"Davvero non capite perché le nuove generazioni hanno smesso di bere vino? Ve lo spiego io". Parla un giovane wine lover pentito

28 Set 2024, 15:23 | a cura di
Il marketing del vino non parla ai più giovani e le cantine si sono trasformate in dei club esclusivi per clienti facoltosi: la lucida analisi di un blogger Millennial statunitense

Al vino i giovani dicono “no, grazie”. Un fenomeno inarrestabile di cui non è sempre facile capire i motivi. A rivelarli ci pensa Nate Westfall, blogger statunitense di 34 anni ed ex consumatore di vino, che su Medium spiega perché ha voltato le spalle al settore, pur continuando a frequentarlo per lavoro. «Mentre la gran parte del nostro settore ha partecipato ai panel, alle conferenze, ha seguito corsi di webinar e ha discusso all'infinito sul perché stiamo perdendo quote di mercato tra i giovani; io ho sempre conosciuto le cause profonde» scrive Westfall, che ne ha individuato quattro in particolare: prezzo troppo alto, assenza di un marketing pensato per i giovani, atteggiamento poco accogliente nei confronti di neofiti e un'industria che fa orecchie da mercante.

 

 

Ecco perché un millenial smette di bere vino

Nato nel 1990, Westfall è una voce che appartiene al gruppo colloquialmente noto come "Peak Millennials"(picco dei Millenials), quindi la coorte più numerosa della popolazione statunitense per età. «Non c'è un solo giorno che passa in cui non stia analizzando attivamente ciò che sta accadendo nell'industria del vino. Sono iscritto a ogni newsletter, feed, pubblicazione e piattaforma industriale conosciuta dall'uomo, che leggo ogni mattina dopo aver finito il giornale locale». Sulla carta, sarebbe un target ideale per l’industria del vino, ma la realtà è ben diversa: «Ho cancellato tutte le adesioni ai club - confessa il blogger - e non ho comprato una sola bottiglia per me in più di un anno». 

L'aumento del prezzo del vino ha fatto allontanare i giovani

Westfall parte dal periodo pandemico per indicare come l’aumento dei prezzi del vino sia stato uno dei fattori che ha allontanato molti consumatori dal settore. «Ai primi giorni della pandemia, subito dopo che il governo ha emesso il suo primo ciclo di stimoli al popolo americano e ha sovralimentato la domanda del mercato, l'industria del vino ha reagito aumentando collettivamente i prezzi. Con l'inflazione in aumento, abbiamo cambiato il nostro modello di consumo in qualcosa basato più sull'occasione, o siamo fuggiti su alternative più economiche come birra, seltzer o RTD (ready to drink)».  Il vino è così diventato un piccolo lusso; ancora abbordabile per i ceti più ricchi o le generazioni di Baby Boomer con «posti di lavoro più remunerativi, che vivono in case che erano di proprietà o con bassi tassi del mutuo», ma una spesa da eliminare per le nuove generazioni. «La domanda dei giovani non è scomparsa, siamo ancora assolutamente interessati al vino e alla cultura che lo circonda; ma non vogliamo sacrificare il poter portare i nostri figli in spiaggia o comprare cibo di qualità per i nostri animali domestici».

 

Il marketing del vino non parla ai giovani

Un altro problema riscontrato da Westfall è che il vino non si rivolge ai giovani. O meglio, è il marketing a non comunicare con un linguaggio appropriato. «Non ho mai visto un annuncio di vino su un servizio di streaming, i miei social media hanno smesso d indicarmi contenuti sul vino a cui non ero ancora iscritto secoli fa e il vino di certo non sponsorizza la lettura di annunci sui miei podcast preferiti. Questa mancanza di presenza digitale e fisica negli spazi in cui si riuniscono i più giovani rappresenta il secondo fattore chiave in cui il vino manca il bersaglio».

Il vino non è accogliente

Welstaff spiega, poi, perché la GenZ di fronte alla prospettiva di visitare una cantina direbbe: "Non ci sentiamo benvenuti".  Oggi, a suo avviso, infatti, il mondo del vino è diventato un club esclusivo rivolta a clienti facoltosi: «È uno sfortunato sottoprodotto del posizionamento di mercato progettato per proiettare il lusso e attirare ricchezza», scrive. Eppure non è sempre stato così: «Ricordo i miei primi giorni a Sonoma, quando uscivo con un gruppo di stagisti che avevo incontrato in città durante la stagione del raccolto. Risale a quel periodo la più grande esperienza di degustazione della mia vita a Chateau Montelena. Arrivati là (senza appuntamento), fummo accolti a braccia aperte». Di chi è la colpa della chiusura attuale? Non delle aziende o del personale di cantina, ma di quella che Welstaff definisce «una costante vena di disgusto rivolta ai giovani consumatori, che proviene direttamente dagli altri clienti. È come se fossi di nuovo un bambino - prova a spiegare - che entra in una stanza dove gli adulti chiacchierano, solo per essere guardato torvo finché non mi sento così a disagio da andarmene».

Come abbattere le barriere

Quali soluzioni adottare allora? Westfall propone un ritorno alle radici: «La ricetta per un successo a lungo termine non richiede altro che incorporare queste tre cose: più convenienza a livello di costo, più presenza sul mercato e un ambiente che accoglie tutti allo stesso modo. Dobbiamo ricreare la regione vinicola dove ci si concentrava di più sull'approvvigionamento delle migliori uve anziché dei migliori clienti. Alla fine - è la sua conclusione rivolta direttamente alle aziende - ogni singola persona che varca la tua porta è in visita per lo stesso identico motivo».

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