Oggi il nostro bicchiere di prosecco è... Pieno! La notizia che è rimbalzata recentemente tra i media non è di poco conto: nel 2013 nel mondo sono state vendute più bottiglie di Prosecco Superiore, il Conegliano Valdobbiadene Docg, e Prosecco Doc, che di Champagne. Sgombriamo il campo dai trionfalismi e dagli equivoci. Seppur spumanti, i due vini hanno in comune soltanto... l’anidride carbonica. Sono diversi infatti per uve di base, metodo di elaborazione e per prezzo medio, decisamente più elevato nel caso dello Champagne. Quello che ci sembra importante, al di là degli sciocchi e inutili trionfalismi, è che il sistema Italia ha funzionato. I numeri parlano chiaro: le due denominazioni insieme hanno venduto circa 330 milioni di bottiglie (70 di Docg e 260 milioni di Doc) contro i 304 milioni del colosso Champagne, denominazione che fino a qualche anno fa viaggiava a distanze siderali dai più diretti competitori.
La scelta, fatta nel 2009, di creare due disciplinari separati per Doc e Docg, e di cambiare nome al vitigno, riportandolo al tradizionale glera e allargando il territorio della Doc fino al comune di Prosecco, in Friuli, ha pagato. Ha tutelato il nome mettendo seri ostacoli alla creazione di spumanti e frizzanti da vitigno al di fuori di queste zone, e ha permesso un lavoro sul territorio e sulle sottozone della Docg, con la creazione delle Rive, ovvero i cru, che alla fine sta pagando. S’è lavorato bene, insomma, in vigna e in cantina, elaborando prodotti sempre più buoni e tipici, e si è lavorato bene nella promozione.
Era dagli anni Settanta, dai tempi dell’exploit del Pinot Grigio che non registravamo un successo commerciale così importante per un bianco italiano. Complice la crisi, e la voglia di “leggerezza”, complici i profumi freschi, floreali e fruttati – irresistibili - di queste bollicine, e grazie al lavoro appassionato dei produttori e a quello della stampa specializzata, queste due denominazioni hanno conquistato mercati fondamentali come Stati Uniti e Russia. Dimostrando che Enotria ha frecce fondamentali nella faretra anche quando si parla di vini bianchi. Non solo Barolo, Brunello, Amarone, insomma. L’Italia del vino è anche uno stile inconfondibile nel mondo degli spumanti e dei vini bianchi, che spesso nascono da vitigni autoctoni e non sono quasi mai maturati in legno nuovo. Vini ricchi di nerbo, di frutto, di personalità, come il Soave, il Verdicchio dei Castelli di Jesi e Lugana – per citarne solo tre - con i loro successi stanno dimostrando che al resto del mondo piace sempre più il nostro stile, giocato sulla freschezza e sulle peculiarità dei diversi territori e delle uve tipiche, e che i nostri bianchi si sposano benissimo con tante cucine del mondo, non solo con quella mediterranea. Continuiamo così, allora. Tuteliamo il Made in Italy enogastronomico dalle contraffazioni, lavorando sempre più per la qualità. Altri successi verranno...
a cura di Marco Sabellico
Questo articolo è uscito sul numero di aprile 2014 del Gambero Rosso. Per abbonarsi, basta cliccare qui