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È un momento d'oro per il Lugana: merito dell'effetto-lago?
Aiuta, certo. Ma non è risolutivo. Sennò” “tutti qui dovrebbero stare come noi. E invece, con tutto il rispetto per ottime denominazioni come Bardolino, Trentino, Custoza, noi si viaggia ben sopra i 45 euro per l’uva e 0,70 per il vino che è la media. Siamo un piccolo caso. Un professore giapponese della Ca’ Foscari ci ha scelto come case history per il suo corso.
E allora quali sono le chiavi?
Potranno anche sembrare semplici parole, visto quanto spesso vengono dette. Ma il motore qui è: spirito d’unità tra i produttori e rilanciata identità di territorio. Perché, si dirà: prima non c’erano? No. Ed era dura. Il fatto è che Lugana è una denominazione ibrida. Lombardo-veneta. E a lungo non è stata né una cosa né l’altra. Per i veronesi era storica, ma poco sentita: loro di Dop in casa ne hanno tante, a partire da Soave o Valpolicella. E Lugana era visto quasi come una roba per turisti. Il Bresciano poi è divenuto territorio davvero enoico solo con l’effetto Franciacorta. Recente e totalizzante. Il Lugana molti sanno dov’è, ma non dove metterlo. Giocando coi nomi, chi pensava a Zenato, chi a Ca’ de Frati; ed era dura persino unirli in un’unica degustazione. E non parlo di eventi spot; ma di quelle nodali delle guide, il Gambero appunto, o L’Espresso, divise in più location. Una personalità schizoide.
La rivoluzione del Consorzio è stata di far identificare il Lugana con la sua casa, dandogliene finalmente una. Tutte le degustazioni da noi, col massimo degli apporti. E la spiega, per fortuna subito recepita, che in un mondo di piccoli come il nostro (il più grande qui non fa il 10% del prodotto e mancano le mega cantine sociali) o ci si spalleggia o ci si fa male tutti.
È così che è nato un sistema in cui se parte un’iniziativa aderiscono minimo 30-40 cantine. E dove chi ha già un importatore, metti, ad Amburgo, se gli capita una richiesta la gira a colleghi che lì sono ancora out. S’è capita bene la lezione che se in un posto il Lugana “esiste”, c’è, se ne parla, può crescere ancora. Se è un puntino nel nulla può solo sopravvivere, legato magari a un brand aziendale, e sparire al primo sussulto. Solidarietà ragionata. Ha contato anche il no corale – e sofferto – al discount. Quando il prezzo ha iniziato finalmente a salire, si è deciso insieme che era meglio al limite far vino da tavola che farlo riscendere vendendo a Enoitalia per Lidl. E il tempo ci ha dato ragione. Poi, pure il lago certo ha fatto il suo.
Quel tot garantito assorbito dai turisti?
Sì. È stata una molla, la vendita diretta, che ha indotto molti a vinificare in proprio anche quando le cose non brillavano come ora. Il che ha tolto uve e sfuso dal giro, aiutando i prezzi. E ha fatto livellare in su, dandole strumenti tecnici giusti, la qualità già buona grazie a uva, clima, terroir. E non è il solo indotto-Garda. C’è la fortuna di esser così vicini a Monaco, mercato trampolino per tutta la Germania. Quando lì nevica, spesso qui si mangia fuori. Si beve. Si compra. Si diventa testimonial. Si chiede quel vino a casa. E arriva il buyer… Se trova un fronte frammentato per qualità e offerta, il fuoco si fa di paglia, la reputation fragile. Se il fronte è solido, compatto, ecco scattare quel gioco di export su misura di cui parlavo prima. Il successo in Germania ci ha dato la forza per esplorare altri mercati. Nel 2013 saremo insieme alla Balkan Wine Expo a febbraio, Prowein in marzo, Vinitaly ovviamente, London Wine Fair e poi, gran debutto, Vinexpo. Ma anche questa sarebbe solo una gamba, saremmo un po’ zoppi se non fosse scattato qualcosa pure in Italia e in zona.
E cioè?
Della nostra crescita e della buona immagine si sono accorti i grandi del Veronese in cerca di un bianco non cheap per completare la loro gamma rossa tirata dall’Amarone. Così il Lugana s’è affiancato nei listini al buon Soave di collina che qualcuno fa, ma altri no. Il che ha rinsaldato ancora prezzi e stime, pilotando in bottiglia lo sfuso che restava. Oggi c’è Lugana da Sartori, Montresor, Giv (tre linee). Zonin, neppure socio, ne fa 150.000 bottiglie; nel suo carnet ampio ha deciso che il Lugana non deve mancare. Siamo una goccia, certo. Anche nel “suo” mare. Ma magari portiamo un po’ di sale a tutti…
Orgogliosi?
Beh, sì. Ma umilissimi su quanto c’è da fare.
Quando le cose vanno così, uno dei primi nodi è l’allargamento, ingrassare la vacca o far quadrato su fama, qualità, esistente. Voi che farete?
Il problema si pone, stiamo riflettendo. A oggi, grazie a dio, a settembre il vino è già finito. E bloccare nel momento top per molti è peccato. Spazio c’è. Tolti i seminativi, la superficie può quasi raddoppiare. Decideranno i produttori. Molti dei quali sono nuovi. E giovani, come le aziende.
Il Lugana è un paese per giovani?
Giudichi lei: età media tra 30 e 35, i più “vecchi” sui 50.
Cosa occorre, specie se produrrete di più, per far continuare la festa?
Tanto lavoro per alzare ancora l’immagine. Nuovi mercati. E aumentare la fascia interna di vendite. Se avere un’uva tra le più pagate è un bel risultato, c’è il rovescio: chi imbottiglia parte da un costo vivo di 2,10 euro per il solo liquido in un mondo di costi accessori in forte ascesa. Dunque dobbiamo esser capaci in prospettiva di spuntare (e meritarci) prezzi medi più vicini a 6 che a 4 euro a bottiglia per mantenere redditività e trend. Ma siamo fiduciosi. Ed è un altro fattore. Pensare positivo, o i guai te li tiri da solo.
a cura di Antonio Paolini
febbraio 2013
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale "Tre Bicchieri" del 21 febbraio 2013. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.