Dal Governo del no al no alcol, ad un eccesso di dealcolizzazione. È questa, in sintesi, la paradossale situazione che si è venuta a creare con la nuova bozza di decreto che dovrebbe dare il via libera ai dealcolati all’interno del decreto accise. Peccato che la proposta porti la firma del ministero dell’Economia e non del ministero dell’Agricoltura e che vada ad annullare il lavoro di mesi fatto dalle associazioni vitivinicole a fianco del ministro Francesco Lollobrigida.
Il nuovo decreto rischia di mandare all’aria il lavoro del Masaf
«Un fulmine a ciel sereno per tutti» è il commento al Gambero Rosso di Unione italiana vini, che proprio nelle scorse settimane era stata convocata assieme alle altre sigle di settore nel famoso Tavolo di lavoro, annunciato mesi fa dal titolare del Masaf per arrivare ad un iter condiviso sulle modalità di dealcolizzazione. L’improvvisa intromissione del Mef in questo percorso sembra, quindi, frutto di una mancanza di dialogo tra i due ministeri (Ma com'è possibile che il ministro Giancarlo Giorgetti non abbia pensato di interpellare Lollobrigida su una questione legata al vino?). O, a voler pensare male, di un tentativo di estromettere l’alleato di Governo dalla gestione del nuovo segmento no alcol.
«Abbiamo già allertato il ministero dell’Agricoltura sulla questione – spiega il segretario generale Uiv Paolo Castelletti – e l’auspicio è che tutto ritorni in campo del Masaf. Oltretutto, il prossimo incontro con la filiera era previsto a giorni: dopo mesi di confronto eravamo ad un passo dalla chiusura, con una soluzione di compromesso largamente condivisa dalla filiera, mentre adesso le aziende, già provate da anni di tira e molla, si ritrovano con una nuova proposta che pone più di un limite e che appare inapplicabile».
Nuove accise e limiti quantitativi alla produzione
I limiti a cui fa riferimento Castelletti riguardano prima di tutto il passaggio della gestione all’Agenzia delle Dogane che dovrebbe eseguire le operazioni di riduzione del titolo alcolometrico e che, va da sé, imporrebbe delle accise sul prodotto finale, come si legge nella bozza del decreto, dove si parla anche di un paletto importante alla produzione: «Purché il quantitativo annuo di alcole etilico, che si ritiene possa essere ottenuto a seguito dei predetti trattamenti, sia non superiore a 50 ettolitri di alcole anidro». Ovvero 500 hl di vino.
«Un limite invalidante – secondo Uiv – che rappresenterebbe un significativo ostacolo allo sviluppo di tali prodotti per le imprese vitivinicole. D’altronde – si chiede Castelletti – chi mai si doterebbe di un impianto di dealcolizzazione per delle quantità così ridicole?». Infine, sarebbe introdotto l’obbligo di raccogliere l'alcol etilico derivante dal processo di dealcolizzazione in un recipiente sigillato dall'Agenzia delle Dogane, in collegamento diretto e stabile con gli impianti in cui avvengono i trattamenti. «Un procedimento inutilmente gravoso – commenta il segretario generale di Uiv - La soluzione idroalcolica dovrebbe, invece, essere trattata come un rifiuto di processo e smaltita dalle cantine attraverso modalità semplificate, senza obbligare gli operatori agli adempimenti previsti dalla normativa fiscale. Era questa la ratio seguita dalla bozza di decreto del ministero dell’Agricoltura».
I dealcolati sono la nuova tela di Penelope
Al di là delle criticità della nuova proposta, il vero problema sta nel metodo. Da anni, infatti, l’Italia si avvolge su sé stessa in questo dubbio amletico – dealcolare o non dealcolare? – e adesso che la questione sembrava sbloccata, si ritorna al punto di partenza. Di certo le brusche chiusure e le improvvise aperture da parte del ministro Lollobrigida sul tema non hanno aiutato, ma nessuno poteva immaginare che i dealcolati diventassero la nuova tela di Penelope. E, paradossalmente, avere due decreti sul tema equivale a non averne neppure uno, con buona pace di quelle aziende che speravano, a breve, di poter entrare in un mercato in crescita senza dover passare dagli stabilimenti esteri.