Ultimi giorni di un 2016 che ha regalato all'Italia del vino un nuovo record produttivo (51,5 milioni di ettolitri) e la posizione di leadership, almeno per quel che riguarda i volumi. Ma è probabilmente all'estero che si è giocata la partita più importante: non solo per i numeri delle esportazioni - che, se confermati, faranno salire l'asticella dei primati sopra i 5,4 miliardi di euro - ma soprattutto per le diverse battaglie portate avanti in sede comunitaria: dalla difesa dei vitigni identitari a quella delle denominazioni sul web. Con delle sorprese, non troppo positive, arrivate dai grandi mercati di destinazione dei nostri vini: quella più grande si chiama Brexit, quella più immediata Donald Trump. Di tutto questo abbiamo parlato con Paolo De Castro, coordinatore Socialisti e Democratici della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento Europeo, nominato dallo stesso Parlamento anche relatore per il capitolo agricolo del Regolamento “Omnibus”; quello che introduce modifiche nei quattro regolamenti approvati nel 2013 nell’ambito della riforma della Pac – la politica agricola comunitaria - e che intende semplificare quest'ultima.
Partiamo dalla fine: l'anno che si chiude. Pochi giorni fa il presidente di Federdoc, Ricci Curbastro, parla di un 2016 in difesa per tutte le battaglie che l'Italia si è trovata a dover affrontare. È una la lettura corretta o ne vogliamo dare un'altra?
Sicuramente è stato un anno importante e posso dire che siamo stati bravi come sistema Paese a difenderci. Abbiamo fatto un bel gioco di squadra per scongiurare il rischio liberalizzazione dei nomi dei vitigni identitari. Ma non mi fermerei solo a questa parte della medaglia: è stato anche un anno all'attacco, in cui abbiamo ottenuto risultati importanti sia in Europa sia in Italia.
Ad esempio il Testo Unico del Vino...
Esatto. Il ministro Martina è stato bravo a portarlo a casa: è un testo di semplificazione che migliorerà la vita dei viticoltori, nonostante - ahimè - il bicameralismo perfetto che non siamo riusciti a eliminare (il risultato del Referendum non è andato molto giù a De Castro che più volte ritorna sul tema nel corso dell'intervista; ndr). Ma ormai il Paese ha fatto questa scelta, quindi si può solo andare avanti con gli strumenti a disposizione.
A proposito di Referendum e Governo, cosa ne pensa di questi mille (e più) giorni del ministro Martina?
Difficile dire che abbia lavorato male: dalla riduzione fiscale fino al Testo Unico del vino, mi sembra che di materiale ce ne sia abbastanza.
A parte qualche piccolo intoppo sui bandi dell'Ocm Promozione... si poteva fare meglio?
Non entro nel merito, ma sicuramente il pacchetto da 100 milioni di euro di fondi è una risorsa importantissima e sono fiero della battaglia portata avanti per far includere anche il vino tra i beneficiari dei finanziamenti europei. Piuttosto sono preoccupato per il doppio canale Stato-Regioni: conflittualità che sarebbe stata eliminata con il Referendum perché sono del parere che su certe tematiche si debba intervenire a livello nazionale, senza localismi (al momento la gestione è suddivisa tra il 70% delle Regioni e il 30% del sistema nazionale; ndr).Ma detto ciò, le risorse ci sono e bisogna spenderle nel modo migliore.
Un passaggio random sui temi al momento in discussione. Biologico, cresce la domanda mondiale. In che direzione si sta muovendo l'Europa?
Si è da poco concluso l'ennesimo trilogo, il negoziato tra Commissione, Parlamento e Consiglio, con un nulla di fatto. Al momento nessuna novità ed è questo non miglioramento che, come Parlamento, ci preoccupa maggiormente.
Regolamento Omnibus, proprio quello di cui è stato nominato relatore: quali le novità principali in materia?
Una su tutte: gli strumenti di stabilizzazione del reddito. La proposta è di abbassare la soglia in cui scattano questi aiuti, dal 30 al 20%. Un modo per venire incontro alle esigenze dei nostri agricoltori. Altra modifica riguarda la definizione stessa di agricoltore in attività, in modo da consentire un alleggerimento degli oneri burocratici, importanti soprattutto per i più giovani.
Italian sounding, perché è così difficile evitarlo?
Non è così difficile e lo stiamo facendo all'interno dell'Europa, rafforzando la protezione. Il problema è al di fuori dei confini Ue, dove però il reato non esiste proprio perché non valgono le regole europee, né tantomeno sono riconosciute le nostre denominazioni. Per questo c'è la necessità di andare avanti con gli accordi internazionali. Come ad esempio il Ceta, grazie al quale il Canada finalmente riconoscerà le nostre denominazioni. Speravo che la ratifica arrivasse prima di Natale, ma bisogerà aspettare il 24 gennaio.
Rimanendo sul terreno degli accordi, e in particolare sul Ttip: prima delle elezioni Usa ci aveva detto che per capire cosa sarebbe successo avremmo dovuto aspettare l'insediamento del nuovo presidente, ricordando che i proclami pre-elettorali e il programma effettivo son cose diverse. Oggi, alla luce delle ultime dichiarazioni di Trump pare che ci sia poco margine per le trattative...
Sì, Trump non ha mai apertamente citato il Ttip, ma se ha bloccato un accordo già chiuso come il Tpp (Trattato Tran-Pacifico; ndr), è probabile che questa sarà la sua linea generale. È chiaro che siamo molto preoccupati, ma il mondo non si fermerà per questo.
Dall'altra parte del mondo c'è, invece, la Russia di Putin tra sanzioni ed embarghi. Cambierà qualcosa, anche alla luce del nuovo corso statunitense? È un mercato in cui in questi anni l'agroalimentare italiano, pur mantenendo la prima posizione, ha perso tanto. Troppo.
Al momento sono state prorogate le sanzioni per altri sei mesi a partire dal 31 dicembre, ma l'atteggiamento prudente del premier Gentiloni e tutta una serie di congiunture mondiali, fanno intuire che ci sono i presupposti per interrompere questo deleterio ping pong, nonostante il non rispetto degli accordi internazionali da parte della Russia. In fondo, si è capito che questo embargo ha fatto più male all'Italia che alla Russia: non possono essere gli agricoltori a pagare per tutti.
Altro mercato che preoccupa non poco, in questo anno ricco di sorprese, è quello inglese post-Brexit.
La Brexit di cui parliamo oggi è più un vaccino che una malattia, visto che ancora non abbiamo sul tavolo l'articolo 50 e non sappiamo tempi e modi di applicazione. Ma mi preoccuperei più per il Regno Unito che ancora ha assaporato solo una minima parte dei problemi che l'aspetteranno: ci sono, infatti, molti marchi che non potranno più essere made in Europe. Per quanto ci riguarda e per quanto riguarda il commercio di vino, sono certo che una soluzione commerciale si troverà, come è stato con la Svizzera o con la Norvegia.
Guardiamo all'anno che verrà: quali sfide per il 2017?
Prima di tutto continuare a crescere, migliorando il rapporto export/prezzo medio. Quest'ultimo senza girarci attorno, purtroppo è ancora la metà di quello francese. L'augurio, quindi, è di superare il record dei 5 miliardi di export, imparando a farci pagare i prodotti per quel che valgono. Poi mi auguro che, in questo contesto mondiale di spazi lasciati vuoti - con gli Usa sempre più chiusi in sé stessi - l'Europa sappia approfittarne per avere un ruolo di maggiore protagonismo. Avanti tutta.
a cura di Loredana Sottile