“Con il talento si vincono le partite, ma è con il lavoro di squadra e l'intelligenza che si vincono i campionati. Ho giocato a basket nelle massime serie, in Eurolega, e so che il campionato che vogliamo vincere è quello del nostro futuro come imprenditori e come esseri umani”. Sono queste le prime parole di Marzia Varvaglione dopo l’elezione a presidente di Agivi, l’Associazione dei giovani imprenditori vinicoli italiani tra i 18 e 40 anni di Unione italiana vini.
Classe 1989 e già vicepresidente del gruppo (a fianco della presidente Violante Gardini Cinelli Colombini), la business developer e direttore marketing and sales dell’azienda pugliese Varvaglione 1921 è stata designata all’unanimità dal neo-eletto Consiglio direttivo.
Intervista a Marzia Varvaglione
Partiamo proprio dallo sport. Cosa ti sei portata dietro dalla tua esperienza sportiva nel percorso vitivinicolo?
Tante cose. Ma soprattutto che essere il capitano non vuol dire comandare, ma avere lucidità nei momenti di difficoltà, guidando la squadra e valorizzando ogni singolo componente.
A proposito di momento di difficoltà: per i giovani non sono tempi facili. Spesso vengono additati come poco volenterosi o poco disposti a fare sacrifici (vedi intervista a Claudio Amendola) È davvero così?
Credo che il mondo del lavoro sia molto più competitivo e molto diverso rispetto a 20 anni fa. Prima era più facile avviare un’attività, oggi devi essere iper-preparato e iper-connesso. Poi, come accade in tutti i settori, ci sono giovani che utilizzano questa come scusa per essere pigri, ma bisogna guardare il quadro completo. Spesso sono i big a non voler lasciare il proprio posto: mollare il testimone per loro è dura. Ad ogni modo io credo si tratti di due approcci completamente diversi al lavoro. Le nuove generazioni hanno tanto da dare, ma allo stesso tempo non hanno più intenzione di sacrificare i propri spazi privati per il lavoro.
Se parliamo di età anagrafica salta agli occhi che oggi in Italia l’età media di chi guida una cantina è di 62 anni (Report Mediobanca) … Possiamo affermare che il mondo del vino è ancora troppo vecchio?
Diciamo più che altro tradizionalista, dove la differenza sta nell’esperienza accumulata. Guardando alle cantine, notiamo che quasi sempre, accanto al nome, c’è un anno di fondazione (anche Varvaglione ha nel nome 1921; ndr); questo ci dice che in qualche modo essere longevi dà istituzionalità alla propria storia. Allo stesso tempo, però, è un mondo dove la tecnologia ha fatto passi da gigante.
Altra provocazione. Il mondo del vino è ancora troppo maschilista? Lo stesso Rapporto Mediobanca citato sopra dice che le quote rose nei ruoli di presidenza sono solo l’8,8%...
Senz’altro si viene da quella tradizione lì, ma di strada ne è stata fatta. Solo per citare qualcuno, penso a grandi nomi come Angela Velenosi, Chiara Lungarotti, Valentina Argiolas o Carlotta Pasqua prima presidente donna di Agivi. Ed è proprio la nostra associazione ad aver cambiato passo: nell’ultimo decennio tre presidenti su quattro sono state donne. Forse proprio perché Agivi rappresenta la parte più giovane e, quindi, più innovativa del vino e del Paese.
Qual è il valore aggiunto che oggi un under 30 può portare al settore vino?
Il modo di comunicare. La comunicazione è dei giovani. Così come la sfida digitale.
Che cosa non va, a tuo parere, nell’attuale comunicazione del vino?
La sensazione è sempre quella di trovarsi di fronte ad una degustazione guidata: si guida e non si ascolta. Io credo, invece, che bisogna insistere sul rapporto diretto con il consumatore finale.
Da giovane che parla a giovani, come si fa a ricostruire quel rapporto con i consumatori under 40 che hanno tradito il vino con altre bevande e che sono molto più attenti alla gradazione alcolica che alla qualità del prodotto?
Non per essere ripetitivi, ma la comunicazione è fondamentale. Bisogna scegliere canali diversi dai tradizionali, un linguaggio e un tono di voce nuovi e anche tutta una nuova narrazione per far capire che il vino non è più solo quello da celebrazione o da meditazione, ma uno dei protagonisti della socializzazione.
Torniamo ad Agivi. Sai che tu e l’associazione siete nati nello stesso anno? Non senti un forte carico di responsabilità?
Tantissima. L’associazione si trova in un momento di cambio generazionale, in cui gli ex giovani sono diventati big (tra i primi presidenti di Agivi, c’erano Vallarino Gancia, Cesare Cecchi, Andrea Sartori; ndr) e le nuove leve hanno meno di 30 anni. Io, che di anni ne ho 34 spero di poter fare da collante tra un’esigenza un po’ più pop e i retaggi tradizionali.
Come interpreterai il tuo ruolo di guida dei Giovani imprenditori vinicoli?
Comunicazione e digitalizzazione saranno al centro del mio mandato, insieme al tema della sostenibilità. E, a proposito di comunicazione, ho chiesto ai soci di portare nel prossimo Consiglio proposte sul nuovo claim di Agivi (quello attuale è Trovarsi è un inizio. Lavorare insieme è un successo; ndr). Vorrei che fosse diretto e immediato e che fosse votato in maniera digitale.
Inoltre, mi piacerebbe che ognuno stilasse una sorta di wishlist: la lista dei desideri da sviluppare insieme nei prossimi tre anni. Come dicevo all’inizio, è solo con il lavoro di squadra che si vincono i campionati.
A cura di Loredana Sottile