Il verde intenso delle vigne che si susseguono agli uliveti su terreni di argilla rossa e calcarenita gialla, il bianco abbagliante delle saline e dei basolati di pietra della città che si specchia in un mare blu profondo disegnano un paesaggio che parla di lavoro, passione e storia. A Marsala il vento accarezza tutto, quasi incessantemente, trascinando con sé l’odore salino del mare misto a quello dei fiori selvatici. In questo lembo di Sicilia occidentale dove la luce di un sole intenso e caldo avvolge i grappoli d'uva e al tramonto tinge tutto o quasi di sfumature dorate, ambrate e rosa, qui si è sempre fatto un vino che i contadini riservavano alle occasioni speciali. L’uva migliore (Grillo innanzitutto, ma anche Catarratto e altri vitigni indigeni erano alla base della produzione) si raccoglieva matura per ottenere un liquido dal colore oro carico, anzi ambrato: era un mosto che sarebbe divenuto un “vino ossidativo” – stile che oggi va così tanto di moda – perché i contenitori non erano colmati fino all’orlo e dunque l’ossigeno interagiva con il fluido. Quel nettare degli dei – che si chiamava perpetuum – si lasciava invecchiare per anni in botti di rovere e di castagno. Nel tempo una parte del vino vecchio veniva sostituito con un vino più giovane. Un’operazione che si ripeteva sempre, in perpetuo appunto. Nel corso degli anni i vini di annate diverse, grazie a questo metodo di invecchiamento, naturalmente si amalgamavano e si fondevano.
Il Marsala e la leggenda di Woodhouse
La leggenda vuole che nel 1773 il ricco mercante inglese John Woodhouse, approdato a Marsala a causa di una tempesta, quando lo assaggiò se ne innamorò subito e decise di spedirne cinquanta barili a Liverpool dopo aver aggiunto un po’ di acquavite per fargli affrontare il viaggio e dunque per cercare di conservarlo meglio: prende il via una storia di successo, quella del Marsala. Dietro il mito, in realtà, c’era l’instancabile ricerca da parte degli inglesi di nuove aree di produzione di vino e una instancabile sperimentazione di nuove tecniche per soddisfare i differenti gusti dei consumatori d’Oltremanica: in quel momento, l’obiettivo preciso era proprio quello di ottenere un prodotto simile ai vini fortificati quali erano gli apprezzati Madeira, Porto e Jerez che da oltre cento anni godevano del favore indiscusso dei consumatori inglesi a costi abbastanza contenuti.
Il vino marsalese si prestava bene per essere utilizzato come vino da taglio oppure per essere venduto per qualcos’altro in un’epoca in cui i confini tra adulterazioni, falsificazioni, imitazioni e contraffazioni erano quasi inesistenti. L’abile mercante lo trasformò in un prodotto che aveva molte affinità con i blasonati vini spagnoli e portoghesi cambiandone per sempre la storia. Almeno quella storia che è sempre stata raccontata lontano da Marsala dove la tradizione del vino ossidativo che si faceva prima dell’arrivo degli inglesi è rimasta viva.
Un vino quotidiano a Marsala
«Se nasci a Marsala, sostanzialmente non puoi non avere avuto a che fare con il vino “pre-british”, nel senso che per noi è il nostro sangue. A tavola, ma anche a merenda per i bambini, si usa questo tipo di vino da sempre: fino agli anni '90 il vino della tavola, il vino di tutti i giorni era questo, non c'erano altre forme». Il racconto è di Nino Barraco, uno dei vignaioli marsalesi che di Marsala Pre-British ne produce uno, l’Alto Grado, in due versioni: da uve catarratto e da grillo, entrambe d’annata. «Da quando è nato il Marsala praticamente si è creata una dislessia fra il “vino da lavoro”, che era il Marsala, e il “vino da tavola” – spiega il produttore – che era rimasto questo ossidativo: mentre uno andava fortificato l’altro no. Il Marsala non poteva essere fatto dai contadini a casa, mentre il “pre-British” sì».
Le famiglie marsalesi – ricorda Barraco – hanno mantenuto un legame affettivo forte con il perpetuum. «Il Marsala, invece, non ha mai attecchito, è rimasto un vino di rappresentanza». Qual è il motivo di questo distacco? «Mentre uno parlava il dialetto, l’altro (il Marsala) era un vino che parlava una lingua forbita e internazionale. Siamo di fronte a due dimensioni totalmente diverse: l'affetto è rimasto tutto per il vino antico. Marco De Bartoli – continua ancora Barraco – al quale io e molti altri vignaioli del territorio dobbiamo moltissimo, ha avuto il merito di essere stato il primo a capirne l'importanza ad avere avuto l'orgoglio di imbottigliarlo e dargli un'etichetta col Vecchio Samperi: questa cosa non l’aveva mai fatta nessuno. Lui, che era il nipote di un industriale come Stefano Pellegrino, è stato il primo che ha iniziato a imbottigliare un vino che parlasse il dialetto: questa è stata ed è tuttora una cosa straordinaria».
Marco De Bartoli e il perpetuum di Samperi
Un percorso difficile che Josephine De Bartoli, (al centro nella foto in alto) la terzogenita del pioniere che ha riportato il “Marsala pre-british” alla ribalta nel 1980, racconta così questa storia emozionante: «Con il Vecchio Samperi papà irrompe in un mondo di Marsala industrializzati, di vini “bianco carta” prodotti con vitigni internazionali. E lo fa con un vino antico, in ossidazione, naturale e difficile, un vino che nessuno al di fuori di Marsala conosceva, un vino in via d’estinzione. È stato un percorso di recupero difficile: in quegli anni lì a nessuno fregava niente del perpetuum che non aveva alcuna identità (commerciale, ndr), nessuno lo aveva mai imbottigliato, nessuno gli aveva mai attribuito la dignità di vino che potesse essere conosciuto nel mondo».
«Il Vecchio Samperi è un perpetuum iniziato dai miei bisnonni: papà se lo trovò qui, nel baglio in contrada Samperi, e incominciò a ringiovanire questo sistema fin dal 1978. Non abbiamo una data certa di avvio del perpetuum, ma sappiamo che nel nostro Vecchio Samperi ci sono vendemmie di 80 anni fa: è un vino unico, ad oggi irripetibile – si commuove Josephine, che porta il nome della nonna di origini francesi – Per me e per i miei fratelli è quasi un altro fratello, per papà è sempre stato in qualche modo il figlio prediletto al quale ha dedicato tutto se stesso. Oggi sarebbe molto contento di vedere che ci sono dei colleghi che hanno deciso di portare avanti la valorizzazione di questo vino in cui lui ha sempre creduto molto».
Un pre-British da singola annata
Oltre a puntare forte sulla valorizzazione di questo vino antico della tradizione contadina al punto da farne un pre-british da singola annata e un perpetuo, è Pierpaolo Badalucco dell’azienda Dos Tierras - Badalucco de la Iglesia Garcia che dello stile ossidativo ha fatto un marchio distintivo della sua intera produzione. Oltre al Pipa ¾ e al Perpetuum, infatti, anche gli altri vini bianchi da uve grillo sono realizzati in stile ossidativo. La passione e il gusto, non solo la tradizione di famiglia, hanno portato Badalucco a fare lo stesso percorso dei suoi colleghi, affrontando non poche difficoltà: «Mio nonno in un epoca di Marsala industrializzato, fu costretto a chiudere la storica cantina di famiglia perché nessuno era interessato più a comprare quei vini e quelle “madri”: la chiusura della cantina avvenne anni prima che De Bartoli iniziasse il suo percorso. Qualcuno però ci ha rubato tutto il vino, lo ha spillato dalle botti. Oggi avremmo potuto avere delle madri del 1881, del 1889 e altre di annate successive, ma invece ci sono rimaste solo le botti vuote con su scritti i nomi dei nipoti e l’annata di inizio del perpetuum. Io e Bea (Beatriz, la moglie) abbiamo ricominciato da zero, 25 anni fa. Il vino – spiega Pierpaolo – è un fatto molto personale, specie per chi appartiene a famiglie con tante generazioni che vi sono vissute attorno e che si tramandano vecchi decaloghi. Noi, per esempio, siamo gli unici a seguire il vecchio decalogo di Ingham, con tutta una serie di passaggi immutabili dalla vigna al vino: una sorta di biodinamica di 250 anni fa. Io non sono né un enologo e né un agronomo, non ho strumenti tecnici, sono nato con questo stile e sono stato educato a riconoscere l’ossidazione e soprattutto a riconoscere le mie vigne, a sapere dove quella determinata vigna può arrivare e so che non è nata per fare vini glu glu. Io non posso violentare una vigna che fa queste cose da 250 anni».
Le difficoltà legate al clima
Un rapporto quasi simbiotico con le proprie vigne dalle quali ottiene una produzione di pre-british che arriva a stento a un migliaio di bottiglie e che negli ultimi anni ha riscontrato da un lato una crescita della domanda legata alla grande attenzione per i vini ossidativi, ma dall’altro grandi problemi legati al cambiamento climatico: «Gli altri produttori storici (De Bartoli, Barraco e Vite a Ovest, ndr) vendemmiano a metà settembre per andare in bottiglia con un vino secco sui 15 gradi; il nostro stile produttivo e le caratteristiche della nostra vigna ci portano a vendemmiare da metà ottobre per andare in bottiglia con un vino “dolce”, più largo. Ma adesso, con caldo e siccità prolungate, arrivare a ottobre in condizioni ottimali è diventato un miraggio e sempre che non piova quando non dovrebbe. Prima su dieci vendemmie ne perdevamo una, ora ne perdiamo anche 5. Lo scorso anno non abbiamo raccolto un solo grappolo di uva per il Pipa».
Storie di famiglia e vigne secolari
Questi vini nuovi dalla memoria antica, rari e spesso introvabili, custodiscono e raccontano storie di famiglie e vigne secolari e un legame profondo con la terra e con il tempo. Resilienza e amore per una tradizione che continua a vivere hanno ispirato i passi di questo sparuto gruppo di vignaioli e sembra che l’ispirazione stia contagiando altri cuori. L’augurio è che i nuovi alfieri del pre-british sentano davvero la responsabilità di rappresentare questo territorio senza scorciatoie.