Ci sono due notizie positive e una negativa che riguardano il vino negli Stati Uniti. Partiamo da quest’ultima: il calo dei consumi non si arresta nemmeno nel 2024. Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly su base SipSopurce-WSWA, nei primi 8 mesi le depletion dei distributori verso horeca e retail sono calate dell’8,3% a volume, una contrazione che replica quella dello scorso anno.
Le due positive riguardano, in maniera specifica, il vino italiano (che nei giorni scorsi ha partecipato in massa al primo VinitalyUsa di Chicago) in primis il buon andamento delle bollicine con il Prosecco che supera lo Champagne. Meno impattante, ma comunque degna di nota, la rimonta dei vini rossi luxury. Ed è proprio grazie a questi due trend che i cali del vino tricolore – che pur ci sono - appaiono meno drastici di quelli dei competitor: -5,7%. Tanto che - e qui aggiungiamo una terza buona notizia - l'Italia è il primo Paese (dopo quello domestico) per quote di mercato a volume: 37%, seguita da Australia (15%) e Nuova Zelanda (12%).
Giù bollicine e rosati francesi
La situazione appare più complicata per gli altri Paesi produttori. In primis, gli stessi vini statunitensi che rappresentano il 71% dei consumi e chiudono il secondo quadrimestre con un tendenziale a -8,8%. Colpa soprattutto della caduta di Chardonnay e Cabernet Sauvignon. Non va meglio ai francesi che si attestano a -7,9%. Ad andare giù, in questo caso, sono due cavalli di battaglia dei produttori d'Oltralpe: gli Champagne (-15%) e i rosati (-6%). Cedono ancora più terreno i vini spagnoli (-10%), co i Cava a -9% e argentini che, a -13%, fanno registrare la worst performance. Mentre è più tenue il gap di Nuova Zelanda (-4%), Cile (-2%) e soprattutto Australia, best performer a -0,2% grazie alla ritrovata popolarità dei suoi bianchi.
L’Italia è ormai una sparkling country
A valore l’Italia limita i danni a un pur consistente -4,4% (contro una media mercato scesa a -7,4%), ma «il bilancio italiano ormai è legato a doppio filo con quello della spumantistica (+2,5%) - è l'analisi del responsabile dell'Osservatorio vino Uiv-Vinitaly Carlo Flamini - l’incidenza degli sparkling sul totale delle vendite tricolori è pari al 35% volume contro una media di mercato di appena il 9%, mentre a valore si sale di 2 punti, al 37%, contro il 14% del mercato. Una particolarità che ha pochi eguali in altri Paesi». Il Prosecco ha praticamente inventato un mercato tutto nuovo, allargando a dismisura la platea dei consumatori e oggi presidiando quel segmento cocktail/aperitivi che sta spopolando (non solo in America), anche tra la GenZ. «Se i francesi hanno spostato verso il rosato consumi calanti di rosso - continua Flamini - mantenendo di fatto le proprie quote di mercato (al 9% stavano anni fa, al 9% stanno ancora oggi), gli italiani hanno cambiato completamente pelle, e creato - grazie allo spumante - un nuovo e fiorente mercato in cui giochiamo ad armi pari (se non superiori) a quelle degli strapotenti padroni di casa: se a volume Italia e Usa hanno quote eguali in fatto di bollicine, attorno al 40%, a valore la musica cambia, con l’Italia che dà ai californiani ben 7 punti di margine, 35% contro 28%». Ormai, quindi, il nostro Paese ha profondamente mutato la propria fisionomia: con 7 bottiglie consumate su 10 tra spumanti e fermi l’Italia - agli occhi delle nuove generazioni - è a tutti gli effetti uno sparkling wine country. A livello di composizione delle vendite, lo spumante è la categoria di vino italiana più venduta (37% di share valore), seguito dai bianchi (32%) e quindi i rossi (21%).
I rossi italiani trovano spazio nella categoria luxury
Di riflesso a ridurre il proprio peso – oggi poco meno di un quinto dei volumi venduti - sono stati i rossi (-6%, ma meglio del dato complessivo a -9,3%), che sul mercato hanno una lunghissima carriera alle spalle, vantando pionieri come Lambrusco, Chianti e Chianti Classico. Tuttavia, se è vero che le ultime innovazioni in questo ambito risalgono agli anni Novanta, con il fenomeno SuperTuscans, oggi i vini rossi italiani sono gli unici a poter vantare una crescita nel segmento a più alto valore aggiunto, quello dei “luxury wines”, sopra i 50 dollari, con una crescita a valore del 3% a fronte di cedimenti pesanti per francesi e statunitensi.
La battuta d’arresto del Pinot Grigio
Capitolo a parte meritano i bianchi italiani che fanno peggio della media globale (-7,1% Vs -5%). I motivi? Sono per lo più legati alle difficoltà patite dal campione di categoria, il Pinot Grigio, soggetto sia a fenomeni di natura congiunturale (la concorrenza dei più economici Pinot Gris californiani) sia strutturali, come il parziale ricambio generazionale: i Boomer, protagonisti della nascita e del consolidamento del fenomeno Pinot Grigio made in Italy, hanno ormai un’età media di 70 anni. Problema con cui, da qui a poco tempo, faranno i conti anche altre denominazioni. «La congiuntura è un po’ come il meteo - commenta Flamini - può variare sensibilmente e improvvisamente. Tuttavia, anche il meteo è connesso al clima: tante congiunture che variano costantemente in una sola direzione indicano che anche il clima sta pian piano cambiando. Per i vini bianchi, siamo probabilmente al momento del cambio clima: i nostri – come il Pinot grigio – sono sul mercato con successo da oltre 60 anni e hanno marchiato profondamente la generazione dei Boomer. Questa generazione oggi ha un’età media di 70 anni e geograficamente risiede prevalentemente – in termini di consumatori di vino – nella East Coast, dalla Florida salendo fino a New York. Sono sicuramente più stabili economicamente parlando dei Millennial e degli appartenenti alla Z-Generation. Tuttavia, più passa il tempo, più il loro numero si riduce. Di questo si deve prendere atto (e probabilmente non lo si è ancora fatto in maniera distaccata), per incominciare da oggi a ragionare su come riproporre un brand conosciutissimo - il Pinot grigio, appunto - alle nuove generazioni, che proprio nel Sud del Paese cominciano a cambiare anche in termini di etnia e quindi di gusti».
Quale futuro negli States?
Se le ultime innovazioni hanno riguardato solo la parte bianca - prima il Pinot grigio e più recentemente il Prosecco - cosa inventarsi per il futuro? «Dai ready to drink, ai low e no-alcol, è importante non avere pregiudizi, non dobbiamo avere paura del nuovo che avanza – commenta Marzia Varvaglione, presidente di Agivi (Associazione dei giovani imprenditori vitivinicoli italiani di Uiv) - Come produttori italiani dobbiamo comprendere i fenomeni sottostanti e, di conseguenza, iniziare a comunicare il vino in modo più inclusivo. Il nostro ruolo, come imprenditori, è quello di capire quali sono le nuove opportunità che il mercato presenta, in particolare quello statunitense. Parlare di giovani – conclude – è una questione di responsabilità: saranno la prossima generazione del vino, giovani cosmopoliti attenti alla qualità nel piatto e nel bicchiere».