasmissione e non è del mestiere vedrà le serre come qualcosa di diabolico. La gente comune si ricorderà solo di quest'ultime», afferma il vignaiolo anonimo. Ma come funzionano davvero queste strutture? «Le serre a Pantelleria hanno due aperture ai fianchi per regolare la circolazione dell’aria. È nell’interesse di ogni produttore non rovinare il proprio vino, nessuno vuole perdere aromi e profumi o farlo ammuffire. Non si usano per stravolgere il prodotto, ma per proteggerlo». Anche sul disciplinare, il piccolo produttore non ha dubbi: «La dicitura è giusta così com’è».
Serre, stenditoi e forni
«Io ho due serre», ammette il nostro interlocutore anonimo. «Le uso quando la temperatura dell’aria scende e quando inizia la seconda essicazione, tra il 10 e il 15 settembre. Ma se fa molto caldo, apro totalmente le porte della serra». E in questo, ci sono tanti vantaggi: «L’uva non sviluppa muffe e rimane più sana. Voglio vedere quante muffe e microtossine si formano sull’uva a chi le lascia all’aria senza protezione». Per il produttore, il problema non è la presenza delle serre, ma l’onestà nell’utilizzo. «Quello che è certo è che le serre si devono evitare nel periodo della prima raccolta, durante la prima fase di essicazione, perché a temperature troppo alte la qualità del vino peggiora».
Anche Francesco Rizzo è della stessa opinione: «È vero, il disciplinare non è perfetto, ma i tempi sono cambiati e anche l’agricoltura pantesca. Quando piove o c’è pulviscolo, cento anni fa non c’erano queste coperture, oggi ci siamo evoluti. I produttori fanno un lavoro eroico, aiutarli a ridurre la fatica non è un male», e prosegue: «Non siamo mica furbetti. Non si nasconde niente, è tutto alla luce del giorno». Di positivo nelle serre, ci dice ancora Francesco Rizzo, «c’è che il contadino finisce prima di lavorare; invece, di un mese ci mette tre settimane».
A pari modo parla Francesco Basile, proprietario della Cantina Basile: «Il tempo cambia», aggiunge senza freni: «Anzi aggiungo che la migliore uva passa è quella fatta nei forni (ammessi soltanto nella produzione del Passito di Pantelleria liquoroso, ndr), in quanto non ha nessun contatto con agenti atmosferici e batteri. Uno stenditoio classico, all’antica, non è sicuro per l’uva», e continua spiegando le motivazioni: «Uso lo stenditoio ma posso permettermelo perché ho una piccola produzione, il forno è il miglior metodo (e al secondo posto metto le serre) ma per me sarebbe troppo dispendioso a livello economico».
Le vere questioni del Passito di Pantelleria
Ma se il problema non è l’uso delle serre, quali sono allora i veri nodi da affrontare? Il produttore anonimo si confida: «Report ha sbagliato focus. Ci sono problemi molto più gravi, ma nessuno ne parla». E ne elenca alcuni: «Il Passito liquoroso costa meno e il consumatore comune non capisce la differenza dal Passito di Pantelleria. Compra quello più economico e non sa che non è lo stesso prodotto». Il secondo punto è l’imbottigliamento in loco: «Siamo rimasti in pochi e per la maggior parte siamo anziani, non c'è ricambio generazionale». Terzo punto, l’identità dello Zibibbo: «Una volta quest’uva era solo di Pantelleria. Oggi rientra anche nella Doc Sicilia, il che crea confusione e toglie valore alla nostra tradizione».
Il prezzo dell’inchiesta
A conti fatti, il danno principale provocato dall’inchiesta di Report sembra essere un altro: la percezione negativa che rischia di penalizzare il mercato. «Ora si faranno più controlli con un’accusa ingiustificata mirata alle serre. In più, le vendite caleranno». Ed è proprio sulle vendite – relegato a un pubblico di nicchia – che si concentra infine il produttore: «Non se ne beve di più, ma se ne produce di più. Il vino da dessert e stato sempre consumato con parsimonia, il problema è che è aumentata la produzione in tutte le regioni italiane». Quello di Pantelleria però «ha e avrà sempre un nome molto forte ovunque». Almeno fino ad ora.