Il burrascoso post Zanette, le strategie antifrode all'estero, il potenziamento dei fondi per la versione rosé, l'idea (che non piace) del Consorzio unico. E ancora: il rapporto con la Docg Conegliano Valdobbiadene e il nodo del Prosekar. Non è certo in discesa il percorso di Giancarlo Guidolin alla guida della Doc Prosecco, gigante da oltre 600 milioni di bottiglie, che spesso in questi anni ha letteralmente salvato il bilancio complessivo delle esportazioni italiane di vino. Il neo presidente, con una lunga esperienza nel mondo cooperativo, esponente della categoria dei vinificatori come l'uscente Stefano Zanette (quattro i mandati consecutivi), affronta a viso aperto molte delle questioni, a cominciare dal tema della successione, che aveva fatto traballare i rapporti interni.
La corsa alla presidenza è stata particolarmente agitata: con prese di posizione, distinguo, passi indietro nella componente vinificatori che potevano mettere a rischio la tenuta di questa anima fondamentale del Consorzio. Come avete trovato la quadra?
Era prevedibile che dopo quattro mandati dello stesso presidente, in vista di un cambio di conduzione, ci fosse una riflessione a più livelli. Ma il fatto che si sia arrivati a una votazione unanime sia del nuovo presidente che dei tre vicepresidenti e del comitato di presidenza, evidenzia che ci siamo compattati su un obiettivo comune. Ora ci attende un futuro di operatività sereno, elemento importantissimo viste le grandi sfide globali che ci attendono.
Avete intenzione di mettere in piedi i gruppi di lavoro?
Lavoreremo integrando la struttura esistente con specifici apporti sul fronte strategico, ma al momento non si profilano grandi novità né nella suddivisione dei compiti, né per l’organico. Contiamo, però, di dare seguito al progetto, concepito a suo tempo, di implementare i momenti di lavoro a gruppi, per favorire il dialogo interno tra i vari settori facendo tesoro delle conoscenze di ciascun ambito e alimentando il rapporto Consorzio-filiera.
Come mai nel vostro ampio Cda non ci sono donne? Non ci sono brave imprenditrici nel mondo del Prosecco?
Nella mia esperienza all'interno del mondo cooperativo (presso la Cantina Ponte di Piave, con 2.500 ettari e mille soci, ndr) ho tentato di portare le donne ai ruoli di manager, ma senza successo. C'è poca disponibilità a fare le amministratrici per i motivi che conosciamo: la responsabilità di essere madri in primis ma anche altri impegni. Non posso giudicare quello che accade nel segmento degli imbottigliatori, ma posso dire che nel Consorzio l'assenza delle donne in Cda non è una scelta politica. Sottolineo, però, che tra i 15 dipendenti del Consorzio di tutela ben 11 sono donne e rivestono tutte ruoli importanti. È chiaro che un Cda senza donne perde una risorsa. Abbiamo brave imprenditrici ed è un peccato che non ce ne siano. Auspico che si vada nella direzione di un maggiore coinvolgimento.
Veniamo al rapporto con la Docg. Il presidente del Conegliano Valdobbiadene, Franco Adami, ha recentemente dichiarato che è presto per pensare a un Consorzio unico del Prosecco. La vede una strada praticabile?
Concordo con Franco Adami. E non solo in termini di tempistiche, ma anche di necessità. Non è così importante la creazione di un Consorzio unico, quanto la collaborazione tra le tre denominazioni su alcune materie cruciali.
Come intendete collaborare con le altre due Docg?
Faremo tesoro dell’esperienza di questi anni per avviare un dialogo a tutto tondo con al centro l’interesse del Prosecco. Ben vengano le mani tese che ho visto in questi giorni. Noi come Prosecco Doc ribadiamo quanto sempre sostenuto: la massima disponibilità alla collaborazione, nel rispetto delle normative vigenti.
Ad oggi, un produttore di Docg Prosecco può riclassificare i vini a Doc Prosecco. Che ne pensa del sistema della resa unica che sta facendo discutere i produttori di Conegliano Valdobbiadene?
La riclassificazione dei superi da Docg a Doc è stata una scelta dei produttori del Consorzio del Conegliano Valdobbiaene Docg. Noi della Doc Prosecco produciamo 180 quintali per ettaro, ma sopra quota 180 la destinazione del prodotto non è vino bensì prevalentemente succhi d'uva.
Ma questo travaso da Docg a Doc Prosecco potrebbe disturbare la vostra denominazione?
Posso risponderle solo una cosa: siamo riconoscenti verso la Docg. Perché non ci sarebbe la Doc Prosecco se non ci fosse stato il Conegliano Valdobbiadene Docg.
Parliamo di mercati. Come per altre Dop italiane, il 2023 non è stato semplice nemmeno per la Doc Prosecco. Ci sono segnali evidenti di rallentamento. Come cambieranno le vostre strategie?
Il lockdown e la conseguente chiusura delle attività commerciali hanno spinto i nostri soci a cercare nuovi sbocchi soprattutto nella Gdo e nell'online, ma in generale la nostra denominazione non ha subito gravi contraccolpi e si è presto rialzata. La sofferenza generale dei mercati è palpabile ma i nostri dati sono tutto sommato confortanti. Nei primi 5 mesi del 2024, abbiamo registrato un +5,1% rispetto allo stesso periodo del 2023, e nel solo maggio questo dato sale a +9,9% confrontato col medesimo mese dell’anno scorso.
Otto bottiglie di Prosecco su dieci vanno all'estero. Quali i mercati, nuovi o storici, su cui punterete?
L’idea è proseguire sul solco di quanto fatto fino ad oggi: lavorare per consolidare i mercati storici e favorire una maggior conoscenza della Doc nei mercati emergenti, con focus su alcuni Paesi obiettivo che possono variare. All'estero, restano saldi sul podio i primi tre mercati storici: Uk, Usa, Germania. Il quarto posto è della Francia, che nel 2023 ha registrato un +21,4% sull'anno precedente. Questi quattro valgono da soli circa il 50% della quota export. In Italia, invece, vengono stappate circa 123 milioni di bottiglie, pari a circa il 20% dell'intera produzione (616 milioni di bottiglie). La parte restante è distribuita in oltre 100 Paesi dei 5 continenti. Flessioni e impennate sono fisiologiche in un contesto così ampio.
Considerando l'eccesso di volumi di vino in Italia, come ci dicono anche i dati di giacenza, c'è bisogno di produrre meno - lo ha ribadito anche l'Assoenologi da Cagliari - e di alzare la qualità, che è tra gli obiettivi del suo mandato.
Non è questione di produrre meno ma di programmare le produzioni in relazione alla domanda e al valore, inteso anche come qualità. Nella Doc Prosecco, questa gestione è fatta annualmente dal 2011: il sistema può contare su volumi che non sono né in eccesso né in difetto. Per incrementare la qualità, il Consorzio ha avviato misure verticali introducendo delle versioni premium come la riserva e il Prosekar (che sta agitando gli animi dei viticoltori triestini, ndr). A suo tempo, ha promosso anche la nascita del Prosecco Doc Rosé e altre misure trasversali, sperimentando pratiche anche innovative, sia in vigneto sia in cantina, per aumentare il livello qualitativo medio di tutta la produzione.
A proposito di rosati, il settimanale Tre Bicchieri ha parlato di occasione mancata per il comparto italiano. Perché, secondo lei, la categoria non riesce a decollare nonostante caratteristiche che ben si adattano ai nuovi consumatori? Anche i numeri del vostro rosé sono gradualmente calati dopo l'esordio, seppure con un 2024 in ripresa.
I volumi che sta generando la Doc Prosecco Rosé rispettano gli obiettivi fissati all’entrata in vigore della modifica del disciplinare. Parliamo di quasi il 10% dell’intera produzione e, nei primi 5 mesi del 2024, il nostro Rosé ha registrato una crescita del 28% circa sullo stesso periodo 2023. Nella Gdo italiana, i dati da noi rilevati confermano una crescita della Doc, che sta facendo bene anche in Usa e Uk. La nostra è stata un'intuizione vincente. Sicuramente, i rosati italiani vanno spinti maggiormente; i contributi dello Stato ci sono ma le imprese devono fare la loro parte. Per quanto ci riguarda, intendiamo ampliare la quota della versione rosé del Prosecco e valuteremo in Cda se incrementare le risorse finanziarie.
Tra le battaglie che vi vedono protagonisti c'è quella sul Prosek e sui mercati internazionali contro le imitazioni. Quali novità ci saranno durante il suo mandato?
Continueremo a monitorare tutti i mercati e contrastare le moltissime violazioni che ormai caratterizzano una Doc famosa e prestigiosa come la nostra. Vogliamo consolidare l’efficacia della tutela nel contrasto a evocazioni, contraffazioni e sfruttamenti indebiti della notorietà. Ad esempio, recentemente, la divisione di appello dell’Ufficio marchi europeo ha ribadito che «Prisecco», marchio registrato per designare una bevanda a base di succhi di frutta, è un'evocazione del Prosecco, anche se usato per un prodotto che non è vino. Nella decisione, ci ha definito come «uno degli spumanti più rinomati dell'Ue, insieme allo Champagne».
Ci sono anche molti altri tipi di violazione...
Dal sapone al profumo di Prosecco, alle candele al Prosecco fino alle varie attività di ristorazione, turistiche, sportive ricreative. Negli ultimi anni abbiamo notato un trend di crescita nell’uso del termine Prosecco in associazione a servizi e prodotti. La parola è usata per attirare i consumatori. Come Consorzio incrementeremo le azioni a contrasto di questo tipo di usi che, anche se apparentemente innocui vanno a diluire, indebolendola, la capacità e la forza della tutela della nostra Doc.
Come vi state muovendo nei confronti dell'Australia, che non riconosce la Ig europea?
Auspichiamo che l’accordo bilaterale in corso di negoziazione veda presto un nuovo impulso e si possa così riaprire un dialogo costruttivo coi produttori australiani orientato a una maggiore tutela della nostra Dop. Nel frattempo, abbiamo assicurato la protezione esclusiva nei Paesi dove il cosiddetto prosecco australiano viene esportato: in primis, la Nuova Zelanda interessata per oltre l’80% dall’export di questo prodotto. Interveniamo ogni qualvolta questo vino entra nei territori nei quali godiamo di protezione.
Infine, le elezioni europee. Un Consorzio come il vostro, cosa si aspetta dal futuro Parlamento?
A fronte di una sinergia importantissima, soprattutto per quanto concerne la tutela internazionale, resta viva l’esigenza di un minor gravame burocratico e di una semplificazione delle procedure, che spesso pesano in maniera eccessiva sui produttori.