Matilde Poggi, la prima italiana presidente del Cevi (Confédération Européenne des Vignerons Indépendants), a settembre siederà all’attesissimo tavolo di discussione della Commissione Ue per affrontare la questione dell’estirpazione impianti e della prossima Pac, Sarà, quindi, portavoce dei piccoli produttori indipendenti, una categoria di vignaioli impegnati nel lavorare in sintonia con l’ambiente e con l’identità vitivinicola del proprio territorio. Una presenza importante per garantire la pluralità dei punti di vista, del modus operandi e, soprattutto, delle aspettative future. E proprio queste ultime rappresentano l'aspetto più importante e inquietante per affrontare il calo dei consumi del vino.
A settembre sarà al tavolo della Commissione Ue per affrontare un incontro determinante per il futuro della viticoltura. Quali sono le proposte sul tavolo?
Il vino europeo sta attraversando un momento molto delicato. Per la prima volta, dopo anni di crescita continua anche il vino, finora considerato come uno dei pochi prodotti agricoli che non vedeva crisi, deve interrogarsi sul futuro che appare incerto. La misura di cui si discuterà con la Commissione prevede ad oggi due interventi, uno di estirpo definitivo ed uno di estirpo ritardato con di fatto un congelamento dei diritti per un numero di anni che può andare dai quattro agli otto. Esistono nel contempo altre misure, cui si fa ampiamente ricorso, di premialità concessa a chi impianta o reimpianta vigneti (Prrv) e di concessione gratuita di nuove autorizzazioni che vengono rilasciate ogni anno. In questo scenario parlare di estirpo definitivo o ritardato mi pare prematuro. Sono state avviate durante la pandemia misure eccezionali quali la distillazione e lo stoccaggio. L’estirpo è una misura di tutt’altra natura perché va ad intaccare il patrimonio viticolo europeo, la nostra capacità produttiva e il patrimonio fondante di ogni vignaiolo. È una misura che stravolge ciò che è stato finora.
Quindi cosa chiedete?
Intanto, Cevi ha richiesto alla Commissione, insieme agli altri stakeholders, di avviare un gruppo di alto livello per discutere il futuro del vino. Occorre fare dei piani strategici a lungo termine perché la produzione si trova a far fronte ad investimenti (in primis con l’impianto dei vigneti) che devono durare parecchi decenni; l’attuale contingenza va esaminata pensando già al futuro. Sappiamo bene come le tendenze nel vino siano onde lunghe.
Ma pensa davvero che favorire l’espianto sia una soluzione? Tra l'altro utilizzando i finanziamenti dal Programma nazionale di sostegno (Pns)?
Per noi Vignaioli l’espianto non è la soluzione. E comunque sarei contraria ad utilizzare i fondi del piano strategico nazionale che dovrebbero essere usati per lo sviluppo del settore e non per il suo impoverimento.
La Francia lo sta già facendo da qualche anno. Con quali risultati?
La Francia ha avviato l’estirpo definitivo nell’areale del Bordeaux, con la convinzione che la crisi per quella tipologia di vini sia strutturale e che occorra un ridimensionamento. Ora stanno estendendo i termini per concludere le operazioni e pensano ad un ulteriore strumento per l’anno prossimo, se verrà confermato dalla Ue. Tutta la filiera vino in Francia è compatta nel richiedere la misura anche per aiutare quelle aziende che abbiano vini più richiesti e vini di minor successo.
La proposta di cui di discuterà con la Commissione prevede il metodo dell’estirpazione a tempo, partendo da un minimo di tre anni fino ad un massimo di otto per decidere se reimpiantare i vigneti o abbandonare del tutto l’idea. Ma cosa sono tre anni nell’andamento di un’azienda vitivinicola? O del mercato del vino? Troppo pochi per stabilire un cambiamento radicale. Cosa ne pensa?
In Francia si è chiesto il doppio binario, definitivo o ritardato da 4 a 8 anni. Sia tre o quattro anni, sia otto, sono pochi a fronte di un impianto che deve durare decenni. Non posso immaginare che chi chiede l’espianto oggi, anche a fronte di un contributo che copre a mala pena le spese, possa al più tardi, tra otto anni, decidere di reimpiantare una nuova vigna affrontando un importante investimento. Ragionerei invece su misure meno impattanti che non vadano ad intaccare gli investimenti.
Per esempio?
Nell’attesa di capire se la crisi sia strutturale o congiunturale rimarrei su misure che incidano sul prodotto e non sugli impianti. Penso a misure quali lo stoccaggio, la distillazione e la vendemmia verde (questa è una misura già utilizzata in passato in alcune regioni italiane, ma mai usata ad esempio in Francia). Nel frattempo occorre insistere sulle misure di Ocm promozione Paesi terzi, magari semplificandole e rendendole accessibili a tutti, anche alle aziende più piccole. Queste spesso rinunciano alla misura perché troppo complicata dal punto di vista della burocrazia e perché gli importi da spendere per Paese sono troppo importanti per questa tipologia di aziende. Occorre insistere nel presidiare i mercati dei Paesi terzi e promuovere il consumo responsabile nel mercato interno.
La voce dell’Italia al tavolo della Commissione Ue su questa problematica realmente che peso ha?
Non so rispondere a questa domanda, anche se generalmente il peso dell’Italia sulle tematiche vino è importante.
Per i prossimi anni, le problematiche da affrontare sono numerose e complesse, partendo dalla crisi climatica, incalzante e impietosa, passando per l’eccesso di produzione, poi per le aree geografiche che fondamentalmente il consumatore non ha mai ritenuto interessanti. Non serve piuttosto un’analisi accurata dei singoli punti con proposte di soluzione specifiche?
Assolutamente sì. Le tematiche sono molto complesse e investono in modo diverso le regioni europee. Sappiamo che per quanto riguarda i consumi è un problema che tocca più i vini rossi, ma anche i vini rosa stanno iniziando a frenare negli Stati Uniti. L’analisi da fare deve essere molto approfondita, con uno sguardo non tanto al presente, ma al futuro. Siamo tra l’altro in un momento ancor più complicato dovuto al cambio della Commissione. Ci saranno nuovi equilibri e mi auguro che il Commissario all’agricoltura rappresenti un grande Paese produttore. I consumi sono sicuramente influenzati anche dai messaggi salutistici che volutamente non fanno differenza tra consumo moderato e in abbinamento al pasto e abuso. Un commissario di un Paese produttore potrebbe aiutare ad arginare questa campagna.
Molti paesi europei non hanno interesse verso la produzione e la commercializzazione del vino, bensì verso altro tipo di bevande alcoliche che producono e consumano in larga misura. Come possono esprimersi e condizionare la questione in Commissione Ue?
In Europa ci sono molte differenze nell’approccio alle bevande alcoliche. Nei Paesi mediterranei si assume maggiormente vino in accompagnamento ai pasti mentre nei Paesi del Nord ed Est Europa il consumo di bevande alcoliche è più rappresentato da birra e superalcolici che vengono consumati in modo spesso disordinato e smodato, con forti problemi di alcolismo anche tra le giovani generazioni. Durante la passata legislazione europea i Paesi non produttori di vino, ma grandi consumatori di bevande alcoliche, hanno fatto forti pressioni per combattere il consumo delle bevande alcoliche, quindi anche del vino, nell’ottica di arginare il problema dell’alcolismo. Il Commissario all’agricoltura non ha lavorato abbastanza fermamente per rispondere a queste pressioni. Non è corretto considerare il vino alla stregua di birra e superalcolici prescindendo dal fatto che sia un prodotto agricolo.
Se potesse scrivere lei le misure da inserire nel piano risolutivo, quali sarebbero?
Credo si debba pensare ad un pacchetto di misure da adattare alle diverse Regioni europee. Prima di pensare all’espianto andrei ad agire sulla produzione, e lavorerei anche di più di quanto venga fatto adesso sulla promozione, nel mercato interno e nei Paesi terzi. Vanno anche individuati nuovi mercati di sbocco; a fronte dei consumi in calo nei Paesi grandi consumatori, ci sono Paesi che hanno da poco cominciato a consumare vino. Dobbiamo arrivare là prima dei Paesi extra Ue, portare la conoscenza del vino europeo e promuoverne il consumo. Il cambio generazionale è anche una delle cause dei consumi calanti nei paesi tradizionalmente produttori di vino. Il linguaggio del vino dovrebbe essere più semplice e più accessibile anche da chi non è un esperto perché, a volte, il nostro linguaggio troppo tecnico può intimorire e allontanare. In sostanza le soluzioni non sono una sola, ma devono essere un ventaglio di opzioni tra cui non inserirei, per il momento l’espianto, per me considerata una misura troppo radicale.