«Cosa ne sarà delle colline di Barolo a furia di inseguire i turisti? La zona è disseminata di alberghi, bed & breakfast e Airbnb», si domanda Marta Rinaldi, erede di una tradizione vinicola storica e figlia di Citrico, ovvero Giuseppe Rinaldi, l’anima libera del Barolo, scomparso sei anni fa. Oggi Marta, insieme alla sorella Carlotta, prosegue l’attività di famiglia, ma osserva con una punta di amarezza come il successo enologico di queste terre abbia portato con sé un benessere che, paradossalmente, sta spegnendo la vivacità sociale e culturale del paese. Le parole di Carlo Petrini, che recentemente ha denunciato il pericolo di speculazioni sui terreni e sui vini, risuonano forti: è un appello a salvaguardare la vera essenza delle Langhe prima che il boom turistico e finanziario renda il territorio irriconoscibile. «Sono contenta che Carlo abbia alzato il velo, è un segno d’amore verso queste colline», aggiunge Rinaldi.
Come sono cambiate le Langhe
«Mia sorella e io viviamo a Barolo, dove più di ogni altro luogo nelle Langhe abbiamo visto arrivare questo improvviso benessere», racconta Marta Rinaldi in un’intervista alla Stampa, con un’ombra di malinconia. La giovane viticoltrice evoca quei decenni in cui i barolesi lavoravano insieme per costruire la propria fortuna, «oggi sembra mancare quell’orgoglio collettivo: c’è più divisione, individualismo e un’attenzione crescente alla ricchezza privata. Non è più la stessa comunità in cui siamo cresciute». Nelle sue parole emerge la nostalgia per un Barolo che, anche se non ha vissuto in prima persona, conosce attraverso i racconti di famiglia e della comunità.
Le Langhe, come altre aree vitivinicole, si trovano ora al centro di un processo di gentrificazione accelerato. Gli alberghi e i bed and breakfast si moltiplicano, ma il paese sembra perdere di vista le proprie radici. «Anche l’architettura sta cambiando in modo drastico, spesso con risultati discutibili», riflette Marta. Durante l’autunno, il numero di visitatori tocca cifre record, ma le infrastrutture locali non sono in grado di supportare l’afflusso. «I weekend di ottobre sono diventati una corsa all’ultimo parcheggio e quando le luci si spengono, i barolesi non hanno nemmeno un posto dove prendere un caffè». Un fenomeno che - secondo Rinaldi - rende il territorio vulnerabile a una trasformazione irreversibile, rischiando di soffocare proprio quella cultura enologica che ha reso celebri queste colline.
Terreni proibitivi e il richiamo della finanza
Come Carlo Petrini, anche Marta Rinaldi denuncia l’aumento esorbitante del prezzo dei terreni: il costo di un ettaro di vigneto di Nebbiolo da Barolo può raggiungere cifre astronomiche, fino a 4 milioni di euro, rendendo impossibile l’accesso per chiunque non abbia già un considerevole capitale da investire. Perciò «Dobbiamo dire basta alla concessione di nuovi terreni», afferma Marta con decisione. È una questione di preservazione: la corsa al Nebbiolo ha portato alla graduale estinzione di varietà come la barbera, il dolcetto e la freisa, simboli della biodiversità locale. Ed il rischio è che, in futuro, il Barolo non sia più un prodotto autentico ma solo un oggetto di speculazione.
Per Marta e Carlotta, la continuità della tradizione familiare è una priorità. Con otto ettari di vigneti, le sorelle Rinaldi possono ancora mantenere un approccio artigianale e lavorare ogni fase del processo produttivo con le proprie mani. «Abbiamo la fortuna di accogliere i clienti in cantina e instaurare rapporti personali con loro, mantenendo viva la connessione con il territorio», racconta Marta. Ma non tutti hanno la stessa opportunità: la pressione economica e il costo dei terreni stanno allontanando la comunità dalla propria terra. Molti giovani che non hanno ereditato l’azienda di famiglia non possono nemmeno considerare di aprire una propria cantina, con il rischio che l’identità culturale di Barolo si affievolisca ancora di più.
Riscoprire la socialità perduta
Ma è forse anche l'aspetto sociale la perdita più grave di questo angolo di Piemonte. «Una volta i bar e le osterie erano luoghi di ritrovo, ora sono quasi spariti», racconta con rammarico Marta. Petrini aveva sottolineato come, nella Langa di una volta, l’enologia fosse perfettamente integrata con il tessuto sociale locale. Marta vede questo come un insegnamento per il futuro: «Occorre recuperare un senso di appartenenza, non solo dal punto di vista economico ma anche sociale e culturale». Le Langhe, a suo avviso, devono riscoprire la propria identità comunitaria e ripensare alla sostenibilità della crescita, non solo per attrarre turisti ma per garantire la felicità e il benessere degli abitanti. «Abbiamo bisogno di istituzioni che pensino al lungo termine, che non si limitino a contare ma a pianificare» afferma, auspicando una gestione responsabile del turismo e delle risorse. Il rischio, come evidenzia anche Petrini, è che il Barolo diventi una merce di scambio come qualsiasi altra, dimenticando il valore umano e culturale che lo ha reso unico.