Premio Bianco dell’Anno
Il colle che divide San Paolo di Jesi da Cupramontana è un po’ pomposamente chiamato “Monte” Follonica, probabilmente per la sua tonda sommità conquistata da un boschetto di querce e circondata a mo’ di corona da ciuffi di ginestre. Silvano Brescianini, Ceo di Barone Pizzini, capitò qui in cerca di altri vigneti da acquistare dopo aver rilevato nel 2002 un appezzamento di vigna dall’altra parte del fiume Esino, laddove sarebbe sorta Pievalta ossia il progetto marchigiano dell’azienda franciacortina.
«I Castelli di Jesi sono un territorio eccezionale dove c’è cultura vitivinicola, arte, cucina, il mare Adriatico poco lontano e gli Appennini dietro l’angolo», spiega Brescianini. Ben consigliato, si rese conto che quel vigneto da condurre in biologico aggrappato sul fianco nord-est faceva proprio al caso: giacitura fresca, fondo di arenaria con una non trascurabile presenza di calcare che l’apparato radicale deve attraversare in profondità per ricavare gli elementi nutritivi, pendenze che fanno penare quando si pota e si vendemmia ma che poi danno un’uva meravigliosa. Con Alessandro Fenino, il giovane milanese chiamato a dirigere il segmento jesino di Barone Pizzini, si decise di farne un cru per una Riserva dedicata al comune che ne ospita le vigne.
Castelli di Jesi Verdicchio Class. San Paolo Ris. ‘19
La prima vendemmia è del 2003. Negli anni a venire il San Paolo conosce una fase di prove e sperimentazioni: dall’uso della barrique al concorso di uve vendemmiate in sovramaturazione, in parte anche attaccate dalla muffa nobile. Tre i punti salienti nel suo percorso: nel 2005 si passa alla biodinamica e si rinuncia al legno; nel 2009 si vinificano uve in leggero anticipo o perfetto stato di maturazione; nel 2015 si fa a meno dei lieviti selezionati.
La devastante grandinata del 1 settembre 2018, sul finire di quella che si prospettava come un’ottima vendemmia, ha nuovamente cambiato il destino dell’etichetta. «Quel disastro è un po' il padre del San Paolo 2019 – ricorda Alessandro – L’attenzione continua per quella vigna ferita portò a «una nuova fase di Pievalta in cui la maggior consapevolezza suggerì l’uso di strumenti che prima non si usavano, quali la botte grande di legno e i serbatoi in cemento». L’assaggio svela un bianco di grandissima espressività, eleganza, con una quieta energia che dai descrittori più intimi del Verdicchio quali anice, mandorla, finocchio selvatico e un sottofondo d’agrumi vira in un finale tenace e salmastro, ricco di sfumature, profondissimo.
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a cura di Pierpaolo Rastelli
foto di copertina nl-nl.facebook.com/pievalta