Sale la tensione in Francia, dove i vigneron si trovano in prima linea nelle proteste che riguardano l’agricoltura. Se nella Gironda sono in corso diverse manifestazioni e sit in contro il Governo (manifestazioni arrivati fino a Bruxelles per unirsi a quelle degli agricoltori), nelle scorse settimane nel Sud della Francia non sono mancati episodi molto violenti, come esplosioni e minacce ai negociant.
Non sono servite a calmare le acque le misure annunciate dal ministero dell’agricoltura Marc Fesneau che, lo scorso 31 gennaio ha messo sul piatto 230 milioni di euro: 80 milioni di aiuti alle casse vitivinicole e 150 milioni di euro per lo sradicamento di 100mila ettari di vigneto. Adesso i viticoltori aspettando i dettagli e soprattutto i tempi del piano. Il futuro della viticoltura francese, invece, è tutto da vedere (e riscrivere probabilmente). Ma in che modo tutto questo riguarderà l’Italia?
Il sistema dei négociant è in tilt
Partiamo dalle differenze. Nel Belpaese - dove sono in atto diverse proteste degli agricoltori contro l’Europa e contro i grandi sindacati - i viticoltori con le loro associazioni di rappresentanza non si trovano nelle piazze, non danno ultimatum, non mettono bombe. Il malcontento lo esprimono con toni pacati, cercando di trovare mediazioni. E lì dove non si può, ricorrono ai tribunali.
«In Italia difficilmente il mondo del vino arriverebbe a quei livelli» è l’analisi del vicepresidente di Federvini Piero Mastroberardino (professore di Business Management all’Università di Foggia) «In primis perché siamo molto meno combattivi, ma anche e soprattutto perché siamo abituati ad un modello diverso da quello francese, in cui il produttore di vino è anche colui che tiene i rapporti con la distribuzione e che segue personalmente i mercati. In Francia le cose vanno diversamente: sono i négociant che, ancora prima che il vino sia pronto, vanno dai vigneron a comprarlo. Quando non lo fanno più, questo meccanismo va in tilt, proprio come sta accadendo adesso. E tutto il sistema finisce per esplodere, di pari passo alla proteste».
Come a dire, l’Italia, anche per i periodi più complicati ha comunque sviluppato degli anticorpi, perché ha un sistema tale per cui le cantine non dipendono da un unico venditore o mercato. Anche durante il Covid la formula che ha consentito di andare avanti è sempre la stessa: differenziazione.
Pressioni antialcol
«Occhio, quindi, a parlare di modello francese» continua Mastroberardino «le criticità ci sono anche lì. E come stiamo vedendo sono anche superiori alle nostre. Da tenere conto, poi, che i francesi devono vedersela anche con un Paese che vede nei produttori di vino dei nemici».
Non si dimentichi, infatti, che è proprio la Francia ad appoggiare la diffusa campagna anti-alcol che ha portato, tra le altre cose, alla proposta del Nutriscore anche per il vino con massimo segnale di pericolosità: lettera F nera. Il tutto nonostante le affermazioni del presidente Macron che più volte ha cercato di difendere il comparto, fino a rifiutarsi di appoggiare il Dry January. Rifiuto che, infatti, gli ha attirato molte critiche dalle associazioni no alcol. L'allerta resta, dunque, altissima, mentre il modello francese vacilla.